Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3977 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2   Num. 3977  Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8356/2021 R.G. proposto da:
COGNOME  NOME,  elettivamente  domiciliato    in  INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
-intimato- avverso  SENTENZA  di  CORTE  D’APPELLO  FIRENZE  n.  2235/2020 depositata il 07/12/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/10/2024 dal Consigliere COGNOME NOME.
FATTI DI CAUSA
Il giudizio trae origine dall’opposizione di terzo all’esecuzione proposta innanzi al Tribunale di Siena da NOME COGNOME, in proprio e quale titolare dell’omonima impresa individuale, nell’ambito della procedura esecutiva introdotta dal RAGIONE_SOCIALE BPM s.p.a. nei confronti della RAGIONE_SOCIALE.
L’opponente chiese dichiararsi l’ avvenuto acquisto per usucapione del  bene  oggetto  della  procedura  esecutiva  per  aver  avuto  il possesso  sin  dagli  anni  settanta,  quando  aveva  acquistato    il terreno sul quale  aveva costruito un capannone, che, con atto del 23.12.1983,  aveva trasferito alla RAGIONE_SOCIALE Il bene venne poi trasferito  nel  1991  a  RAGIONE_SOCIALE ;  quest’ultima  aveva concesso ipoteca sull’immobile  a  garanzia    di  un  mutuo  erogato  dalla  RAGIONE_SOCIALE  di Risparmio di Livorno.
Il  Tribunale accolse l’opposizione di  terzo ed accertò l’acquisto del terreno per usucapione in favore dell’opponente COGNOME.
La Corte d’appello di Firenze, adita dalla Banca creditrice in riforma della sentenza di primo grado, rigettò la domanda di usucapione.
La Corte distrettuale trasse il proprio convincimento in ordine alla insussistenza dell’animus  possiden di  da  parte  di  NOME  COGNOME dalla  circostanza  che  dopo  la  vendita  dell’immobile  alla  RAGIONE_SOCIALE, egli avesse avuto la disponibilità del bene solo  a titolo di comodato in mancanza di un atto di interversione del possesso.
Non  era  sufficiente,  ai  fini  della  prova  del  possesso,  l’attività  di manutenzione ordinaria dell’immobile ed il pagamento delle tasse, mentre, al contrario, era evidente l’esercizio delle facoltà dominicali da parte della RAGIONE_SOCIALE che aveva disposto del bene, dandolo in garanzia dei propri debiti.
NOME  COGNOME  ha  proposto  ricorso  per  cassazione  avverso  la sentenza della Corte d’appello sulla base di tre motivi.
RAGIONE_SOCIALE , procuratrice speciale della RAGIONE_SOCIALE , in qualità di cessionaria del credito del RAGIONE_SOCIALE BPM RAGIONE_SOCIALE.p.a ha resistito con controricorso.
La RAGIONE_SOCIALE non ha svolto attività difensiva.
Il Consigliere Delegato, ritenendo che il ricorso fosse inammissibile o, comunque, manifestamente infondato, ha proposto  la  definizione  del  giudizio  ai  sensi  dell’art.  380-bis  cod. proc. civ., nel testo introdotto dal D. Lgs n.149 del 2022.
Il ricorrente ha chiesto la decisione del ricorso.
E’  stata  fissata  l’adunanza  in  camera  di  consiglio,  in  prossimità della quale  le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Deve essere, in primo luogo, esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione perché effettuata presso il  procuratore  non  domiciliatario  e,  comunque,  per  tardività  dello stesso per inosservanza del termine previsto dall’art.327 comma 1, c.p.c.
Il  controricorrente  rileva  che  nel  giudizio  d’appello  il  RAGIONE_SOCIALE  aveva  eletto  domicilio  presso  lo  studio  dell’AVV_NOTAIO in Firenze, INDIRIZZO  che  aveva cambiato indirizzo  nel  corso  del  giudizio  d’appello,  stabilendolo  in  Firenze, alla INDIRIZZO.
Il  ricorrente  avrebbe  erroneamente  effettuato  la  notifica  presso  il precedente  indirizzo  e  presso  il  domicilio  digitale  del  codifensore, l’AVV_NOTAIO –  che  aveva  comunicato  il  suo  indirizzo  di
posta elettronica nel corso del giudizio d’appello, ai fini delle comunicazioni e delle notificazioni -ritenendo che tale atto non fosse valido ai fini dell’elezione di domicilio, integrando una mera informazione aggiuntiva. L’omessa notifica del ricorso per cassazione presso il nuovo indirizzo dell’AVV_NOTAIO integrerebbe un’ipotesi di inesistenza della notifica, insuscettibile di sanatoria con la costituzione in giudizio del controricorrente; in ogni caso, anche in ipotesi di rinnovazione della notifica, il ricorso sarebbe inammissibile per decorrenza dei termini di impugnazione previsti dall’art. 327 c.p.c.
L’eccezione è infondata.
Il ricorso è stato notificato presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che era codifensore della RAGIONE_SOCIALE ed aveva indicato il suo indirizzo pec ai fini delle notifiche e delle comunicazioni.
Per costante orientamento di questa Corte, nell’ipotesi in cui la parte si sia costituita nel giudizio a quo a mezzo di due procuratori con uguali poteri di rappresentanza ed uno solo di essi sia stato designato come domiciliatario, la notifica della impugnazione è valida ancorché eseguita presso il procuratore non domiciliatario (RAGIONE_SOCIALEzione civile sez. un., 20/07/2016 n.14917, RAGIONE_SOCIALEzione civile sez. II, 29/05/2007, n.12516, Cass. 28 settembre 2004 n. 19452; Cass. 29 agosto 2000 n. 11357. Cass. n. 8759 del 1987).
L’ipotesi di inesistenza della notifica, alla luce dell’orientamento di questa Corte (RAGIONE_SOCIALEzione civile sez. un., 20/07/2016, n.14917), è configurabile nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità, sanabile con la costituzione della parte in giudizio, come avvenuto nel caso di specie. A ciò aggiungasi il raggiungimento dello scopo dell’atto (art. 156 cpc).
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1140 c.c., 1141 c.c., 1144 c.c., 1158 c.c. e dell’art.2697 c.c. oltre all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art.360, comma 1, n.3 e 5 c.p.c.; la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che dopo la vendita dell’immobile oggetto di causa, il ricorrente avesse avuto la disponibilità del bene a titolo di comodato, mentre, in sede di interrogatorio formale, avrebbe dichiarato di aver avuto il possesso autonomo dell’immobile perché, dopo averlo trasferito alla RAGIONE_SOCIALE con atto di vendita di vendita del 23.12.1983, avrebbe riacquistato il possesso nel 1984. Del contenuto delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio, la Corte non avrebbe tenuto conto così come avrebbe omesso di esaminare il contenuto dell’atto di vendita del 23.12.1983 alla RAGIONE_SOCIALE , in cui si darebbe atto della traditio dell’immobile oggetto di causa.
Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c., dell’art.2729 c.c., oltre al vizio di apparente e contraddittoria motivazione e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art.360, comma 1, n.3 e 5 c.p.c., per avere la Corte d’appello fondato la decisione sulle dichiarazioni rese dal ricorrente al CTU nominato nell’ambito della procedura esecutiva ed al responsabile dell’Istituto RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aventi ad oggetto la richiesta di informazioni su come potesse fare per inserirsi nella procedura esecutiva perché non aveva riscosso il prezzo dalla RAGIONE_SOCIALE La Corte d’appello avrebbe valorizzato dette dichiarazioni, rese nel corso del primo accesso, in data 14.12.2016, senza considerare che in data 22.11.2016 avrebbe dichiarato di essere il precedente proprietario dell’immobile che continuava ad occupare il bene sine titulo, svolgendovi da oltre vent’anni la propria attività lavorativa.
I motivi, che per la loro connessione vanno affrontati congiuntamente sono infondati.
La Corte d’appello, con apprezzamento di fatto incensurabile in sede di legittimità, ha escluso l’animus possidendi del ricorrente, rilevando che, dopo la vendita dell’immobile alla RAGIONE_SOCIALE, egli avesse continuato ad avere la disponibilità del bene a titolo di comodato. Nell’accertamento della detenzione del bene, sono state valorizzate le dichiarazioni rese dallo stesso NOME COGNOME al CTU, in sede di svolgimento delle operazioni peritali nell’ambito del procedimento esecutivo dal RAGIONE_SOCIALE BPM s.p.a nonché al responsabile dell’Istituto RAGIONE_SOCIALE aventi ad oggetto la richiesta di informazioni su come potesse fare per inserirsi nella procedura in corso perché, dopo la vendita del bene, non aveva riscosso il prezzo, riconoscendo, in tal modo l’altrui proprietà.
La    circostanza  che  dopo  la  vendita  del  bene  alla  RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME avesse continuato ad occupare il bene era, pertanto, riconducibile,  secondo  la  valutazione  della  Corte  di  merito,  ad  un contratto  di  comodato,  né  era  stata  data  la  prova  di  un  atto  di interversione del possesso.
La Corte ha correttamente ritenuto l’irrilevanza degli atti di gestione ai fini del possesso ad usucapionem valorizzando, invece, l’esercizio  delle  facoltà  dominicali  da  parte  della  RAGIONE_SOCIALE  che aveva disposto del bene, dandolo a garanzia dei propri debiti.
Il ricorrente contesta la ricostruzione effettuata dalla Corte d’appello, evidenziando che in un altro verbale aveva  dichiarato di essere  il precedente proprietario dell’immobile e di occuparlo sine titulo da oltre un ventennio, per svolgervi l’attività lavorativa; ha, altresì  sostenuto    di  aver  trasferito  il  bene  alla  RAGIONE_SOCIALE  con atto di vendita di vendita del  23.12.1983 e di aver  riacquistato il possesso  nel 1984 con autonomo atto di apprensione.
Si  tratta  di  un’alternativa  ricostruzione  dei  fatti,  basata  su  un elemento istruttorio -le dichiarazioni rese dal medesimo in un altro
verbaleche non tiene conto dell’orientamento di questa Corte secondo cui, in tema di valutazione delle risultanze istruttorie, il giudice, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive; devono, pertanto, ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata ( Sez. 3, sentenza n. 12362 del 24/05/2006; Sez. L, Sentenza n. 17097 del 21/07/2010; Sez. 1, Sentenza n. 16056 del 02/08/2016) Peraltro, le dichiarazioni rese da COGNOME NOME nel corso dell’interrogatorio formale in ordine alla riappropriazione del bene dopo il trasferimento alla RAGIONE_SOCIALE non potevano costituire prova dei fatti perché dette dichiarazioni non avevano natura confessoria.
Quanto alla dedotta violazione dell’art.116 c.p.c., essa è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art.360, comma 1, n.5 c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (RAGIONE_SOCIALEzione civile sez. un., 30/09/2020, n.20867).
Con il ricorso per cassazione, la parte non può, infatti, rimettere in discussione,  proponendo  una  propria  diversa  interpretazione,  la valutazione  delle  risultanze  processuali  e  la  ricostruzione  della fattispecie  operate  dai  giudici  del  merito  poiché  la  revisione  degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 29404 del 07/12/2017).
Non sussiste la violazione dell’art. 2697 c.c., che si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (ex multis, Sez. 6 3, ordinanza n. 26769 del 23/10/2018) mentre, nel caso di specie, la Corte ha correttamente posto l’onere della prova del possesso in capo a COGNOME NOME ma ha ritenuto che gli elementi probatori addotti non fossero idonei a configurare il possesso ad usucapionem ma una mera detenzione.
La censura di cui all’art.360, comma 1, n.5 c.p.c., è inammissibile, perché  verte  non  sull’omesso  esame  di  un  fatto  decisivo  per  il giudizio ma sull’esame di elementi istruttori.
E’ ius  receptum che  l”omesso  esame  di  elementi  istruttori,  in quanto  tale,  non  integra  l’omesso  esame  circa  un  fatto  decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia  dato  conto  di  tutte  le  risultanze  probatorie  astrattamente rilevanti (Cass. N. 8053/2014).
La sentenza  consente di percepire il fondamento della decisione, sottraendosi dal vizio dell’apparenza della motivazione ( sul vizio di motivazione  apparente,  v.  tra  le  tante,  Cass.  Sez.  Unite  ord.  n. 2767/2023).
Il  ricorso per cassazione,  sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione  o  falsa  applicazione  di  legge,  di  mancanza  assoluta  di motivazione  e  di  omesso  esame  circa  un  fatto  decisivo  per  il
giudizio mira, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito
L’incensurabilità  del  giudizio  di  merito  sul  rapporto  di  detenzione assorbe  logicamente  il  terzo  motivo  di  ricorso,  con  il  quale  si censura  la  violazione  e falsa  applicazione  dell’art.1140  c.c.  ,  in relazione  all’art.360,  comma  1,  n.3  c.p.c.,    sotto  il  profilo  della insussistenza della tolleranza.
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo tenendo  conto  del  valore  della  causa.  Nessuna  pronuncia  sulle spese va emessa nei rapporti con la parte intimata.
Essendo la decisione resa nel procedimento per la definizione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380-bis cod. proc. civ.. (novellato dal D. Lgs n.149 del 2022.), con formulazione di istanza di decisione ai sensi dell’ultimo comma della norma citata, e il giudizio definito in conformità alla proposta, parte ricorrente deve essere, inoltre, condannata al pagamento delle ulteriori somme ex art.96, comma 3 e 4 c.p.c., sempre come liquidate in dispositivo.
Ai  sensi  dell’art.13,  comma  1 -quater  del  DPR  n.115  del  2002, sussistono  i  presupposti  processuali  per  il  versamento,  da  parte della  ricorrente,  di  un  ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo unificato  pari  a  quello  previsto  per  il  ricorso,  a  norma  dell’art.13, comma 1-bis, del DPR n.115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La  Corte  rigetta  il  ricorso  e    condanna  la  parte  ricorrente  al pagamento  delle  spese  del  giudizio  di  legittimità,  in  favore  del controricorrente, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Condanna  altresì  parte  ricorrente,  ai  sensi  dell’art.96,  comma  3 c.p.c.,  al  pagamento  a  favore  della  parte  controricorrente  di  una
somma ulteriore  di  Euro  10.000,00  equitativamente  determinata, nonché -ai sensi dell’ art.96, comma 4, c.p.c. – al pagamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle RAGIONE_SOCIALE.
Ai  sensi  dell’art.13,  comma  1 -quater  del  DPR  n.115  del  2002, sussistono  i  presupposti  processuali  per  il  versamento,  da  parte della  ricorrente,  di  un  ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo unificato  pari  a  quello  previsto  per  il  ricorso,  a  norma  dell’art.13, comma 1-bis, del DPR n.115 del 2002, se dovuto.
Così  deciso  in  Roma,  nella  Camera  di  Consiglio  della  Seconda