Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5063 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5063 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16365/2019 R.G. proposto da :
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME, COGNOME, COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrenti-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 106/2019 depositata il 15/01/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che:
1.NOME COGNOME, proprietario di una ‘casa a schiera facente parte di un edificio trifamiliare’ in Comune di Negrar, conveniva davanti al Tribunale di Verona, NOME e NOME COGNOME, proprietari confinanti, chiedendone la condanna alla riduzione in pristino del muro di confine, innalzato e modificato nella conformazione, ed al risarcimento del danno da riduzione di visuale e da impossibilità, per l’attore, di ampliare il suo immobile.
I convenuti si costituivano opponendosi alle domande.
Il contraddittorio veniva integrato nei confronti di NOME COGNOME moglie in regime di comunione legale di NOME COGNOME e quindi comproprietaria, con i convenuti del muro di cui era chiesto il ripristino, la quale si opponeva anch’essa alle domande e spiegava domanda riconvenzionale di acquisto per usucapione del diritto a mantenere il muro così come era.
Il Tribunale accoglieva in parte le domande dell’attore . Segnatamente – per quanto ancora interessa – condannava i convenuti e la intervenuta al ripristino del muro e negava il risarcimento del danno.
I convenuti NOME e NOME COGNOME e la COGNOME proponevano appello.
NOME COGNOME proponeva appello incidentale censurando la decisione del Tribunale in ordine al mancato riconoscimento del risarcimento del danno.
La Corte di Appello di Venezia, con sentenza 106 del 2019, accoglieva in parte l’appello principale ritenendo fondata la domanda riconvenzionale di acquisto per usucapione del diritto a mantenere il muro all’altezza e nella sua conformazione.
La Corte di Appello tanto riteneva sul rilievo che l’azione del COGNOME era stata proposta il 29 aprile 2013 mentre, come emerso dalle prove testimoniali, l’innalzamento del muro era stato completato nel 1989. La Corte precisava che nel 1989 erano state anche realizzate, per le parti ‘strutturali e al grezzo’, le scale addossate al muro e un locale coperto da terrazza e che queste opere erano state poi completate con la ‘pavimentazione delle scale e del terrazzo’, tra il 1992 e l’estate del 1993;
2. L’originario attore NOME COGNOME ricorre con cinque motivi per la cassazione della sentenza della Corte di Appello.
NOME e NOME COGNOME e NOME COGNOME resistono con controricorso;
le parti hanno depositato memorie;
considerato che:
1.con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 5, comma 1bis, d.lgs. 4 marzo 2010, n 28 e del d.l. 21 giugno 2013, n. 69 conv. in legge 9 agosto 2013, n, 98, nonché degli artt. 102, 354, primo comma, e 383, terzo comma. c.p.c. Si deduce che la Corte di Appello ha erroneamente escluso la inammissibilità o improcedibilità della domanda riconvenzionale di usucapione proposta da NOME COGNOME non preceduta dalla mediazione obbligatoria nei confronti dei tre condomini confinanti, ossia il ricorrente e i due proprietari delle altre case facenti parte dell’ ‘edificio trifamiliare’ in cui era inserita la ‘casa a schiera’ del ricorrente medesimo. Si deduce inoltre che la Corte di Appello ha omesso di rilevare, in riferimento a tale domanda, il difetto di integrazione del contraddittorio nei confronti di detti comproprietari, litisconsorti necessari in quanto ‘il preteso diritto a mantenere’ il muro così come era ‘non incideva sulla sfera dei diritti del solo attore ma sull’intero condominio’.
La prima doglianza è riferita alla affermazione della Corte di Appello per cui l’esperimento della procedura di mediazione non è richiesto
per le domande riconvenzionali dal momento che la procedura ‘ha funzione deflattiva dell’azione giudiziale che nel caso della domanda riconvenzionale del chiamato in causa è già iniziata e non cesserebbe neanche qualora la mediazione eliminasse la domanda riconvenzionale’;
il motivo è infondato quanto alla prima doglianza e inammissibile quanto alla seconda.
Quest’ultima ha priorità logica sulla seconda.
2.1. La giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente sottolineato (v. per tutte, n.11043 del 05/04/2022) che la parte che solleva l’eccezione di non integrità del contraddittorio ha l’onere, a pena di inammissibilità del motivo ai sensi dell’art. 366 c.p.c. di indicare le persone che debbano partecipare al giudizio quali litisconsorti necessari e di indicare gli atti del processo di merito dai quali dovrebbe trarsi la prova dei presupposti di fatto che giustificano la sua eccezione.
Nel caso di specie il ricorrente non ha assolto all’onere suddetto, avendo solo menzionato non identificati ‘condomini’ proprietari di altre case a schiera senza fornire le informazioni richieste.
2.2. Quanto all’altro profilo di censura, è corretta l’affermazione della Corte di Appello secondo cui la domanda riconvenzionale proposta da NOME COGNOME non era soggetta alla procedura di mediazione. Con recente sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte (n.3452 del 07/02/2024) è stato affermato il seguente principio di diritto, valevole cioè sia per le domande riconvenzionali collegate all’oggetto della lite sia per le domande riconvenzionali c.d. ‘eccentriche’ ovvero in nessun modo ‘obiettivamente ricollegabili all’oggetto’ della causa (v. punto 2 della motivazione della sentenza delle Sezioni Unite): la mediazione obbligatoria ex art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, quale condizione di procedibilità finalizzata al raggiungimento di una soluzione conciliativa che scongiuri l’introduzione della causa, è applicabile al solo atto
introduttivo del giudizio e non anche alle domande riconvenzionali, fermo restando che al mediatore compete di valutare tutte le istanze e gli interessi delle parti ed al giudice di esperire il tentativo di mediazione, ove possibile, per l’intero corso del processo.
Le Sezioni Unite, dopo avere evidenziato le ragioni di carattere letterale e logico sistematico dell’esclusione della mediazione obbligatoria per le domande riconvenzionali (v. motivazione punto 3), hanno anche fatto un riferimento specifico al caso di cui si tratta anche nel presente processo, di domanda proposta dal terzo chiamato laddove (punto 3.3.2.3.) hanno affermato che la mediazione obbligatoria è finalizzata a rendere più rapida e meno onerosa per tutti la risoluzione della controversia, quando questa sia ormai comunque instaurata, che l’effetto deflattivo, il principio di ragionevole durata e il divieto di inutili intralci allo svolgimento del processo, portano a concludere che la mediazione svolge un ruolo proficuo, solo se non si presti ad eccessi o abusi e che la soluzione che volesse sottoporre alla mediazione ‘ogni domanda fatta valere in giudizio, diversa ed ulteriore rispetto a quella inizialmente introdotta dall’attore, non solo, quindi, la domanda riconvenzionale ma anche … la domanda proposta da e contro terzi interventori, volontari o su chiamata’, finirebbe per contraddire il già segnalato intento di velocizzare e rendere meno onerosa per tutti la risoluzione della controversia già pendente;
3. con il secondo motivo di ricorso si lamenta ‘violazione o falsa applicazione degli artt. 102, 106, 167, 268 c.p.c., 1100, 1101, 1102, 1140, 1158, 873 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c.’. Il ricorrente sostiene che la Corte di Appello, accogliendo la domanda riconvenzionale di acquisto per usucapione proposta da NOME COGNOME avrebbe violato le disposizioni indicate in quanto tra la stessa COGNOME e i COGNOME sussiste una comunione, ‘le opere eseguite dalla comunione nell’area di rispetto tra due case confinanti possono essere oggetto di usucapione solo in favore
della comunione stessa unitariamente considerata’, la domanda di usucapione dei Guardini era stata proposta tardivamente essendosi i Guardini costituiti in primo grado oltre i termini di cui agli artt. 166 e 167 c.p.c., essi erano quindi ‘decaduti dalla domanda’, la domanda di usucapione della NOME non poteva essere accolta dato che ‘la comunione rappresentata dalla maggioranza dei partecipanti era decaduta dalla possibilità di domandare l’usucapione’, la NOME non aveva mai provato il suo possesso ‘solitario’ ventennale in ordine al diritto di mantenere le opere ‘abusive’, la COGNOME non era comproprietaria della opere suddette giacché, trattandosi di opere abusive, non poteva averle acquistate con atto di compravendita, la COGNOME non era neppure litisconsorte necessaria dato che non era proprietaria delle opere in questione ed avrebbe dovuto essere considerata semplice interveniente ad adiuvandum;
4. il motivo è infondato.
I termini esatti della questione sono questi:
NOME COGNOME è stata chiamata in causa come litisconsorte necessaria rispetto alla domanda principale di riduzione in pristino di un muro insistente su un fondo di cui la stessa era comproprietaria. Tanto emerge dalla sentenza impugnata. L’azione proposta in origine dall’ attore-attuale ricorrente contro i soli COGNOME vedeva la COGNOME come contraddittore in forza del principio per cui nelle azioni a tutela delle distanze legali sono contraddittori necessari tutti i comproprietari pro indiviso dell’immobile confinante, quando ne sia chiesta la demolizione o il ripristino, essendo altrimenti la sentenza “inutiliter data” (v., tra molte, Sez. 1, Sentenza n. 1841 del 30/03/1979: ‘Nel giudizio promosso per conseguire la rimozione di una costruzione, illegittimamente realizzata in violazione delle distanze legali nei rapporti di vicinato, sono litisconsorti necessari tutti i comproprietari del fondo su cui l’opera medesima si trova, in
quanto la sentenza resa nei confronti di alcuni soltanto di essi resterebbe inutiliter data, perché non eseguibile nei confronti degli altri’);
la NOME, però, ha chiesto a sua volta accertarsi l’acquisto per usucapione del diritto di mantenere il muro così come era. In sostanza la NOME ha proposto una azione confessoria servitutis.
La tesi del ricorrente, per cui questa azione avrebbe dovuto essere proposta congiuntamente da tutti i comunisti, cioè dalla COGNOME e dai COGNOME assieme, non tiene conto del principio per cui ‘In tema di giudizio diretto all’accertamento dell’usucapione, la fattispecie del litisconsorzio necessario ricorre esclusivamente nel caso in cui la pluralità soggettiva sia rinvenibile dal lato passivo del rapporto, cioè tra coloro in danno dei quali la domanda è diretta, non anche nell’ipotesi in cui essa si riscontri dal lato attivo, atteso che, in tale evenienza, l’azione proposta è diretta a costituire una situazione compatibile con la pretesa che i soggetti non citati in giudizio potranno eventualmente vantare in futuro’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n.6163 del 20/03/2006; Cass, n.14522/2012; Cass. n. 202 del 11/01/1979; v. altresì Cass. n.35593/2023, ove in motivazione si afferma che ‘ a fronte di una domanda principale di rilascio di un bene nei confronti di un condominio è stata proposta riconvenzionale di accertamento dell’usucapione. Pertanto, vi è litisconsorzio necessario proprio e solo per la domanda principale, non anche per la riconvenzionale. Infatti, in caso di domanda di accertamento dell’usucapione, ricorre il litisconsorzio necessario unicamente ove la pluralità di soggetti si collochi dal lato passivo, cioè ove siano più di uno i soggetti nei cui confronti è diretta la domanda cosicché tutti costoro devono partecipare al processo, non anche nel caso in cui la pluralità si riscontri dal lato attivo. Infatti, in tal caso, la domanda, ove accolta, conduce all’accertamento di un diritto di cui potranno giovarsi anche gli altri soggetti che non hanno partecipato al giudizio, come attori in
riconvenzionale, nel caso di specie’; esattamente negli stessi termini, anche Cass. n.18286/2020, in motivazione).
Nessun rilievo assume il fatto a cui il ricorrente fa cenno per cui la COGNOME sarebbe divenuta comproprietaria del fondo su cui il muro insiste, ex lege, essendo già stato specificato che il già citato principio di insussistenza del litisconsorzio necessario in caso di azione confessoria servitutis vale anche se la domanda di usucapione è proposta da un coniuge in regime di comunione legale: ‘Nel giudizio diretto all’accertamento dell’usucapione, proposto da un coniuge in regime di comunione legale dei beni, non sussiste il litisconsorzio necessario dell’altro coniuge, quale acquirente “ope legis”, agli effetti dell’art. 177, primo comma, lettera a), cod. civ., occorrendo la presenza in causa di tutti i comproprietari esclusivamente nel caso in cui la pluralità soggettiva sia rinvenibile dal lato passivo del rapporto, cioè tra coloro in danno dei quali la domanda di usucapione è diretta, non anche nell’ipotesi in cui essa si riscontri dal lato attivo, atteso che, in tale evenienza, l’azione proposta è diretta a costituire una situazione compatibile con la pretesa che i soggetti non citati in giudizio potranno eventualmente vantare in futuro’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n.15522 del 14/08/2012).
Va infine rilevato che la contestazione del possesso della NOME è inammissibile per due concorrenti ragioni: la Corte di Appello ha espressamente riferito il possesso dalla stessa accertato sulla base di testimonianze, anche alla NOME e la contestazione si riduce ad una affermazione fattuale contraria ad un accertamento della Corte di Appello, insindacabile; la contestazione deve ritenersi nuova, cioè avanzata solo in questa sede dato che il ricorrente non precisa quando sarebbe stata sollevata nel merito;
5. con il terzo motivo di ricorso si lamenta ‘violazione o falsa applicazione degli artt. 872, 873, 934, 1140, 1143, 1158, 1163, 1165 c.c., 20, primo comma lettera b), della l n. 47/85 ora art. 44
d.P.R. 380/2001; 5, sesto comma, d.lgs. 28/2010; 392-631 c.p. in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c.’.
Il ricorrente sostiene che la Corte di Appello avrebbe giudicato senza accertare il possesso ultraventennale della Deiana, avrebbe giudicato sulla base dell’accertamento del possesso ultraventennale dei soli Guardini senza considerare che, essendo questi ‘decaduti’ dalla domanda di usucapione, tale accertamento non aveva rilievo. Lamenta altresì il ricorrente che la Corte di Appello non avrebbe tenuto conto del fatto che il possesso della Deiana non sarebbe stato utile ad usucapionem perché il muro sarebbe stato ‘ abusivo ‘ e fuori commercio, che detto possesso non sarebbe stato pacifico essendo stato oggetto di continue ‘proteste’ da parte di esso ricorrente, che il possesso sarebbe stato acquistato in modo violento, in particolare dovendosi ritenere la violenza sussistente sia perché la sopraelevazione era stata effettuata ‘senza permesso e senza prima aver chiesto e pagato la medianza’, il che ‘costituiva di per sé un atto violento’, sia in relazione ad ‘un altro elemento attestante l’origine violenta’ costituito dal fatto che la sopraelevazione era abusiva e penalmente illecita ai sensi dell’art. 20 lett. b) l.n. 47/85 e dell’art. 44 d.P.R. 380/2001. Il ricorrente, sotto altro profilo, contesta l’affermazione della Corte di Appello per cui l’inizio del termine di usucapione risaliva all’anno 1989 quando il completamento delle opere era avvenuto nel 1993. Aggiunge che la Corte di Appello non avrebbe ‘rilevato le omissioni e i silenzi del CTU’ il quale avrebbe a sua volta omesso di dare conto in modo preciso di plurime violazioni delle norme sulle distanze commesse dai COGNOME. Insiste, infine, sul carattere abusivo e quindi ‘fuori commercio’ di tutte le opere realizzate dagli attuali controricorrenti;
6. il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
Va ricordato che la Corte di Appello ha accertato, sulla base delle testimonianze di NOME COGNOME, di COGNOME e del
‘geometra COGNOME‘, che la realizzazione del muro, ‘nella sua conformazione e sopraelevazione’, ‘si situa al più tardi nel 1989’. La Corte di Appello, dato che la domanda giudiziale era stata proposta dal COGNOME nel 2013, ha concluso che ‘risulta usucapito il diritto di mantenere le opere realizzate dai Guardini-Deiana sul confine’.
Va altresì ricordato che la Corte di Appello ha affermato che nessun rilievo, rispetto al decorso del termine di usucapione’ , poteva essere annesso al fatto che le opere erano state condonate ‘successivamente’.
Va infine ricordato che la Corte di Appello ha poi affermato che nessuna efficacia interruttiva del possesso poteva essere attribuita alle ‘richieste scritte e alle diffide’ inviate dal COGNOME alla controparte essendo la interruzione possibile o mediante tempestivi, ‘idonei atti giudiziari’ o mediante atti comportanti la materiale sottrazione della cosa al possessore.
Il motivo è inammissibile in riferimento a tutte le censure che o non sono correlate alla decisione impugnata, che introducono questioni da ritenersi nuove e che sono basate su allegazioni di elementi di fatto da ritenersi anch’essi nuovi in assenza di riferimenti a quando sarebbero stati prospettati nel merito, oppure si riducono ad affermazioni di fatto contrastanti con quanto accertato dalla Corte di Appello: è già stato detto, con riguardo al terzo motivo di ricorso, delle contestazioni sul possesso della Deiana; deve ritenersi nuova ogni questione, di cui non vi è traccia nella sentenza, sul preteso vizio del possesso in quanto acquistato violentemente; devono ritenersi nuove e legate a circostanze fattuali nuove tutte le questioni relative al contenuto della CTU; tende a contrastare un preciso accertamento della Corte di Appello l’affermazione per cui la decorrenza del termine di usucapione dovrebbe essere ancorata al 1993.
Il motivo è infondato per la parte in cui si deduce che la Corte di Appello avrebbe dovuto dare rilievo al carattere abusivo delle opere escludendo che le stesse potessero essere usucapite in quanto fuori commercio.
La Corte di Appello, in primo luogo, ha affermato che dalla CTU di primo grado era emerso che ‘le opere realizzate dai signori COGNOME/COGNOME sono legittime’. In ogni caso la deduzione in esame, quand’anche le opere fossero state, sotto il profilo amministrativo, ‘illegittime’ o ‘abusive’, sarebbe stata inconferente alla luce del principio per cui ‘è ammissibile l’acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella fissata dal codice civile o dai regolamenti e dagli strumenti urbanistici anche nel caso in cui la costruzione sia abusiva, atteso che il difetto della concessione edilizia esaurisce la sua rilevanza nell’ambito del rapporto pubblicistico, senza incidere sui requisiti del possesso <>’ (Cass. n.25843 del 05/09/2023; si veda altresì Cass. n.1395/2017).
Il motivo è parimenti infondato per la parte in cui si contesta l’affermazione della Corte di Appello secondo la quale nessuna efficacia interruttiva del possesso poteva essere attribuita alle ‘richieste scritte e alle diffide’ inviate dal COGNOME alla controparte essendo la interruzione possibile o mediante tempestivi, ‘idonei atti giudiziari’ o mediante atti comportanti la materiale sottrazione della cosa al possessore. L’affermazione della Corte di Appello è corretta atteso che gli atti interruttivi del possesso sono solo quelli aventi natura recuperatoria e demolitoria tassativamente previsti dal comb. disp. degli artt. 1165 e 2943 c.c. e non le richieste o diffide. Si vedano, nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità, tra altre, la sentenza n.9845 del 19/06/2003 (‘In tema di usucapione, il rinvio dell’art. 1165 cod. civ. alle norme sulla prescrizione in generale e, in particolare, a quelle dettate in tema
di sospensione ed interruzione, incontra il limite della compatibilità di queste con la natura stessa dell’usucapione, con la conseguenza che non è consentito attribuire efficacia interruttiva del possesso se non ad atti che comportino, per il possessore, la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa, oppure ad atti giudiziali siccome diretti ad ottenere, “ope iudicis”, la privazione del possesso nei confronti del possessore usucapiente, con la conseguenza che, mentre può legittimamente ritenersi (come nel caso di specie) atto interruttivo del termine della prescrizione acquisitiva la notifica dell’atto di citazione con il quale venga richiesta la materiale consegna di tutti i beni immobili dei quali si vanti un diritto dominicale (nella specie, perché assegnati in proprietà esclusiva con sentenza passata in giudicato per effetto di divisione in lotti di un compendio ereditario), atti interruttivi non risultano, per converso, ne’ la diffida ne’ la messa in mora, potendosi esercitare il possesso anche in aperto contrasto con la volontà del titolare del corrispondente diritto reale’) e la sentenza n.6029/2019 (che, sul richiamo ad alcuni precedenti -Cass. Sez. 2, Sentenza n.14659 del 27/08/2012, Rv.623921; Cass. Sez. 2, Sentenza n.16234 del 25/07/2011, Rv.618663 e Cass. Sez. 2, Sentenza n.13625 dell’11/06/2009, Rv.608623-, ribadisce il principio per cui “In tema di possesso ad usucapionem, con il rinvio fatto dall’art.1165 all’art.2943 c.c. la legge elenca tassativamente gli atti interruttivi, cosicché non è consentito attribuire tale efficacia ad atti diversi da quelli stabiliti dalla norma, per quanto con essi si sia inteso manifestare la volontà di conservare il diritto, giacché la tipicità dei modi di interruzione della prescrizione non ammette equipollenti”); 7. con il quarto motivo di ricorso si lamenta ‘violazione o falsa applicazione degli artt. 905, 906, 1140, 1143, 1158 c.c. nonché degli artt. 102 e 354, primo comma, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, c.p.c.’.
Il motivo, in primo luogo ripropone la questione proposta con il primo motivo, per cui la Corte di Appello avrebbe pronunciato inutilmente in quanto sarebbero rimasti esclusi dal processo, in violazione degli artt. 102 e 354 c.p.c., i due proprietari delle altre case facenti parte dell”edificio trifamiliare’ in cui era inserita la ‘casa a schiera’ del ricorrente.
Il motivo, in secondo luogo, veicola una serie di affermazioni su servitù di veduta che si eserciterebbero ‘dai pianerottoli e dalle due terrazze e dalla ringhiera’ della proprietà dei COGNOME e della COGNOME sul ‘fondo condominiale e sulla terrazza’ del ricorrente.
Il motivo, in terzo luogo, solleva di nuovo la questione della assenza del possesso della Deiana;
8. il motivo è inammissibile per la prima parte, ripropositiva delle censure relative alla dedotta violazione degli artt. 102 e 354 c.p.c. E’ sufficiente il rinvio a quanto affermato, riguardo tali censure, in riferimento al primo motivo di ricorso.
Il motivo è inammissibile per la parte relativa a pretese servitù di veduta che si eserciterebbero da scale, terrazze o ringhiere perché si riduce ad affermazioni del tutto scollegate dalla sentenza impugnata nella quale si legge di servitù di veduta ‘dal muro divisorio’, per di più, accertate inesistenti: ‘nessun diritto di veduta risulta violato nel caso che ci occupa dal momento che il muro sopraelevato non ha aperture e non consente di affacciarsi essendo anche sovrastato da una rete metallica’.
Il motivo è inammissibile per la parte ripropositiva delle contestazioni sul possesso della NOME. E’ sufficiente il rinvio a quanto affermato, riguardo a dette contestazioni, in riferimento al secondo motivo di ricorso;
8. con il quinto motivo di ricorso si lamenta ‘violazione o falsa applicazione degli artt. 872, 873, 1126 c.c. e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c.’.
Si deduce che ‘il danno da costruzione abusiva che viola le distanze legali è in re ipsa’, che la Corte di Appello avrebbe dovuto liquidare al ricorrente il risarcimento su base equitativa ‘utilizzando i criteri valutativi che le prove acquisite in causa le mettevano a disposizione’, che la Corte di Appello avrebbe violato l’art. 112 c.p.c. negando il risarcimento per difetto di prova del danno;
9. il motivo è infondato.
Va premesso che la Corte di Appello ha dato conto del fatto che l’attuale ricorrente, allora appellante incidentale, aveva, fino dal primo grado, chiesto la condanna dei proprietari confinanti, oltre che a rimettere in pristino il muro di confine, ‘al risarcimento del danno da riduzione di visuale e da impossibilità di ampliare la sua proprietà’.
La Corte di Appello non ha trascurato di pronunciarsi su tale domanda.
Non ha, quindi, commesso alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c. che, come noto, detta il principio della corrispondenza, necessaria e doverosamente completa, tra le domande delle parti e le statuizioni giudiziali, imponendo al giudice di pronunciare su ogni domanda ed eccezione sottopostagli.
La Corte di Appello ha espressamente ‘respinto’ la domanda evidenziando che, come emerso dalla CTU, ‘il muro e il suo innalzamento risultano esattamente sul confine’, e il muro sopraelevato aveva una altezza tale che ‘non riduce la visibilità e panoramicità della proprietà Visentini’.
Il motivo si basa sull’assunto per cui la Corte di Appello avrebbe negato il risarcimento ritenendo indimostrata l’entità del danno che sarebbe stata invece ricavabile da -peraltro imprecisati’criteri valutativi che le prove le mettevano a disposizione’. La Corte ha negato il risarcimento per una ragione diversa ossia perché ha escluso l’illecito.
Si aggiunge per completezza che, in caso di violazione di distanze legali, l’esistenza del danno non è in re ipsa ma, come questa Corte ha precisato, ‘può essere provata attraverso le presunzioni, tenendo conto di fattori, utili anche alla valutazione equitativa, e da cui si desuma una riduzione di fruibilità della proprietà, del suo valore e di altri elementi che vanno allegati e provati dall’attore’ (Cass. Sez. 2 – , ordinanza n.17758 del 27/06/2024 (Rv. 671712 02);
in conclusione il ricorso deve essere rigettato;
le spese seguono la soccombenza; sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato.
PQM
la Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente a rifondere ai controricorrenti le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € . 4.000,00, per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma 23 gennaio 2025.