Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25624 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25624 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/09/2024
Oggetto: Possesso ad usucapionem di una quota.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15028/2023 R.G. proposto da
NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliati presso l’indirizzo PEC del predetto;
–
ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, nel cui studio, in INDIRIZZO), INDIRIZZO, e elettivamente domiciliato.
–
contro
ricorrente –
NOME SEBASTIANO
– intimato –
Avverso la sentenza n. 632/2023, emessa dalla Corte d’Appello di Catania, pubblicata il 5/4/2023 e notificata il 26/4/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 settembre 2024 dalla AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO;
Rilevato che:
Con atto di citazione notificato il 7/9/2007, COGNOME NOME convenne in giudizio NOME, esponendo che aveva esercitato il pacifico possesso, fin dagli anni ’40, del fondo rustico sito in agro di Pachino, c.d. Pianetti, costituito dalla porzione della stessa unità confinante ad ovest con terre di Cultraro Corradina, e che la convenuta, facendo valere la qualità di cointestataria per la quota di un sedicesimo dell’intero della medesima particella, gli aveva intimato con lettera raccomandata del 20/07/2007 il rilascio del fondo, e chiedendo che venisse riconosciuto il suo acquisto per usucapione del medesimo bene.
Costituitasi in giudizio, COGNOME COGNOME chiese il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la condanna dell’attore al rilascio del medesimo fondo, del quale la predetta fu autorizzata al sequestro con ordinanza ex art. 669quater cod. proc. civ. del 30/03/2010, revocata poi in sede di reclamo con ordinanza del 21/06/2010.
In seguito ad integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri comproprietari, anche mediante pubblici proclami, si costituì in giudizio altresì COGNOME NOME, a sua volta comproprietario di un ulteriore sedicesimo indiviso, il quale si associò alle tesi della sorella.
Con sentenza n. 595/2021 Del 31/03/2021, resa anche nei confronti di COGNOME NOME, subentrato al padre in seguito al decesso di quest’ultimo, il Tribunale di Siracusa accolse la domanda attorea e rigettò quella di rivendicazione avanzata dalla convenuta.
Il giudizio di gravame, incardinato su iniziativa di NOME con citazione notificata il 04/06/2021, si concluse, nella resistenza di COGNOME NOME, con la sentenza n. 632/2023, pubblicata il 5/4/2023, con la quale la Corte d’Appello di Catania respinse l’appello.
Contro la predetta sentenza, NOME NOME propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. COGNOME NOME si difende con controricorso. COGNOME NOME è rimasto invece intimato.
Questa Corte ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
In seguito a tale comunicazione, la ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso ed è stata perciò fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ..
Il controricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Considerato che :
Con il primo motivo, si lamenta ‘la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 163, 164 e 191 e ss. cod. proc. civ., la nullità per indeterminatezza della domanda e consulenza non integrativa, né sanante della nullità’, atteso che l’atto di citazione non specificava quale fosse il bene oggetto della pretesa, benché inserito in una particella avente una maggiore estensione, come, peraltro, dimostrato dalle modifiche della domanda via via intervenute nel corso dei due gradi di giudizio, e che questa lacuna non potesse essere colmata dalla c.t.u..
Col secondo motivo, si lamenta ‘la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2696, 1158, 1159 e 1141 cod. civ., l’onere della prova non assolto e la mancanza di motivazione’. La ricorrente ha evidenziato di avere assolto all’onere probatorio, dimostrando che i COGNOME stessero nella particella 81 in virtù di contratto di affitto, come confermato dai testi, così da escludere la presunzione di possesso, mentre i giudici di merito avevano qualificato detto potere di fatto in termini di possesso senza argomentare sulle prove offerte dall’appellante, oltre ad essersi
contraddetti allorché avevano affermato l’iniziale sussistenza di una detenzione che si era trasformata in possesso.
3. Col terzo motivo, si lamenta la ‘violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2696, 1158, 1159 e 1141 cod. civ., l’interversione del possesso, l’onere della prova non assolto e la mancanza e contraddittoria motivazione’. Ad avviso della ricorrente, i giudici di merito, che avrebbero dovuto sindacare l’intervenuta interversione del possesso, avevano valorizzato le opere compiute dall’appellato, ossia la realizzazione di un tunnel nel 1986 (non provato), la coltivazione del fondo e l’esborso di capitali, senza considerare che la coltivazione del fondo non esprime l’intenzione di possedere e che l’interversione del possesso non può consistere in un atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in atti esterni rivolti espressamente contro il possessore, non potendo essere tali né il mancato pagamento dei canoni del contratto, né la mancata riconsegna del bene. Inoltre, i giudici avevano valorizzato la vendita di tale COGNOME, ancorché la stessa fosse nulla per difetto di forma e dunque irrilevante.
4. La proposta di definizione del giudizio formulata ai sensi dell’art. 380bis cod. proc. civ. è del seguente tenore: « INAMMISSIBILITÀ e/o MANIFESTA INFONDATEZZA del ricorso avverso pronuncia su accoglimento domanda di usucapione (doppia conforme) per le seguenti ragioni: 1° motivo: inammissibile. La eventuale nullità, non sanata, dell’atto introduttivo carente dei requisiti prescritti dall’art. 163, comma 3, nn. 3) e 4), c.p.c., cui fa riferimento l’art. 164, comma 4, c.p.c., risolvendosi in motivo di nullità della sentenza conclusiva del giudizio di primo grado, ove non sia fatta valere in appello né dal soccombente né dal vincitore assolto dalla domanda di merito proposta nei suoi confronti, non può essere dedotta per la prima volta nella fase di cassazione, a causa della intervenuta preclusione derivante dal principio, affermato dall’art. 161 c.p.c., di conversione dei motivi di nullità della sentenza in
motivi d’impugnazione (Sez. 2, n. 2755 del 5 febbraio 2018). 2° motivo: inammissibile. In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione delle regole in tema di valutazione delle prove, occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione dell’art. 115 c.p.c., abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Sez. U, n. 20867 del 30 settembre 2020; Sez. 5, n. 16016 del 9 giugno 2021). Infatti, la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al presente giudizio qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito. 3 motivo: inammissibile. Va ribadito che l’esame dei documenti esibiti e la valutazione degli stessi, come anche il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre,
non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 1, n. 19011 del 31 luglio 2017; Sez. 1, n. 16056 del 2 agosto 2016). È, in conclusione, inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Sez. U., n. 34476 del 27 dicembre 2019) ».
5. Occorre innanzitutto osservare come il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo imponga al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 cod. proc. civ.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a produrre i suoi effetti. Ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione prima facie infondato, appare superfluo, pur potendone sussistere i presupposti, disporre la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio ovvero per la rinnovazione di una notifica nulla o inesistente, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti. (Cass.,
Sez. 6-3, 17/6/2019, n. 16141; Cass., Sez. 2, 21/5/2018, n. 12515).
Alla stregua di tali principi, appare perciò superfluo disporre la rinnovazione della notifica ai destinatari dell’atto già evocati in giudizio per pubblici proclami.
6. Il primo motivo è inammissibile.
Come questa Corte ha avuto più volte occasione di affermare, l’eventuale nullità, non sanata, dell’atto introduttivo carente dei requisiti prescritti dall’art. 163, terzo comma, nn. 3) e 4), cod. proc. civ., cui fa riferimento l’art. 164, quarto comma, cod. proc. civ., risolvendosi in motivo di nullità della sentenza conclusiva del giudizio di primo grado, ove non sia fatta valere in appello né dal soccombente né dal vincitore assolto dalla domanda di merito proposta nei suoi confronti, non può essere dedotta per la prima volta nella fase di cassazione, a causa della intervenuta preclusione derivante dal principio, affermato dall’art. 161 cod. proc. civ., di conversione dei motivi di nullità della sentenza in motivi d’impugnazione (Cass., Sez. 2, 5/2/2018, n. 2755; Cass., Sez. 2, 3/11/2000, n. 14348; Cass., Sez. 1, 15/11/1995, n. 11827).
Poiché la ricorrente ha omesso di censurare in appello, anche sotto questo profilo, la sentenza di primo grado, non essendovi, peraltro, alcun richiamo sul punto in quella impugnata, deve dichiararsi l’inammissibilità della censura.
Il secondo e il terzo motivo, da trattare congiuntamente in ragione della stretta connessione, siccome afferenti entrambi alla prova del possesso, del titolo detentivo e della asserita necessità di un’interversione del possesso, sono parimenti inammissibili.
Nel confermare quanto affermato nella proposta, occorre ulteriormente evidenziare come la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configuri unicamente nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta
norma, non anche quando il ricorrente intenda lamentare, come avviene nella censura in esame, che, a causa di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, la sentenza impugnata abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere (Cass., Sez. 2, 21/3/2022, n. 9055).
Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo, infatti, ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ. -dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass., Sez. 1, 26/9/2018, n. 23153; Cass., Sez. 3, 10/6/2016, n. 11892), sia perché la contestazione della persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione, non più censurabile secondo il nuovo parametro di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., sia perché con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, contrapponendovi le proprie, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie concreta operate dai giudici del merito, trattandosi di accertamento di fatto, precluso in sede di legittimità ( ex plurimis Cass., Sez. 1, 6/11/2023, n. 30844; Cass., Sez. 5, 15/5/2018, n. 11863, Cass., Sez. 6-5, 7/12/2017, n. 29404; Cass., Sez. 1, 2/8/2016, n. 16056).
In tema di prova, spetta, infatti, in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare, secondo il suo prudente apprezzamento, le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove,
di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante (in questi termini, Cass., Sez. L, 13/6/2014, n. 13485).
Non può allora la ricorrente dolersi che i giudici di merito abbiano ritenuto provato il possesso ad usucapionem del bene in capo al controricorrente, in quanto circostanza puramente meritale, né che abbiano trascurato di considerare la prova da essa offerta in ordine al titolo detentivo che giustificava la presenza della controparte sul terreno.
Sotto questo profilo, infatti, la censura neppure coglie la ratio decidendi della pronuncia, la quale esamina invero la questione, ma per dire che, alla stregua delle dichiarazioni dei testi e delle verifiche effettuate in loco dal c.t.u., il titolo detentivo riguardava una porzione di fondo diversa da quella oggetto della domanda di usucapione, che atteneva, invece, ad una quota venduta da tale COGNOME all’originario attore, sia pure con contratto nullo per difetto di forma, ciò che rende superflua tutta l’argomentazione che verte sulla mancata dimostrazione della interversione nel possesso.
Peraltro, la considerazione contenuta in sentenza, secondo la quale ‘ ammesso e non concesso che il COGNOME abbia iniziato a godere del fondo de quo da mero detentore nomine alieno , dovrebbe non di meno riconoscersi che il predetto abbia iniziato a possedere uti dominus dal momento in cui detti tunnel realizzava sui luoghi ‘, costituisce soltanto una delle argomentazioni adoperate dalla Corte d’Appello per qualificare in termini di possesso l’utilizzo in fatto del bene da parte dell’appellato, la quale va ad aggiungersi, peraltro in
via subordinata, a quella che, nel distinguere il terreno A da quello B, precisa che la domanda di usucapione aveva avuto ad oggetto solo il primo, aspetto questo rispetto al quale nessuna censura è stata proposta.
In conclusione, dichiarata l’inammissibilità delle tre censure, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico della ricorrente.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge – in favore della cassa delle ammende.
10. Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 2.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge; condanna altresì il ricorrente, ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma
ulteriore liquidata in € 2.100,00, nonché al pagamento della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende; dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12/9/2024.