Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 726 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 726 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8872/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in Teramo INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
CURATELA FALLIMENTO DI NOME DITTA INDIVIDUALE, elettivamente domiciliata in Corropoli (TE) INDIRIZZO presso lo studio dell’avv.to NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA n. 1715/2018 depositata il 19/09/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Teramo in accoglimento della domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione dichiarava l’attore proprietario di una porzione immobiliare situata in Giulianova, catastalmente identificata dalla particella 255, sub 4, del foglio 10, del nuovo catasto del Comune e più esattamente individuata nell’allegato 1 della relazione tecnica, per averla usucapita. Inoltre, il medesimo Tribunale accoglieva anche la domanda proposta dal l’ attore nei confronti della società Di RAGIONE_SOCIALE di usucapione del diritto di servitù di passaggio a favore della suddetta porzione immobiliare e, in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta da quest’ultima società , dichiarava risolto per inadempimento della società RAGIONE_SOCIALE Rosburgo il contratto preliminare di compravendita intercorso tra dette parti per atto pubblico del 15 dicembre 2006, condannando la promittente venditrice alla restituzione della somma di euro 312.000 versata a titolo di caparra confirmatoria dalla promissaria
acquirente, nonché al pagamento in favore di quest’ultima a titolo di risarcimento dei danni della somma di euro 91.000, maggiorata di rivalutazione monetaria ed interessi legali dal 3 gennaio 2014 alla data della sentenza.
La RAGIONE_SOCIALE Rosburgo proponeva appello avverso la suddetta sentenza sulla base di un unico motivo con il quale censurava l’accoglimento della domanda di usucapione in favore di NOME COGNOME
NOME COGNOME veniva dichiarato fallito nelle more del giudizio di primo grado e si costituiva il curatore fallimentare chiedendo il rigetto dell’appello.
Si costituiva anche la società RAGIONE_SOCIALE che chiedeva la conferma dei capi che avevano accolto la propria domanda riconvenzionale.
Il giudizio veniva dichiarato interrotto per sopravvenuto fallimento della società RAGIONE_SOCIALE e veniva riassunto dall’appellante.
Il fallimento della società RAGIONE_SOCIALE si costituiva in appello, ribadendo le conclusioni già formulate.
La C orte d’ Appello di L ‘Aquila rigettava il gravam e. In particolare, la Corte territoriale evidenziava come il contratto di locazione cui faceva riferimento l’appellante era stato preso in considerazione dal giudice di primo grado che lo aveva ritenuto inidoneo a dimostrare che il rapporto materiale tra NOME COGNOME e la porzione immobiliare rivendicata fosse cominciato come detenzione. Tale conclusione doveva essere confermata in quanto il consulente tecnico aveva riferito che il compendio locato era descritto in maniera del tutto generica e non corrispondeva al
locale accessorio oggetto dell’usucapione. Pertanto , risultava irrilevante la scrittura privata di locazione e, dunque, per le stesse ragioni erano irrilevanti le fatture e gli altri documenti concernenti il pagamento del relativo canone.
La suddetta scrittura privata di locazione oltre che oggettivamente non riferibile alla porzione immobiliare in contestazione era stata soggettivamente stipulata con un soggetto giuridico diverso dalla persona fisica di NOME COGNOME e cioè con la società NOME COGNOME, così come con tale società (ed altre) erano intercorsi i pregressi rapporti locativi. Tale circostanza, unitamente all’assenza di data certa della scrittura privata che non risultava essere stata registrata, rendeva inopponibile al Di NOME la scrittura stessa a norma dell’articolo 2704 c.c. non essendo neanche documentato che egli fosse all’epoca amministratore della predetta società ed avesse sottoscritto il contratto di locazione in nome e per conto di questa. Allo stesso modo dovevano considerarsi inopponibili le fatture.
Quanto, infine, ai pignoramenti immobiliari che risultavano trascritti anche sulla porzione immobiliare rivendicata sin dal 1995 e che, secondo l’assunto della società appellante , erano ostativi al decorso del ventennio necessario per l’usucapione , la Corte d’ Appello richiamava la giurisprudenza consolidata che escludeva la valenza interruttiva del possesso utile al l’usucapione di un pignoramento immobiliare. Doveva confermarsi pertanto l’intervenuta usucapione in favore di NOME COGNOME.
La società RAGIONE_SOCIALE Rosburgo ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza.
La curatela del fallimento della ditta individuale COGNOME NOME ha resistito con controricorso.
Il fallimento di NOME RAGIONE_SOCIALE ha resistito a sua volta con controricorso.
La società ricorrente, con memoria depositata in prossimità dell’udienza , ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione o falsa applicazione dell’articolo 1158 c.c., erronea e omessa valutazione delle prove.
La censura ha ad oggetto l’erronea valutazione della sussistenza dei presupposti per dichiarare l’usucapione del bene rivendicato dall’originario attore ; bene consistente in un piccolo locale di circa 30/40 metri quadri, non scindibile dal restante corpo principale di circa 1000 metri quadri detenuto dall’attore medesimo. D ‘altra parte , per ammissione della stessa parte attrice il bene non era raggiungibile se non attraverso la costituzione della servitù sulla proprietà della ditta COGNOME Costruzioni e non poteva ritenersi usucapibile il suddetto spazio che era di solo collegamento.
La società ricorrente insiste nel ritenere, anche sulla scorta della inattendibilità delle testimonianze, che il Di NOME fosse mero detentore del l’immobile , come dimostrato dal pagamento dei canoni di cui alle fatture in atti. D’altra parte , l’onere della prova dell’esistenza dei requisiti per usucapire era a suo carico e non era stato assolto.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: difetto assoluto dei presupposti per l’acquisto da parte attrice per usucapione di parte, per altro infima, del fabbricato in oggetto, erronea applicazione degli articoli 1158 e 1163 c.c.
Parte ricorrente richiama i presupposti per l’acquisto a titolo originario mediante usucapione ed evidenzia che l’onere della prova dell ‘ esistenza dei suddetti presupposti è a carico dell’usucapiente. Parte attrice, invece, non ne avrebbe provato la positiva ricorrenza mentre, al contrario, il ricorrente avrebbe provato la sua condotta di pieno esercizio delle funzioni e potestà conseguenti al diritto di proprietà, ovvero il possesso dell’immobile anche mediante il contratto di locazione, le quietanze di pagamento, il contratto preliminare del 15 dicembre 2006 di alienazione della proprietà.
2.1 I due motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
La Corte d’Appello ha ritenuto provato il possesso utile ad usucapire in capo all’originario attore non potendosi qualificare come detenzione il rapporto materiale con la porzione immobiliare rivendicata risalente quantomeno all’anno 1980, rapporto provato anche dalle ulteriori testimonianze e non contestato nella sua materialità dalla società appellante. In particolare, la Corte territoriale ha escluso, anche sulla base delle conclusioni della consulenza tecnica, che vi fosse identità tra il bene locato dalla società NOME di NOME e quello oggetto della domanda di usucapione di NOME COGNOME in proprio. La scrittura privata comprovante la locazione, pertanto, era irrilevante e lo stesso atto di appello non si confrontava con questo aspetto. Di conseguenza
erano irrilevanti anche le fatture di pagamento del canone di locazione.
La Corte di merito è giunta alle dette conclusioni con un apprezzamento di fatto ed una esposizione delle ragioni del suo convincimento che, in quanto tali, non sono suscettibili di sindacato da parte di questa Corte, ciò comportando un nuovo esame del materiale delibato che non può avere ingresso nel giudizio di cassazione.
La complessiva censura proposta dal ricorrente, dunque, si risolve nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto, cosi mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dal giudice di appello non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa potessero ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità. Infatti, come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito, dovendo invece la Corte limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del
provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile.
Come si è detto, nel caso in esame, la relazione materiale tra il Di COGNOME e il bene oggetto di rivendica è stata qualificata come possesso non essendovi identità tra l’immobile oggetto della domanda di usucapione e quello che egli aveva in locazione.
In conclusione, deve ribadirsi che la valutazione circa la sussistenza o meno delll’ animus possidendi e del corpus possessionis – prendendo le mosse dall’esame dei fatti e delle prove inerenti al processo – è rimessa all’esame del giudice del merito, le cui valutazioni, alle quali il ricorrente contrappone le proprie, non sono sindacabili in sede di legittimità, ciò comportando un nuovo esame del materiale delibato che non può avere ingresso nel giudizio di cassazione.
Nel ricorso si fa genericamente riferimento alla domanda proposta dalla RAGIONE_SOCIALE di risoluzione del contratto preliminare, affermando che il contratto dichiarato risolto nei gradi di merito dovrebbe invece dichiararsi pienamente efficace avendo piena conoscenza la promissaria acquirente della situazione fattuale dell’immobile come dimostrato dall’aver consentito il passaggio.
3.1 Questa parte del ricorso non può considerarsi come motivo autonomo di impugnazione, in quanto contiene deduzioni del tutto generiche e domande proposte come mera conseguenza della richiesta di accoglimento dei primi due motivi.
D’altra parte , già il corrispondente motivo di appello è stato proposto come mera conseguenza della richiesta di rigetto della domanda di usucapione del NOME e la sentenza di primo grado
che ha dichiarato anche l’usucapione della servitù di passaggio sull’immobile della RAGIONE_SOCIALE non è stata oggetto neanche di appello.
In ogni caso anche volendo considerare il punto 3 del ricorso (pag. 16) come una specifica censura, la stessa sarebbe comunque manifestamente inammissibile avendo come presupposto l’accoglimento dei primi due motivi di ricorso.
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti di ciascuna delle due parti controricorrenti che liquida nel medesimo importo per ognuna pari a euro 3000 più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione