Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21672 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 21672 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/08/2024
SENTENZA
sul ricorso 14938/2019 R.G. proposto da:
COGNOME, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Sindaco pro tempore, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in atti;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 587/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata in data 12/03/2019;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
Udito il P.M. in persona del AVV_NOTAIO procuratore Generale NOME COGNOME, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Fatti di causa
Con provvedimento del 20/3/1990 venne ordinata la demolizione di un fabbricato costruito da NOME COGNOME, in assenza di concessione edilizia. Non eseguita la demolizione, con successivo provvedimento del 24/4/1991, il bene venne acquisito al patrimonio comunale. In seguito a sentenza di annullamento disposta dal TAR, per vizi formali dei provvedimenti amministrativi, il Sindaco reiterò, in data 7/12/1993 il provvedimento di acquisizione al patrimonio del Comune.
COGNOME, con citazione del 2016, dopo avere asserito di avere mantenuto la residenza nel predetto immobile e pagato <> (come riferisce la sentenza d’appello), decorsi novanta giorni dalla notifica dell’ordinanza di demolizione (la sanatoria era stata negata perché il fabbricato distava a meno di cento metri dal cimitero di Galciana, sottoposto a vincolo ai sensi dell’art. 338 l. n. 1265/1934), e cioè dal 26/6/1990, soggiunto che il bene era rimasto nell’interrotta materiale disponibilità della medesima, senza che il Comune, fino alla costituzione in giudizio (4/1/2013) ne avesse richiesto il rilascio, chiese dichiararsi l’acquisto della proprietà per intervenuta usucapione.
Il Tribunale adito, rigettata la domanda, in accoglimento di quella riconvenzionale, condannò l’attrice al rilascio dell’immobile.
La Corte d’appello di Firenze rigettò l’impugnazione proposta dalla COGNOME.
3.1. La sentenza di secondo grado, in primo luogo, riporta l’argomento centrale della decisione del Tribunale, il quale, dopo avere sostenuto di aderire all’orientamento secondo il quale perfino dopo il decreto di espropriazione, l’espropriato non muta l’ ‘animus
rem sibi habendi’ in ‘animus detinendi’, di talché, ove non spossessato, può usucapire il bene espropriatogli, nel caso di specie, tuttavia, non era decorso il ventennio per usucapire, poiché la data ‘ad quo’ era quella del 29/12/1993, allorquando era stata emessa la seconda ordinanza comunale, notificata il 10/1/1994, non assumendo natura costitutiva il solo decorso del termine di novanta giorni dalla notifica dell’ordinanza sindacale, previsto dalla legge per l’ottemperanza alla stessa, essendo stata annullata dal giudice amministrativo la prima ordinanza di acquisizione al patrimonio comunale con effetto retroattivo.
Inoltre, la l. n. 724/1994 aveva riaperto i termini per la presentazione di nuove istanze di condono edilizio, per effetto del combinato disposto degli artt. 44 l. n. 47/1985 e 39, co.1, l. 724/1994 e previsto la sospensione per legge dei procedimenti sanzionatori edilizi in corso e della esecuzione dei provvedimenti amministrativi, fino all’esito della nuova istanza. Pertanto, dall’entrata in vigore della l. n. 724 (1/1/1995) alla reiezione della nuova istanza di condono (4/3/1996), il Comune di RAGIONE_SOCIALE non avrebbe potuto giuridicamente esercitare il proprio diritto dominicale sull’immobile acquisito.
Indi la Corte locale supporta il rigetto dell’impugnazione sulla base di due ‘rationes decidendi’:
l’annullamento da parte del giudice amministrativo del primo provvedimento di acquisizione al patrimonio comunale, con effetto retroattivo, aveva posto il Comune di RAGIONE_SOCIALE nell’impossibilità giuridica, e non di mero fatto, di compiere atti impeditivi del decorso del termine utile per l’usucapione; <>;
la sospensione ‘ope legis’, per effetto del combinato disposto degli artt. 44 l. n. 47/1985 e 39, co. 1, l. n. 724/1994, in presenza di presentazione di nuova istanza di condono, aveva impedito giuridicamente l’esercizio del potere dominicale; pertanto, per tutto il periodo in discorso, non era utilmente decorso il tempo utile ad usucapire.
Avverso la sentenza d’appello NOME COGNOME propone ricorso sulla base di sei motivi.
Il Comune RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria.
Il Procuratore Generale in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo viene denunciata violazione dell’art. 7, co. 3 e 4, l. n. 47/1985 e 31, co. 3 e 4, d.P.R. n. 380/2001, sostenendosi che decorsi i novanta giorni dal provvedimento che ordina la demolizione, la pubblica amministrazione acquista ‘ope legis’ la proprietà del bene, nel mentre, la Corte d’appello si era discostata dal dettato normativo sostenendo che l’accertamento dell’inottemperanza, previa notifica all’interessato, costituisse necessario titolo per l’immissione in possesso.
Con il secondo motivo viene denunciata violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., addebitandosi al Giudice di non aver tenuto conto del prospettato giudicato esterno derivante dalla sentenza del TAR della Regione Toscana n. 322/1993 del 15/7/1993, rilevante a riguardo del momento di acquisto della proprietà da parte del Comune. La sentenza in parola aveva accertato che l’ordinanza di demolizione non aveva menzionato l’area di pertinenza del fabbricato e l’atto di acquisizione del 24/4/1991, che aveva correttamente individuato il bene aveva il valore di <>.
Con il terzo motivo viene denunciata violazione dell’art. 2935 cod. civ., poiché, una volta divenuto proprietario ex lege, decorsi i novanta giorni di cui si è detto, il Comune non versava in impossibilità legale di esercitare il dominio con la giustificazione di avere viziatamente esercitato il proprio potere.
Con il quarto motivo viene denunciata la violazione dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., sostenendosi la manifesta contraddittorietà della motivazione, per avere la Corte locale, giudicato indifferente qualificare l’accertamento dell’inottemperanza come certificativa o perfezionativa, per contro, nella prima ipotesi il provvedimento di acquisizione non avrebbe natura costitutiva ai fini dell’acquisto della proprietà, a differenza che nella seconda.
Con il quinto motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 39 l. n. 724/1994.
Si sostiene che l’art. 39 citato non costituiva, a dispetto di quanto affermato dalla Corte di Firenze, un ostacolo giuridico all’esercizio del possesso da parte del Comune, dalla data della sua entrata in vigore (1.1.1995) fino all’emissione del provvedimento di diniego (4/3/1996), poiché <>.
Con il sesto motivo viene denunciata violazione dell’art. 1158 cod. civ., asserendosi che l’illiceità permanente derivante
dalla violazione delle norme edilizie non impedisce il decorso del termine ventennale utile per l’usucapione.
Il complesso censorio sopra riportato deve essere rigettato.
A prescindere da ogni altra valutazione, è assorbente rilevare in punto di diritto che la ricorrente non ha goduto del possesso ‘ad usucapionem’.
Di recente le Sezioni unite, risolvendo contrasto, hanno enunciato il principio di diritto secondo il quale, in tema di espropriazione per pubblica utilità, nelle controversie soggette al regime giuridico previgente al d.lgs. n. 327 del 2001 (per essere la dichiarazione di pubblica utilità intervenuta prima del 30 giugno 2003), il decreto di esproprio validamente emesso è idoneo a far acquisire al beneficiario dell’espropriazione la piena proprietà del bene e ad escludere qualsiasi situazione di fatto e di diritto con essa incompatibile, con la conseguenza che, anche quando all’adozione del menzionato decreto non segua l’immissione in possesso, la notifica o la conoscenza effettiva di detto decreto comportano ugualmente la perdita dell'”animus possidendi” in capo al precedente proprietario, il cui potere di fatto -nel caso in cui continui ad occupare il bene -si configura come mera detenzione, che non consente il riacquisto della proprietà per usucapione se non a seguito di un atto di interversione del possesso, fermo restando il diritto di chiedere la retrocessione totale o parziale del bene (sent. n. 651, 12/01/2023, Rv. 666632).
Il richiamato principio, a fortiori, deve logicamente valere, ad avviso del Collegio, anche per l’ipotesi qui rappresentata della confisca urbanistica, cioè una intervenuta espropriazione recuperatoriasanzionatoria dell’immobile abusivamente edificato, che non venga demolito dal soggetto intimato, in violazione dell’ordinanza emessa dal comune.
Trattasi, per vero, come sottolineato di recente dalle Sezioni unite, con l’ordinanza interlocutoria, con la quale è stata rimesso al vaglio della Corte costituzionale la questione di costituzionalità relativamente alla posizione del titolare di diritto reale di garanzia sull’immobile successivamente acquisito al patrimonio comunale, di <> (S.U. ord. n. 583/2024).
Acquisto, rileva questo Collegio, che, come nel caso dell’espropriazione per pubblica utilità, importa la non configurabilità (nell’altro caso, procura la perdita) dell”animus possidendi’ in capo al proprietario in tal modo privato del diritto. Solo attraverso un atto di mutamento della detenzione in possesso, ai sensi del comma secondo dell’art. 1141 cod. civ., l’ex proprietario spogliato potrebbe iniziare a rivestire la qualità di possessore. Evenienza che qui non consta essere stata addotta.
In definitiva, appare utile enunciare il seguente principio di diritto: ‘ Acquisita a titolo originario al patrimonio comunale la proprietà dell’immobile abusivo, non demolito nel termine di legge, non è configurabile in capo al precedente proprietario, in tal modo privato della proprietà, rimasto a detenere l’immobile, l’animus possidendi, salvo atti di mutamento della detenzione in possesso ai sensi del secondo comma dell’art. 1141 cod. civ. ‘.
Infine, è appena il caso di soggiungere che il rilievo della mancanza di ‘animus possidendi’ in capo alla ricorrente per le ragioni sopra esposte non costituisce ‘terza via’, in ordine alla quale sarebbe occorso interpellare le parti ai sensi dell’art. 384, co. 3, cod. proc. civ.
Invero, per il giudizio in cassazione laddove la vicenda giudiziaria si risolva sulla base di valutazione squisitamente
giuridica, non implicante lo scrutinio di questioni di fatto o miste, la decisione giudiziale non giunge inaspettata per la basilare ragione che di essa questione giuridica le parti hanno piena conoscenza sin dall’inizio e in relazione a essa possono esercitare le facoltà illustrative e argomentative che reputino opportune (cfr., ex multis, Cass. nn. 11453/2014, 24312/2017, 19278/2020).
La configurabilità giuridica del possesso utile all’usucapione costituisce senz’altro, incontroversi e fermi gli accertamenti fattuali, discernimento di solo diritto.
Il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo, in favore del controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio di giorno 16