Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 11979 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 11979 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8496/2022 R.G. proposto da :
ISTITUTO DIOCESANO PER IL SOSTENTAMENTO DEL CLERO DELLA DIOCESI DI LOCRI – COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
-controricorrente-
nonchè contro
NOME
-intimata- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA n. 564/2021 depositata il 28.9.2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24.4.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
COGNOME NOME conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Locri Reale Anna, affinché fosse accertato il suo acquisto per usucapione di un immobile sito in Locri, contrada INDIRIZZO (in catasto urbano a foglio 17, particella 46, sub. 2, categoria A/6), che nella visura ipotecaria risultava intestato alla convenuta.
Fissata l’udienza di comparizione, alla quale NOME NOME non compariva, veniva disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’allora Mensa Vescovile, oggi Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero della Diocesi di Locri – Gerace. Tale incombente si rendeva necessario, risultando dal certificato catastale che il bene risultava invece intestato alla Mensa Vescovile, pur trattandosi, secondo l’attore, di un’intestazione frutto di errore.
Si costituiva in giudizio l’Istituto convenuto, che sosteneva invece di essere proprietario della particella in questione, e chiedeva il rigetto della domanda di usucapione, riconoscendo il COGNOME come mero titolare di un diritto di superficie sulla base del certificato catastale.
Con sentenza n. 597/2014, il Tribunale rigettava la domanda attorea ritenendola non provata, e condannava l’attore al pagamento delle spese del giudizio a favore dell’Istituto.
Avverso questa sentenza, COGNOME Cosimo proponeva appello dolendosi, per quanto qui rileva, dell’errata valutazione delle risultanze istruttorie, per avere il giudice di prime cure travisato completamente i fatti di causa.
Si costituiva in secondo grado l’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero della Diocesi di Locri-Gerace, chiedendo il rigetto del gravame e la conferma della sentenza di prime cure.
Con la sentenza n. 564/2021 del 8/12.6.2021, la Corte di Appello di Reggio Calabria riformava la gravata sentenza e, per l’effetto, dichiarava l’acquisto per usucapione da parte di COGNOME NOME dell’immobile oggetto di causa. In particolare, secondo la Corte distrettuale, il COGNOME aveva fornito la prova di avere posseduto, pubblicamente e pacificamente, da più di vent’anni, la porzione di fabbricato identificata nel catasto urbano del Comune di Locri col foglio 17, particella 46, sub 2, e l’area di sedime sottostante, comportandosi quale proprietario esclusivo, abitandovi e provvedendo alla manutenzione ed alla ristrutturazione del piccolo manufatto.
Avverso questa sentenza, l’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero della Diocesi di Locri -Gerace ha proposto tempestivo ricorso a questa Corte il 28.3.2022, affidandosi a quattro motivi. COGNOME NOME ha resistito con controricorso.
Nell’imminenza della camera di consiglio del 24.4.2025, il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Col primo motivo, il ricorrente sostiene che la Corte distrettuale non abbia considerato la mancata acquisizione del certificato ventennale delle iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli, non ritenendolo presupposto essenziale per l’accoglimento della domanda attrice. Peraltro, la Corte avrebbe omesso di acquisire l’atto del notaio NOME del 9.3.1948, fondamentale ai fini del riconoscimento da parte di NOME NOME, nonno ed asserito dante
causa di COGNOME NOME, del titolo di concedente dell’area in capo alla INDIRIZZO, oggi Istituto Diocesano, e del diritto di superficie in favore di NOME NOME, che lo aveva donato con quell’atto alla figlia NOME NOME, ed avrebbe omesso di riconoscere il COGNOME come membro della famiglia colonica di NOME NOME, ed anche successore, per come dallo stesso dichiarato in citazione, della madre NOME e della zia NOME NOME.
Il primo motivo di ricorso é palesemente inammissibile, in quanto con esso si richiede alla Corte di legittimità di compiere una ricostruzione del fatto diversa da quella effettuata dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria, e ci si duole della mancata acquisizione del certificato delle iscrizioni e trascrizioni ventennali e dell’atto del notaio COGNOME del 9.3.1948, col quale il nonno di COGNOME NOME, NOME NOME, nel donare alla figlia NOME NOME la porzione di fabbricato di Locri, contrada Canneti, sulla via che porta da Locri ad Antonimina, composto da un vano a piano terra con adiacente cucinetta, confinante con la residua proprietà del donante da più lati e con la strada, avrebbe indicato che il terreno sul quale sorgeva era soggetto a canone enfiteutico a favore della Mensa Vescovile di Gerace, ma senza dedurre dove e quando parte ricorrente avrebbe richiesto l’acquisizione di tali documenti e senza fare riferimento ad alcuno dei vizi elencati dall’art. 360 comma primo c.p.c..
Si noti, peraltro, che essendo state prodotte le certificazioni catastali e la visura ipotecaria, non era essenziale il certificato delle iscrizioni e trascrizioni ventennali relative all’immobile, trattandosi non di vendita, o divisione, ma di domanda di usucapione, correttamente avanzata contro i soggetti che in tali documenti figuravano come intestatari e tra essi l’Istituto, che contestava la proprietà di parte attrice.
2) Col secondo motivo, articolato in riferimento ai nn. 3), 4), e 5) dell’art. 360, primo comma c.p.c., il ricorrente prospetta la
violazione degli artt. 112, 115 e 132 comma 2 e 4 c.p.c. per vizio di motivazione, per error in procedendo ed error in iudicando , per violazione del diritto di difesa delle parti e violazione del diritto alla prova, con riferimento alla mancata produzione del certificato ventennale delle iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli da parte dell’attore, e con riferimento al contenuto dell’atto per notar NOME del 9.3.1948, in relazione alla separazione del diritto di superficie dal diritto di proprietà dell’area.
Il secondo motivo è a sua volta inammissibile, perché contiene un’inestricabile mescolanza di doglianze rapportata a violazioni degll’art. 360 comma primo n.3), n. 4) e n. 5) c.p.c., che non consente di individuare in modo chiaro autonome censure all’impugnata sentenza.
È inammissibile il ricorso per cassazione, ove la censura si risolva in una mescolanza e sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c..
Non è consentita, infatti, la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili miranti a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. sez. lav. ord. 9.7.2020 n.14634; Cass. ord. 9.11.2020 n. 25014; Cass. ord. 23.10.2018 n. 26874).
In particolare non si possono simultaneamente lamentare la violazione di norme di diritto, sostanziali e processuali, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, ed il vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente
rimettere in discussione (Cass. ord. 23.10.2018 n. 26874; Cass. 23.6.2017 n. 15651; Cass. 28.9.2016 n. 19133; Cass. 23.9.2011 n. 19443).
Col terzo motivo, articolato in riferimento ai nn. 3), 4) e 5) dell’art. 360, primo comma c.p.c., il ricorrente sostiene la violazione degli artt. 112, 324, 325 e 326 c.p.c. per formazione del giudicato sulla statuizione del diritto di superficie e per violazione degli artt. 910, 952 e 953 cod. civ., per vizio di motivazione, contraddittorietà ed omessa valutazione di un fatto decisivo riguardante l’inammissibilità dell’usucapione del diritto di proprietà dell’area dell’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero della Diocesi di Locri -Gerace e la mancata prova dell’usucapione fornita dal COGNOME.
Il terzo motivo è a sua volta inammissibile per eterogeneità delle censure, sollevate contemporaneamente ai sensi dell’art. 360 comma primo n. 3), 4) e 5) c.p.c., ed in quanto non si confronta con la motivazione dell’impugnata sentenza, che sulla base della documentazione prodotta, ha rilevato che non è stato dimostrato che COGNOME NOME fosse titolare del diritto di superficie sull’immobile sopra indicato, che piuttosto risultava intestato alla zia dello stesso Reale NOME, alla quale era stato donato da NOME NOME, con la conseguenza che essendo COGNOME NOME un soggetto terzo non titolare di quel diritto, ben poteva invocare l’usucapione della porzione di fabbricato in questione e del suolo sottostante, senza bisogno di dimostrare un’interversione nel possesso di un diritto reale parziario, quale il diritto di superficie, in un possesso come proprietario esclusivo, non essendo poi stato provato con la produzione del titolo relativo che l’Istituto avesse concesso l’immobile in enfiteusi all’attore.
Nessun giudicato sull’esistenza di un diritto di superficie si era poi formato a seguito del rigetto in primo grado della domanda di usucapione, che il Tribunale di Locri aveva motivato ritenendo che
non fosse stata fornita dall’attore prova del possesso anche del fondo sottostante il fabbricato, posto che la domanda di usucapione è stata riproposta in secondo grado da COGNOME Cosimo sia per la porzione di fabbricato oggetto di causa, che per il suolo sottostante di sedime.
4) Col quarto motivo, articolato in riferimento al n. 5) dell’art. 360, primo comma, c.p.c. il ricorrente deduce la violazione degli artt. 91, 92, secondo comma, e 342 e ss. c.p.c., in ordine alla condanna alle spese.
Tale motivo é in parte inammissibile e comunque infondato.
Per un verso, infatti, non può essere invocata la violazione dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. per dolersi non della mancata considerazione di un fatto storico principale, o secondario decisivo oggetto di discussione tra le parti, bensì del vizio processuale che si sarebbe verificato per avere la Corte d’Appello condannato l’attuale ricorrente alle spese processuali di primo e di secondo grado benché COGNOME Cosimo non avesse proposto uno specifico motivo di appello per chiedere la revoca della sua condanna alle spese processuali di primo grado pronunciata dal Tribunale di Locri, dovendosi semmai lamentare la violazione dell’art. 112 c.p.c.. Per altro verso sono comunque infondate le censure di violazione degli articoli 91, 92 e 342 e ss. c.p.c., giacché COGNOME Cosimo nel riproporre la domanda di usucapione respinta in primo grado, aveva comunque chiesto la condanna della controparte alle spese del doppio grado, e l’impugnata sentenza non ha fatto altro che applicare il principio della soccombenza secondo l’esito finale della lite per entrambi i gradi di giudizio.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e vanno poste a carico del ricorrente ed in favore di COGNOME
Occorre dare atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico del ricorrente, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, respinge il ricorso dell’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero della Diocesi di Locri -Gerace e lo condanna al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per spese ed €3.500,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%. Dà atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico del ricorrente, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 24.4.2025