Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 16620 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 16620 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5724/2021 R.G. proposto da: COGNOME e COGNOME rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE NOMERAGIONE_SOCIALE, COGNOME RAGIONE_SOCIALE
– intimati – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA n. 1006/2020 depositata il 15/07/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
COGNOME NOME e COGNOME NOME citavano in giudizio il loro padre COGNOME NOME per sentir dichiarare l’intervenuta usucapione in loro favore dei seguenti beni immobili siti nel Comune di Chieti, INDIRIZZO e censiti in catasto (NCEU) del predetto comune al: a) foglio l. p.lla 4061, sub 10, cat. D7/; b) foglio l, p.lla 4061, sub. 11, cat. C/6; c) foglio l, p.lla 4061, ente urbano superficie are 80 e rendita euro 956,74.
COGNOME NOME non si costituiva.
Intervenivano nel giudizio, invece, i suoi creditori COGNOME Gabriele, e RAGIONE_SOCIALE i quali contestavano il preteso acquisto a titolo originario da parte degli attori
Il giudice di primo grado rigettava la domanda di usucapione degli attori.
COGNOME NOME e COGNOME NOME proponevano appello avverso la suddetta sentenza.
COGNOME NOME, e RAGIONE_SOCIALE si costituivano resistendo al gravame.
La Corte d’Appello dell’Aquila rigettava il gravame. Il primo motivo di appello relativo alla mancata ammissione della prova testimoniale era inammissibile per la mancata contestazione degli appellanti che avevano prestato acquiescenza, senza che l’eccezione fosse proposta né all’udienza successiva né in seguito. Infatti, con ordinanza del 3 luglio 2014 il giudice di primo grado aveva espressamente limitato l ‘ audizione dei testi a due soli per parte e alla udienza del 18 marzo 2015, esaurita l’audizione dei testi, gli stessi appellanti, all’epoca attori, non solo non avevano contestato la limitazione dei testi o chiesto l ‘ audizione di ulteriori testi ma anzi avevano chiesto, assieme alle altre parti costituite, di
poter precisare le conclusioni alla successiva udienza del 22 luglio 2015.
Peraltro, le dichiarazioni giurate cui alludeva la difesa degli appellanti erano delle semplici dichiarazioni rese stragiudizialmente, in numero di sei, tutte identiche e tutte generiche.
L a Corte d’Appello evidenziava che il giudice di primo grado non aveva desunto dal rigetto della domanda di usucapione avanzata dal padre degli appellanti, (sentenza n. 487/2009 del Tribunale di Chieti), che fosse esclusa di per sé l ‘ usucapione in forza del giudicato ma solo che fosse esclusa la continuità del possesso tra NOME COGNOME che invece era compossessore insieme ai fratelli NOME e NOME.
In particolare, nella predetta sentenza, si era accertato che il compossesso era dimostrato dal fatto che lo stesso NOME COGNOME aveva affermato di aver gestito il frantoio oleario con il consenso dei fratelli ai quali in cambio aveva dato l’utilizzo di un capannone sito in Francavilla al Mare e di aver riconosciuto ai fratelli alcune quote degli incassi della vendita dell’olio. Pertanto, fino al 1994, il possesso dei beni oggetti di causa era comune a tutti i fratelli. Ciò non significava che detta sentenza avesse effetto di giudicato nei confronti dei due appellanti ma che la stessa costituiva elemento istruttorio di non scarso significato di cui il giudice poteva tenere conto ed aveva giustamente tenuto conto al fine di verificare se sussistessero gli estremi dell’usucapione, in particolare respingendo la tesi adombrata dagli attori in primo grado circa una pretesa continuità e trasmissione del possesso esclusivo.
La censura relativa ad una pretesa incapacità a testimoniare di COGNOME NOME e COGNOME NOME doveva essere senz ‘altro respinta perché la relativa eccezione non era stata proposta in primo grado ed era quindi motivo inammissibile di appello.
Quanto alla prova dell’acquisto per usucapione a fronte dell’accertato compossesso in capo a COGNOME NOME e a i fratelli NOME e NOME non emergevano elementi precisi sull’inizio del possesso esclusivo e, soprattutto, sull’interversione nel possesso. Del resto nelle domande istruttorie formulate dagli attori reiterate in appello si prospettavano situazioni incompatibili in fatto con l’usucapione.
COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di quattro motivi di ricorso.
Le parti intimate non si sono costituite nel presente giudizio.
Parte ricorrente, con memoria depositata in prossimità dell’udienza , ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione degli artt. 1140, 1141, 1158, 2909 c.c. e degli artt. 99, 101, 112, 115, 116, 132 n. 4, 324 c.p.c., nonché degli artt. 24 Cost., 111 comma 6°, Cost., in relazione all’art. 360 n. 3 e 4 c.p.c.
I ricorrenti sostengono di non aver invocato l’acquisto del possesso a titolo derivativo e, quindi, la “continuità e trasmissione del possesso a titolo derivativo”, bensì di aver allegato e provato l’acquisto del possesso a titolo originario, che non poteva certamente essere neutralizzato dal giudicato contenuto nella predetta sentenza n. 487/2009 del Tribunale di Chieti.
Il fatto che “giammai il dante causa degli odierni attori avrebbe potuto loro trasferire la proprietà di beni di cui non era proprietario”, come adduce erroneamente il Tribunale e condivide altrettanto erroneamente ed illegittimamente la Corte d’Appello dell’Aquila, era irrilevante ai fini dell’accoglimento della domanda di usucapione fondato sul titolo originario e non già sul titolo derivativo. La Corte d’Appello dell’Aquila avrebbe violato l’art. 2909 c.c., in quanto avrebbe utilizzato la predetta sentenza n. 487/2009 del Tribunale di Chieti quale “giudicato” anche dal punto di vista probatorio ed istruttorio, tanto è vero che adduce, al punto 24 della motivazione, per contrastare la fondatezza dell’autonoma domanda di usucapione proposta dai ricorrenti in questa sede, che “In realtà, proprio in quel giudizio è emerso che il soggetto che gestiva il frantoio era stato sin dagli anni ’70, COGNOME NOME con il consenso dei fratelli, circostanza confermata dai testi COGNOME NOME e NOME e coerente con la stessa difesa del padre degli appellanti nel predetto giudizio”.
1.1 Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Parte ricorrente non si confronta con la sentenza impugnata e insiste nel ritenere che la Corte d’appello abbia ritenuto sussistente il vincolo del giudicato derivante dalla sentenza n. 487/2009 del Tribunale di Chieti
In realtà, il precedente giudizio è stato utilizzato solo al fine di escludere la continuità del possesso degli attori rispetto a quello del loro padre NOME COGNOME Allo stesso modo le risultanze di quel processo come accertate nella sentenza sono state utilizzate per formare il libero convincimento del giudice.
Deve ribadirsi che nel processo civile sono ammissibili prove atipiche come la perizia, i verbali di prove e la sentenza resa in altro giudizio purché prodotte dalle parti. Infatti: Il giudice civile, salvi i casi espressamente previsti dalla legge, deve utilizzare per la decisione solo le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, sicché il principio di libera utilizzabilità di quelle raccolte in un diverso giudizio tra le stesse o tra altre parti, ivi compresa della sentenza adottata da altro giudice, presuppone comunque che il mezzo istruttorio sia stato ritualmente allegato dalle parti processuali (Sez. 1 -, Ordinanza n. 26593 del 30/09/2021 Rv. 662399 – 01). Sotto questo profilo non vi è alcuna contestazione limitandosi il motivo in esame a contestare erroneamente che la Corte d’Appello ha attribuito valenza di giudicato alla sentenza del Tribunale di Chieti.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione dell’art. 2909 c.c., nonché degli artt. 112, 115, 116, 132 n. 4, 157, 345 c.p.c., e degli artt. 24 e 111, comma 6°, Cost., in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 3 e 4, c.p.c. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.
La censura è relativa alla inammissibilità delle testimonianze di COGNOME NOME e COGNOME NOME. Peraltro, la mendacità delle loro dichiarazioni risulterebbe ampiamente provata e anche in virtù delle contraddizioni rese in sede di causa di divisione. Infatti, le testimonianze rese nel corso della causa di divisione iniziata nel 1994 concordano nel dire che nessuno dei fratelli operava più o si recava presso i terreni o l’attività di frantoio dal momento della lite
avvenuta tra i fratelli, e quindi dal 1987, dopo la quale gli stessi “neanche si trattavano più.
I testi COGNOME NOME e NOME, dunque, quali figli successori ed aventi causa di COGNOME NOME, parte in causa, non potevano essere ammessi e comunque erano e sono le loro deposizioni inutilizzabili ed illegittime in quanto si pongono i fatti dagli stessi affermati in contrasto con i fatti accertati nelle sentenze passate in giudicato che sono state non considerate ai fini della decisione su questo specifico.
2.1 Il secondo motivo è inammissibile.
La sentenza che ha rigettato il motivo di appello sull’ inammissibilità delle testimonianze di COGNOME NOME e COGNOME NOME è conforme alla più recente giurisprudenza di legittimità. Questa Corte a Sezioni Unite, infatti, ha affermato il seguente principio di diritto: L’incapacità a testimoniare disciplinata dall’ art. 246 c.p.c. non è rilevabile d’ufficio, sicché, ove la parte non formuli l’eccezione di incapacità a testimoniare prima dell’ammissione del mezzo, detta eccezione rimane definitivamente preclusa, senza che possa poi proporsi, ove il mezzo sia ammesso ed assunto, eccezione di nullità della prova. Ove la parte abbia formulato l’eccezione di incapacità a testimoniare, e ciò nondimeno il giudice abbia ammesso il mezzo ed abbia dato corso alla sua assunzione, la testimonianza così assunta è affetta da nullità, che, ai sensi dell’ art. 157 c.p.c. , l’interessato ha l’onere di eccepire subito dopo l’escussione del teste ovvero, in caso di assenza del difensore della parte alla relativa udienza, nella prima udienza successiva, determinandosi altrimenti la sanatoria della nullità.
La parte che ha tempestivamente formulato l’eccezione di nullità della testimonianza resa da un teste che si assume essere incapace a testimoniare deve poi dolersene in modo preciso e puntuale anche in sede di precisazione delle conclusioni, dovendosi altrimenti ritenere l’eccezione rinunciata, così da non potere essere riproposta in sede d’impugnazione (Cass. Civ., Sezioni Unite, sentenza 6 aprile 2023, n. 9456 rel. M . COGNOME)
Quanto al contenuto delle dichiarazioni, la valutazione della prova compreso quella testimoniale è compito del giudice del merito non sindacabile in cassazione salvo che per omesso esame di un fatto decisivo. Tale motivo, peraltro, è precluso in ipotesi come quella di specie di doppia conforme.
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione dell’artt. 1140, 1141, 1158 c.c., e degli artt. 99, 101, 112, 115, 116, 132 n. 4, c.p.c., nonché degli artt. 24 Cost., 111 comma 6°, Cost., in relazione all’art. 360 n. 3 e 4 c.p.c.
La sentenza impugnata è illegittima nella parte in cui rigetta la domanda di usucapione, nonostante la prova evidente del possesso continuato per oltre 20 anni a favore dei ricorrenti o quantomeno a favore di NOME COGNOME che risiede nell’appartamento da oltre 30 anni. Contrariamente a quanto adduce la Corte d’Appello, dalle dichiarazioni stragiudiziali (non contestate) e dalla documentazione prodotta in primo grado emerge che i ricorrenti hanno avuto la piena disponibilità dei beni e il possesso prolungato utile all’acquisto dei beni in questione per usucapione.
3.1 Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
Come si è detto la valutazione della prova circa il possesso utile ad usucapire è compito del giudice del merito non sindacabile in cassazione se non nei limiti di cui si è detto.
In particolare, la valutazione circa la sussistenza o meno dell’ animus possidendi e del corpus possessionis – prendendo le mosse dall’esame dei fatti e delle prove inerenti al processo – è rimessa all’esame del giudice del merito, le cui valutazioni, alle quali il ricorrente contrappone le proprie, non sono sindacabili in sede di legittimità, ciò comportando un nuovo esame del materiale delibato che non può avere ingresso nel giudizio di cassazione.
La Corte d’Appello dopo aver spiegato le ragioni per le quali il bene era stato oggetto di un compossesso in capo a COGNOME NOME e ai fratelli NOME e NOME ha evidenziato, quanto alla prova dell’acquisto per usucapione , che a fronte dell’accertato compossesso non emergevano elementi precisi sull’inizio del possesso esclusivo e, soprattutto, sull’interversione nel possesso. Del resto nelle domande istruttorie formulate dagli attori reiterate in appello si prospettavano situazioni incompatibili in fatto con l’usucapione.
Tale accertamento di fatto non è sindacabile da questa Corte, e i ricorrenti allegano con il presente motivo solo fatti antecedenti alla situazione di compossesso accertata.
Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: 4.Violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 e 4 c.p.c.
Sia il Tribunale sia la Corte d’Appello hanno illegittimamente condannato i ricorrenti ai sensi dell’art. 96 c.p.c., per lite temeraria, nonostante mancassero i presupposti di legge. Il Tribunale aveva
condannato i ricorrenti a Euro 1.500,00 senza, tra l’altro, fornire adeguata e logica motivazione.
La sentenza è stata sul punto impugnata anche alla luce dei motivi d’appello e la Corte d’appello ha accolto la richiesta di ciascuno degli appellati di condannare gli appellanti al pagamento dei danni ex articolo 96 c.p.c. in considerazione del fatto che già in primo grado detta condanna era stata inflitta senza impugnazione da parte degli appellanti.
La motivazione della Corte d’Appello sarebbe illegittima alla luce del diritto vivente di codesta Ecc.ma Corte e pertanto i ricorrenti chiedono la cassazione della sentenza impugnata sul punto, mancando sul piano soggettivo, la malafede o la colpa grave dei ricorrenti soccombenti, nonché la violazione del grado minimo di diligenza e non essendo sufficiente – come suppongono entrambi i giudici di merito – la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate.
4.1 Il quarto motivo di ricorso è infondato.
I ricorrenti lamentano l’illegittimità del la condanna per lite temeraria sia in primo che in secondo grado. Quanto al primo grado trascurano di considerare che la Corte d’Appello ha evidenziato che non era stato proposto alcun motivo di appello sul punto mentre la motivazione della medesima condanna anche per il giudizio di appello è conforme all’interpretazione dell’art. 96 c.p.c. di questa Corte.
Il giudice del gravame, infatti, ha ritenuto che i motivi di appello non evidenziassero apprezzabili elementi di criticità della sentenza e che la riproposizione di motivi di appello per un contenzioso già oggetto di censura per temerarietà in combinazione
con l’apparente strumentale ostacolo alla procedura esecutiva avviata dai creditori interventori, configurassero un caso di abuso del processo.
Deve ribadirsi in proposito che per la condanna per responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c. è necessario individuare la specifica condotta abusiva da imputare al soggetto soccombente, così come si verifica nel caso di insistenza colpevole in tesi giuridiche già reputate manifestamente infondate dal primo giudice, ovvero in censure della sentenza impugnata la cui inconsistenza giuridica avrebbe potuto essere apprezzata dall’appellante in modo da evitare il gravame, nonché in ipotesi di abuso del processo, di proposizione di una impugnazione dai contenuti estremamente distanti dal diritto vivente e dai precetti del codice di rito e, ancora, in ipotesi di errori grossolani nella redazione dell’impugnazione (Cass. Sez. 1, 25/12/2024, n. 34429, Rv. 673363 – 01).
La condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c., applicabile d’ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96, commi 1 e 2, c.p.c. e con queste cumulabile, volta – con finalità deflattive del contenzioso alla repressione dell’abuso dello strumento processuale; la sua applicazione, pertanto, non richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di “abuso del processo”, quale l’aver agito o resistito pretestuosamente (Cass. civ. n. 27623/2017).
Il ricorso è rigettato.
Nulla sulle spese non essendosi costituita la parte intimata.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione