Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13388 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 13388 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5294/2021 R.G. proposto da : COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI, SEZ.DIST. DI SASSARI n. 317/2020 depositata il 14/10/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Tempio Pausania accolse la domanda di NOME COGNOME, volta ad ottenere la declaratoria di intervenuto acquisto per usucapione di un immobile di Olbia, in contraddittorio con RAGIONE_SOCIALE La sentenza fu parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Cagliari, sez. distaccata di Sassari, ma, impugnata tale decisione da RAGIONE_SOCIALE avanti la Corte di cassazione, quest’ultima dispose l’annullamento della pronunzia per vizio di motivazione sull’accoglimento della domanda di usucapione, relativamente al tratto di terreno compreso fra un parcheggio ed un ristorante.
A seguito di rituale riassunzione, la Corte d’appello di Cagliari, sez. distaccata di Sassari rigettò definitivamente la domanda di usucapione, con sentenza n. 317 depositata il 14 ottobre 2020.
Il giudice officiato del rinvio affermò che l’COGNOME non aveva svolto alcuna particolare attività sul terreno rivendicato, se non il decespugliamento, la messa a dimora di palme e la posa di un prato inglese con impianto di illuminazione, aggiungendo che le circostanze ed i fatti riferiti e confermati dai testimoni erano collocati in un arco di tempo insufficiente alla declaratoria di usucapione e dunque non avrebbero potuto ritenersi assolutamente idonei ad integrare la prova necessaria ai fini dell’acquisto a titolo originario.
Contro la predetta sentenza ricorre per cassazione NOME COGNOME, sulla scorta di quattro motivi.
Si è costituita con controricorso RAGIONE_SOCIALE
A seguito della proposta di definizione del giudizio, formulata da questa Corte ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c. e ritualmente comunicata alle parti, il ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso.
In prossimità della camera di consiglio, la controricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
RAGIONI DI DIRITTO
Attraverso la prima censura, NOME COGNOME deduce la violazione dell’art. 2909 c.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. Afferma che la Corte territoriale sarebbe incorsa in errore nel considerare insussistenti i presupposti di applicabilità dell’usucapione, nonostante gli stessi fossero stati positivamente accertati dalla prima sentenza della Corte d’appello, senza essere successivamente rimessi in discussione.
Il motivo non ha ragion d’essere.
1.1. Basta leggere la sentenza di annullamento di questa Suprema Corte (n. 15047 depositata l’11 giugno 2018) per rendersi conto che la cassazione della sentenza impugnata era limitata all’area e non all’immobile. E’ infatti testualmente scritto: ‘ La corte territoriale, sulla base delle prove testimoniali, ritenendo che l’COGNOME non avesse aveva dato prova dei limiti spaziali entro i quali aveva esercitato il possesso ventennale, rigettava la domanda di usucapione 1) del piazzale utilizzato come parcheggio 2) delle strade che portavano fino alla spiaggia che erano assoggettate all’uso pubblico. Accertava, invece, che gli spazi destinati a prato inglese, realizzati negli anni 1990, erano stati usucapiti perché utilizzati dai clienti per raggiungere il ristorante e perché erano stati oggetto di manutenzione da parte dell’COGNOME. La motivazione è insufficiente perché priva dei necessari riferimenti
dei limiti spaziali del possesso, quali l’estensione di tale area, la sua consistenza, la descrizione dettagliata, i confini con gli altri spazi’.
1.2. La motivazione del giudice del rinvio prende dunque atto del rigetto della domanda di usucapione del piazzale utilizzato come parcheggio e delle strade che portavano alla spiaggia, esaminando invece (e respingendo) la domanda inerente gli spazi destinati a prato inglese.
Con il secondo mezzo, il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 1140, 1142, 1158 e 2697 c.c. nonché 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3, c.p.c. Il giudice distrettuale avrebbe esercitato un erroneo governo dell’onere probatorio, con riguardo alla presunzione di possesso intermedio.
2.1. Attraverso la terza doglianza, l’COGNOME denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, già discusso fra le parti, riguardante la maggiore estensione del terreno, oggetto della domanda iniziale, ed il possesso uti dominus ultraventennale.
2.2. La quarta lagnanza si riferisce alla violazione dell’art. 383 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere la Corte di rinvio omesso di giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente delineato nella sentenza di annullamento, riguardante i limiti spaziali del possesso.
I predetti motivi, che possono essere scrutinati congiuntamente perché attingono l’impostazione motivazionale della sentenza impugnata, sono nel loro complesso inammissibili.
3.1. Occorre premettere che i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la sentenza di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per l’una e per l’altra ragione: nella prima ipotesi, il giudice di rinvio è tenuto soltanto ad uniformarsi, ai sensi dell’art. 384, comma 1° c.p.c., al principio di diritto
enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; nella seconda ipotesi, il giudice non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma può anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata, tenendo conto, peraltro, delle preclusioni e decadenze già verificatesi; nella terza ipotesi, la potestas iudicandi del giudice di rinvio, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione ex novo dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, il cui conseguimento sia consentito in base alle direttive impartite dalla Corte di cassazione e sempre nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse (Sez. 3, n. 17240 del 15 giugno 2023).
Nel caso di specie, trattandosi di un rinvio a seguito di annullamento per vizio di motivazione, la Corte d’appello poteva valutare liberamente i fatti già accertati, ma anche indagare su altri fatti, ferme le preclusioni e decadenze già verificatesi (Sez. 2, n. 448 del 14 gennaio 2020).
E la Corte d’appello è pervenuta in esito all’esame del materiale probatorio -ad una conclusione plausibile e logica, alla luce dei requisiti richiesti per la declaratoria di usucapione ed ai relativi oneri probatori in capo all’COGNOME.
Pertanto, le doglianze finiscono per risolversi in una critica alla ricostruzione dei fatti da parte dei giudici di merito.
3.2. In particolare, i motivi, tutti in definitiva inerenti il ragionamento della Corte d’appello di Cagliari, s’infrangono contro il postulato, per il quale, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1° n. 5, c.p.c., non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il
sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6 Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Sez. U., n. 8053 del 7 aprile 2014; Sez. 1, n. 7090 del 3 marzo 2022).
3.3. E’ dunque opportuno ricordare in proposito che la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al presente giudizio qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito.
3.4. Per il resto, va ribadito che l’esame dei documenti esibiti e la valutazione degli stessi, come anche il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive,
dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 1, n. 19011 del 31 luglio 2017; Sez. 1, n. 16056 del 2 agosto 2016).
3.5. E, d’altronde, i n tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Sez. U. n. 20867 del 30 settembre 2020).
3.6. È, in conclusione, inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Sez. U, n. 34476 del 27 dicembre 2019; Sez. 1, n. 5987 del 4 marzo 2021).
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis c.p.c. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento di una somma, nei limiti di legge, in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione civile, rigetta il ricorso e condanna NOME COGNOME al pagamento delle spese processuali in favore di RAGIONE_SOCIALE, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 3.500 (tremila/500) per compensi, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%, nonché, ai sensi dell’art. 96 comma 3° c.p.c., al pagamento dell’importo di € 3.500 (tremila/500).
Condanna la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96 comma 4° c.p.c., al pagamento della somma di euro 3.000 (tremila) in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 13 marzo 2024