Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 31977 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 31977 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11710/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO, se. A, int. 4;
-ricorrente-
contro
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio digitale presso la propria casella di posta elettronica certificata;
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Trento n. 17/2020, pubblicata il 17 gennaio 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 ottobre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
lette le memorie depositate dalle parti.
FATTI DI CAUSA
-Con atto di citazione del 28 luglio 2015, NOME COGNOME premesso di essere comproprietario con la moglie della p.ed. 489 e delle pp.mm. 1, 3 e 5 della p.ed. 414/3 del Comune di Dro e di essere sempre transitato, per accedere alle sue proprietà, sulla p.ed. 414, di proprietà di NOME COGNOME, nonché sulla p.m. 1 della p.ed. 413/2, di proprietà di NOME COGNOME – conveniva questi ultimi due proprietari in giudizio dinanzi al Tribunale di Rovereto chiedendo, in via principale, di accertare l’intervenut o acquisto per usucapione del diritto di servitù di passo a piedi e con mezzi a favore delle sue particelle e, in subordine, di costituire la medesima servitù in via coattiva per interclusione.
La convenuta COGNOME si costituiva in giudizio eccependo la nullità della notificazione della citazione introduttiva, chiedendo la remissione in termini ed insistendo, in ogni caso, per il rigetto delle domande attoree, in quanto infondate.
Il convenuto COGNOME rimaneva contumace.
La causa veniva istruita dal l’adito Tribunale mediante l’ espletamento di prova orale e con produzione documentale.
Con sentenza n. 401/2016, pubblicata in data 21 dicembre 2016, il Tribunale di Rovereto, in accoglimento della domanda, accertava l’ avvenuto acquisto per usucapione -da parte dell’attore – del diritto di servitù di passo dedotto in causa a piedi e con mezzi meccanici, ordinando al Conservatore del libro fondiario di provvedere alla relativa intavolazione.
-Avverso detta sentenza NOME COGNOME proponeva gravame dinanzi alla Corte d’Appello di Trento.
Si costituiva in secondo grado NOME COGNOME chiedendo la conferma della sentenza di primo grado.
L’appellato NOME COGNOME rimaneva contumace.
Con sentenza n. 17/2020, pubblicata in data 17 gennaio 2020, la Corte d’Appello di Trento ha respinto l’impugnazione e condannato l’appellante alla rifusione delle spese di lite.
–NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
-A seguito della proposta di definizione ex art. 380 bis cod. proc. civ. del Consigliere delegato, la ricorrente ha chiesto la decisione.
Entrambe le parti hanno depositato una memoria ex art. 380 bis.1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia la violazione/falsa applicazione dell’art. 1061 cod. civ. (art. 360 n. 3 cod. proc. civ. ), nella parte in cui la Corte d’Appello ha ritenuto che il requisito dell’apparenza della servitù fosse integrato dalla sola ‘presenza di un portone’ nel preteso fondo dominante, senza indagare se detta opera permanente evidenziasse in modo obiettivo e inequivocabile il rapporto di subordinazione tra fondi, integrante il contenuto della servitù.
Si deduce che l’art. 1061 cod. civ . consente l’acquisto per usucapione solo delle servitù apparenti e precisa che sono apparenti le servitù che hanno opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio. Si aggiunge che il diritto vivente ha da tempo chiarito che non è sufficiente la presenza di opere visibili e permanenti, ma è necessario un quid pluris che dimostri la loro specifica destinazione all’esercizio della servitù. In sostanza, è necessario che l’opera visibile e permanente sia tale da mettere in risalto, in modo obiettivo e inequivoco, il collegamento funzionale – e quindi il rapporto di subordinazione – tra fondi, integrante il contenuto della servitù (si richiamano Cass. 11 agosto 1989 n. 3695; Cass. 17 febbraio 2004
n. 2994; Cass. 15 ottobre 2007 n. 21597; Cass. 8 giugno 2017 n. 14292).
1.1. -Il motivo è infondato.
Il requisito dell’apparenza della servitù, di cui all’art. 1061 cod. civ., necessario ai fini del relativo acquisto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, si configura come presenza di segni visibili di opere permanenti obiettivamente destinate al relativo esercizio ed attestanti in modo non equivoco l’esistenza del peso gravante sul fondo servente, anche quando tali opere insistano sul fondo dominante o su quello appartenente a terzi. Ne consegue che, ove le opere visibili e permanenti consistano in un portone ed in un androne, siti nel preteso fondo servente e utilizzabili per l’accesso sia a quest’ultimo che al preteso fondo dominante, l’apparenza della servitù postula comunque il riscontro dell’univocità della loro funzione oggettiva rispetto all’uso della servitù stessa (Cass., Sez. VI-2, 6 maggio 2021, n. 11834; Cass., Sez. II, 21 novembre 2014, n. 24856).
La Corte d’appello ha ritenuto -in base ad un adeguato apprezzamento di merito, perciò insindacabile nella presente sede di legittimità – sufficiente ai fini della prova dell’apparenza del diritto di transito l’esistenza di un portone d’accesso, il cui utilizzo ultraventennale era stato confermato dai testimoni escussi. La presenza del portone risulta, inoltre, confermata dalla consulenza tecnica d’ufficio e la Corte trentina ha ritenuto che la configurazione dei luoghi escludeva che l’esercizio del passaggio fosse stato limitato alla parte del piazzale riguardante la proprietà di NOME COGNOME evitando quindi la parte di proprietà dell’attuale ricorrente.
2. -Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione dell’art. 5 , comma 3, R.D. 28 marzo 1929, n. 499 (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.), laddove la Corte di appello avrebbe omesso di indagare l’ esistenza del presupposto di legge necessario per il prevalere dell’usucapione sull’acquisto a titolo
derivativo nel sistema tavolare, presupposto costituito dallo stato psicologico soggettivo della conoscenza o conoscibilità dell’acquisto dell’usucapione della servitù in capo all’acquirente a titolo derivativo al momento dell’acquisto . Si sottolinea che la sentenza della Corte di Appello di Trento, nella parte in cui, condividendo la valutazione del primo giudice, afferma che la presenza del portone nella p.ed. 414/3 dimostrerebbe inequivocabilmente l’esistenza di un accesso, violerebbe il disposto dell’ar t. 5 del R.D. n. 499/1929 (Disposizioni relative ai Libri Fondiari dei territori delle nuove province). L’art. 5 R.D. 499/1929 prevede che chi pretende di avere acquistato la proprietà o un altro diritto reale su beni immobili per usucapione o per altro modo di acquisto originario, può ottenerne l’iscrizione nel libro fondiario sulla base di una sentenza passata in giudicato che gli riconosca il diritto stesso. La Corte d’Appello di Trento sarebbe pervenuta erroneamente a ritenere che il disposto dell’art. 5 del R.D. n. 499/1929 e quello dell’art. 1061 cod. civ. facciano riferimento al medesimo presupposto oggettivo de ll’ apparenza del passaggio. Pertanto , la Corte d’Appello non si sarebbe preoccupata di indagare il presupposto soggettivo dell’usucapione invocato, vale a dire la conoscenza o la conoscibilità al momento dell’acquisto, da parte dell’acquirente a titolo derivativo, NOME COGNOME, del passaggio che NOME COGNOME pretende di avere praticato sul cortile p.m. 1 della p.ed. 413/2 per raggiungere la p.ed. 414/3.
2.1. -Il motivo è infondato.
Per i beni soggetti al regime tavolare, previsto dal r.d. 28 marzo 1929, n. 499, nelle province già austro-ungariche, l’efficacia costitutiva dell’iscrizione o intavolazione è limitata agli atti tra vivi, e non è estensibile ai trasferimenti per successione ereditaria, o agli acquisti a titolo originario, come l’usucapione (Cass., Sez. II, 21 maggio 2012, n. 8001; Cass., Sez. II, 6 dicembre 1997, n. 12428; Cass., Sez. II, 23 marzo 1995, n. 3370).
Nei territori in cui vige il sistema tavolare basato sul principio della pubblicità costitutiva, allorché, come nella fattispecie, non venga in rilievo un conflitto di acquisti fra loro contraddittori, ma sorga un problema di concorso tra diritti “non incompatibili”, l’uno intavolato e l’altro extra tavolare, come nel caso di servitù, non è applicabile l’art. 5, comma 3, r.d. n. 499 del 1929, e non viene in rilievo, di conseguenza, l’atteggiamento soggettivo di colui il quale abbia acquistato la proprietà sulla base della fede del libro fondiario. (Cass., Sez. II, 20 maggio 2019, n. 13501).
-Il ricorso, in definitiva, deve essere rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Essendo la decisione resa all’esito di un procedimento per la definizione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380-bis cod. proc. civ. (novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), con formulazione di istanza di decisione ai sensi del comma secondo della norma citata, e il giudizio definito in conformità alla proposta, la ricorrente deve essere, inoltre, condannata al pagamento delle ulteriori somme ex art. 96 commi 3 e 4 cod. proc. civ., sempre come liquidate in dispositivo.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre ad euro 200,00 per esborsi, spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.
Condanna, altresì, la stessa ricorrente al pagamento, ai sensi dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ. ed in favore del controricorrente, di una somma ulteriore di euro 1.500,00, equitativamente determinata, nonché -ai sensi dell’art. 96, comma 4, cod. proc. civ. – al pagamento dell ‘importo di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione