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Usucapione PA: quando un Comune può usucapire?

Un Comune, dopo aver occupato per decenni un terreno di proprietà dello Stato e avervi costruito una scuola, ha chiesto di esserne dichiarato proprietario per usucapione. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, chiarendo un punto fondamentale sull’usucapione PA: se l’occupazione iniziale avviene sulla base di un atto amministrativo, si configura come mera detenzione e non come possesso. In assenza di un atto formale di ‘interversione del possesso’, ovvero un’azione che manifesti inequivocabilmente l’intenzione di possedere il bene come proprio contro la volontà del titolare, non possono maturare i termini per l’usucapione. La Corte ha inoltre confermato la condanna del Comune al risarcimento dei danni per l’occupazione illegittima.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Usucapione PA: la costruzione di una scuola non basta per diventare proprietari

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un caso emblematico di usucapione PA, chiarendo i limiti e le condizioni necessarie affinché una Pubblica Amministrazione possa acquisire la proprietà di un bene appartenente a un altro ente pubblico. La vicenda, che vede contrapposti un Comune e lo Stato, ruota attorno a un terreno occupato per decenni e trasformato con la costruzione di un edificio scolastico. La decisione offre spunti cruciali sulla differenza tra possesso e detenzione nel diritto amministrativo e sull’onere della prova in capo all’ente che intende usucapire.

I fatti di causa

La controversia ha origine negli anni ’60, quando un Comune ha occupato un’area di proprietà dello Stato per realizzarvi una Scuola Media Statale. L’opera pubblica, inclusi gli annessi accessi, è stata completata nel 1970. Decenni dopo, nel 2003, il Comune ha citato in giudizio le Amministrazioni statali per ottenere una sentenza che accertasse l’avvenuta acquisizione della proprietà dell’area per effetto dell’irreversibile trasformazione del suolo o, come successivamente riqualificato, per usucapione.

Le Amministrazioni statali si sono opposte, sostenendo che l’area, per la sua natura, non fosse suscettibile di usucapione e hanno richiesto, in via riconvenzionale, la restituzione del terreno, la demolizione delle opere e il risarcimento dei danni per l’occupazione illegittima.

Il percorso giudiziario e la decisione sull’usucapione PA

Il Tribunale di primo grado aveva rigettato la domanda del Comune, qualificandola come domanda di usucapione e ritenendo il bene non usucapibile. Aveva inoltre condannato l’ente locale al rilascio dell’area e al risarcimento del danno. La Corte d’Appello, pur riformando parzialmente la sentenza, ha confermato il rigetto della domanda di acquisto della proprietà. La Corte territoriale ha evidenziato un aspetto fondamentale: l’occupazione del terreno da parte del Comune era iniziata in virtù di una dichiarazione di pubblica utilità emessa dal Prefetto. Questo atto amministrativo, secondo i giudici, qualificava la disponibilità del bene come mera detenzione e non come possesso utile ai fini dell’usucapione.

La distinzione chiave: possesso vs. detenzione

La Corte di Cassazione ha confermato questa linea interpretativa. Per aversi usucapione, è necessario il ‘possesso’, ovvero un potere di fatto sul bene che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà (animus possidendi). La ‘detenzione’, invece, si ha quando si dispone materialmente del bene ma si riconosce l’altrui diritto di proprietà. Nel caso di specie, l’acquisizione della disponibilità dell’area da parte del Comune, essendo avvenuta a seguito di un provvedimento amministrativo (la dichiarazione di pubblica utilità), era funzionale a un procedimento espropriativo mai concluso. Di conseguenza, il Comune ha iniziato a disporre del terreno come semplice detentore e non come possessore.

L’onere della prova e l’interversione del possesso

Per trasformare la detenzione in possesso, il Codice Civile richiede un atto di ‘interversione’, cioè un’azione materiale o giuridica che manifesti in modo inequivocabile al proprietario l’intenzione di iniziare a possedere il bene per sé. Il Comune sosteneva che la costruzione della scuola e la gestione dell’area per decenni costituissero prova sufficiente del possesso uti dominus. La Cassazione ha respinto questa tesi. La realizzazione dell’opera pubblica, essendo stata autorizzata dallo stesso provvedimento che ha dato origine alla detenzione, non può essere considerata un atto di opposizione contro il proprietario (lo Stato). Il Comune non ha fornito la prova di alcun atto specifico volto a mutare la sua condizione da detentore a possessore.

Il risarcimento del danno per occupazione illegittima

Un altro punto centrale della decisione riguarda il risarcimento del danno. Il Comune lamentava che le Amministrazioni statali non avessero provato alcun danno concreto. La Corte ha chiarito che, sebbene il danno da occupazione illegittima non sia in re ipsa (automatico), può essere provato anche per presunzioni. I giudici hanno ritenuto che la perdita della disponibilità di un’area con un notevole valore economico, situata in una zona ad alta urbanizzazione, costituisse un ‘danno conseguenza’ presunto. Lo Stato è stato privato della possibilità di utilizzare economicamente il bene, e il Comune non ha offerto elementi concreti per superare questa presunzione di redditività.

Le motivazioni

Le motivazioni della Suprema Corte si fondano su principi consolidati. In primo luogo, quando una Pubblica Amministrazione acquisisce la disponibilità di un bene in virtù di un provvedimento amministrativo, si configura una situazione di detenzione. Per poter maturare l’usucapione, è indispensabile che l’ente occupante provi il compimento di atti materiali specificamente rivolti contro il proprietario, che rendano palese la volontà di esercitare un potere esclusivo sul bene. La mera inerzia del proprietario o la realizzazione dell’opera pubblica autorizzata non sono sufficienti a tal fine. In secondo luogo, per quanto riguarda il danno, la Corte ha applicato il principio secondo cui il pregiudizio derivante dalla perdita di godimento di un bene fruttifero può essere presunto, invertendo l’onere della prova a carico del danneggiante, che deve dimostrare l’assenza di un possibile sfruttamento economico del bene.

Le conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio cruciale per i rapporti patrimoniali tra enti pubblici: l’usucapione PA non è un esito automatico di un’occupazione prolungata, anche se finalizzata alla realizzazione di un’opera di pubblica utilità. È necessario dimostrare un possesso pieno ed esclusivo, che non può sussistere se l’apprensione del bene è avvenuta sulla base di un titolo che la qualifica come detenzione. La decisione sottolinea l’importanza della correttezza delle procedure amministrative e conferma che l’occupazione illegittima, anche se perpetrata da un ente pubblico, genera un obbligo risarcitorio a favore del proprietario del bene.

Una Pubblica Amministrazione può usucapire un bene di un’altra Amministrazione?
Sì, in astratto è possibile, ma solo se sussistono tutti i requisiti del possesso utile per l’usucapione, incluso l’animus possidendi. Se la disponibilità del bene deriva da un atto amministrativo (come una dichiarazione di pubblica utilità), si tratta di mera detenzione e non di possesso, impedendo così l’usucapione.

La costruzione di un’opera pubblica su un terreno altrui è sufficiente per dimostrare il possesso utile all’usucapione?
No. Secondo la Corte, se l’occupazione è iniziata come detenzione in virtù di un provvedimento amministrativo che autorizzava la realizzazione dell’opera, la costruzione stessa non costituisce un atto di ‘interversione del possesso’ idoneo a mutare la detenzione in possesso.

Il danno da occupazione illegittima di un immobile è automatico (in re ipsa)?
No. La Corte ha ribadito che il danno non è automatico ma è un ‘danno conseguenza’. Tuttavia, la sua esistenza può essere presunta sulla base di elementi oggettivi, come la natura economica del bene e la sua ubicazione, se la parte danneggiante non fornisce prove che dimostrino l’impossibilità di uno sfruttamento economico del bene.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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