Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3751 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3751 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 26680-2021 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO nello studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentato e dife so dall’avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO NOME COGNOME n. INDIRIZZO, nello studio dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avv. NOME COGNOME ;
– controricorrente –
nonchè contro
COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO , nello studio dell’avv. COGNOME rappresentati e difensi d all’avv. NOME COGNOME;
– controricorrenti e ricorrenti incidentali –
avverso la sentenza n. 1663/2021 della CORTE DI APPELLO di FIRENZE, depositata il 01/09/2021;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 29 ottobre 2024.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato l’8.6.2012 COGNOME NOME NOME evocava in giudizio COGNOME Giacomo innanzi il Tribunale di Pistoia, rivendicando la proprietà di una porzione di terreno e comunque sostenendo, in subordine, di averla usucapita.
Si costituiva il convenuto, resistendo alla domanda e chiamando in causa COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, dai quali sosteneva di aver acquistato la proprietà dell’area oggetto di causa, per essere garantito dalle conseguenze dell’eventuale accoglimento della domanda.
I terzi chiamati, a loro volta, si costituivano resistendo alla pretesa della COGNOME.
Con sentenza n. 747/2016 il Tribunale adito rigettava la domanda. Con la sentenza impugnata, n. 1663/2021, la Corte di Appello di Firenze riformava la decisione di prime cure, accogliendo la domanda subordinata di usucapione proposta dall’originaria attrice.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione COGNOME NOMECOGNOME affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso COGNOME NOME.
Resistono con separato controricorso COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, tutti eredi di COGNOME NOME, spiegando ricorso incidentale affidato a tre motivi.
A seguito di proposta di definizione anticipata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. la parte ricorrente principale, con istanza del 19.6.2023, ha chiesto la decisione del ricorso.
In prossimità dell’odierna adunanza camerale, il ricorrente principale e la controricorrente COGNOME NOME hanno depositato memoria. Quest’ultima ha anche depositato nota spese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente il collegio dà atto che, a seguito della pubblicazione della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 9611 del 10 aprile 2024, non sussiste alcuna incompatibilità del presidente della sezione o del consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, a far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1, atteso che la proposta non ha funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta del giudizio di cassazione, con carattere di autonomia e contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa.
Sempre in via preliminare va dato atto che, a seguito della proposta di definizione anticipata, i ricorrenti incidentali non hanno depositato istanza di decisione. Il ricorso incidentale, dunque, deve intendersi rinunciato ope legis , in funzione della previsione di cui all’art. 380 bis c.p.c.
Passando all’esame dei motivi del ricorso principale, con il primo di essi si lamenta la violazione degli artt. 1140, 1141 e 1158 c.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe dovuto rilevare che l’attività esercitata sulla res da COGNOME dante causa dell’odierna controricorrente, era stata consentita dalla tolleranza degli aventi diritto; essa, dunque, non poteva integrare un possesso utile ai fini dell’usucapione, trattandosi di mera detenzione.
La censura è infondata.
Al contrario di quanto dedotto dal ricorrente principale, la Corte distrettuale ha esaminato la fattispecie anche sotto il profilo della tolleranza, escludendola in ragione della durata della relazione con la res intrattenuta dal COGNOME, protrattasi dal 1982 al 2011, e del fatto che nel 2004 lo stesso COGNOME avesse locato il bene a terzi, che a loro volta avevano ‘… trasformato radicalmente il tipo di coltivazione del terreno da mais a vivaio di piante ornamentali’ (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata). Il ricorrente principale contrappone a tale ricostruzione del fatto e delle prove, prescelta dal giudice di merito, una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass., Sez. Un., Sentenza n. 24148 del 25/10/2013). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle
ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014).
Peraltro, la statuizione del giudice di seconde cure è coerente con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui, in presenza di una relazione con la cosa di lunga durata, può configurarsi tolleranza soltanto in presenza di una relazione parentale che la renda plausibile (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9661 del 27/04/2006 e Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 17880 del 03/07/2019).
Con il secondo motivo il ricorrente principale denunzia la violazione dell’art. 1141 c.c. e la nullità della sentenza per apparenza della motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ravvisato l’ animus possidendi nella mera attività di coltivazione del fondo realizzata dal COGNOME, senza considerare che essa era stata resa possibile dalla tolleranza degli aventi diritto e, comunque, non costituiva attività sufficiente ai fini della configurazione del possesso utile ad usucapionem .
La censura è infondata.
La Corte distrettuale non ha considerato soltanto l’elemento della coltivazione del fondo, ma ha condotto una complessiva valutazione
delle risultanze istruttorie, dando atto che esse avevano consentito di dimostrare che il possesso fosse iniziato nel 1982, quando COGNOME COGNOME (padre dell’odierna controricorrente) aveva acquistato il terreno confinante con quello di cui è causa, e si fosse manifestato con esercizio del potere di fatto sulla cosa ed intenzione di comportarsi come proprietario della stessa (cfr. pag. 10 della sentenza). Anche in questo caso, il ricorrente propone una lettura alternativa del compendio istruttorio, in relazione alla quale possono essere richiamati i medesimi argomenti già esposti in occasione dello scrutinio della prima censura.
Né si configura, nel caso di specie, alcun vizio della motivazione della sentenza impugnata, che non risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il c.d. minimo costituzionale e a dar atto dell’ iter logico-argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, nonché, in motivazione, Cass., Sez. Un., Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023).
Con il terzo motivo, infine, il ricorrente principale lamenta la violazione dell’art. 1158 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., nonché la nullità della sentenza per apparenza della motivazione, perché la Corte distrettuale avrebbe erroneamente ravvisato la continuità del possesso in capo al COGNOME prima, e poi all’odierna controricorrente, sua erede, nonostante fosse stato dimostrato che per alcuni periodi il fondo non era stato affatto coltivato.
La censura è infondata.
La Corte di Appello ha ritenuto conseguita la prova di una relazione di signoria di fatto sulla res , esercitata dal COGNOME COGNOME, e poi dalla COGNOME NOME, continuativamente dal 1982 al 2011, ritenendo che il possesso sia proseguito anche nel corso dei periodi in cui il fondo non era stato coltivato, a fronte della ravvisata possibilità, per il possessore,
di tornare ad esercitare la predetta signoria di fatto sul fondo, dopo i predetti periodi, negli stessi termini in cui essa era stata esercitata precedentemente ad essi. Inoltre, la Corte fiorentina ha anche evidenziato che la sospensione della coltivazione in alcuni anni è giustificata dal ‘… riposo ciclico di cui i terreni hanno bisogno per un migliore e maggiore rendimento del prodotto che si coltiva’ (cfr. pag. 10 della sentenza). Nel contestare tale duplice considerazione, il ricorrente principale propone una ricostruzione alternativa del fatto, introducendo in tal modo una doglianza che attinge al merito della controversia. Anche in questo caso, dunque, si rinvia alle considerazioni esposte in occasione dell’esame del primo motivo del ricorso.
In definitiva, il ricorso principale va rigettato. Quello incidentale, invece, va dichiarato estinto per mancata proposizione di istanza di decisione nei termini previsti dall’art. 380 bis c.p.c.
Le spese del presente giudizio di legittimità sono compensate tra ricorrente principale e incidentale, mentre seguono la soccombenza, nell’ambito del rapporto tra ricorrente principale e controricorrente, e sono liquidate come da dispositivo.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380bis c.p.c., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis c.p.c.- il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma -nei limiti di legge- in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P.R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente
principale di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso principale e dichiara estinto quello incidentale. Compensa le spese del presente giudizio di legittimità tra ricorrente principale e ricorrenti incidentali. Condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del presente giudizio in favore della parte controricorrente, che liquida in € 3.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, inclusi iva e cassa avvocati.
Condanna altresì la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma ulteriore pari a quella sopra liquidata per compensi, nonché al pagamento della somma di € 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda