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Usucapione e vendita a terzi: la Cassazione chiarisce

Un soggetto agisce in giudizio per ottenere il riconoscimento della proprietà di alcuni beni per usucapione. La Corte d’Appello rigetta la domanda per un immobile, ritenendo che la vendita dello stesso da parte dei proprietari a un terzo abbia interrotto il possesso. La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso, ha stabilito che l’usucapione e vendita a terzi sono eventi distinti: la vendita è un atto ininfluente sul possesso di fatto, che non viene interrotto. La causa è stata rinviata per un nuovo esame.

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Pubblicato il 20 dicembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Usucapione e vendita a terzi: la vendita interrompe il possesso?

L’istituto dell’usucapione rappresenta una delle modalità più antiche di acquisto della proprietà, basata sul possesso prolungato nel tempo. Una questione complessa sorge quando, durante il periodo necessario per usucapire, il proprietario formale vende il bene a un’altra persona. Questo atto interrompe il possesso? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale sul rapporto tra usucapione e vendita a terzi, stabilendo un principio chiave a tutela del possessore.

I Fatti di Causa

La vicenda giudiziaria ha origine dalla richiesta di un uomo di essere dichiarato proprietario, per usucapione, di diversi appezzamenti di terreno e di un fabbricato. L’attore sosteneva di aver posseduto tali beni in modo pacifico e ininterrotto per oltre vent’anni, a partire da una scrittura privata del 1970 con cui il suo parente affiliante glieli aveva “passati come proprietario”.

Il percorso legale è stato lungo e tortuoso. Dopo una prima sentenza favorevole in Tribunale, la Corte d’Appello aveva rigettato la domanda. A seguito di un primo ricorso in Cassazione, la causa era stata rinviata nuovamente alla Corte d’Appello. Quest’ultima, con la sentenza ora impugnata, aveva accolto solo parzialmente la domanda, negando l’usucapione per il fabbricato e per alcuni terreni. La ragione principale del rigetto per il fabbricato era che i proprietari originari lo avevano venduto a terzi nel 1983, un atto che, secondo la Corte d’Appello, era “incompatibile con il preteso possesso uti dominus” dell’attore.

La Decisione della Corte sull’Usucapione e la Vendita del Bene

Il ricorrente ha contestato questa decisione davanti alla Corte di Cassazione, sostenendo che i giudici d’appello avessero errato nel considerare l’atto di vendita del 1983 come un evento interruttivo del suo possesso. La Suprema Corte ha accolto questo motivo di ricorso, ritenendolo fondato.

La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: l’atto di disposizione del diritto di proprietà da parte del titolare formale in favore di un terzo è, rispetto al possessore, una “res inter alios acta“. Si tratta, cioè, di un negozio giuridico che si svolge tra altri soggetti e che non ha alcuna incidenza diretta sulla situazione di fatto del possesso. La vendita del bene non impedisce materialmente al possessore di continuare a esercitare il suo potere sulla cosa, né costituisce un atto di spossessamento.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha spiegato che la Corte d’Appello ha commesso un errore di diritto. Invece di considerare la vendita come un ostacolo insormontabile all’usucapione, avrebbe dovuto compiere un’indagine diversa. Il suo compito era verificare se, nonostante la vendita del 1983, il possesso del ricorrente fosse di fatto continuato per il tempo residuo necessario a completare il ventennio richiesto per l’usucapione.

L’atto di vendita, in altre parole, non interrompe il decorso del tempo utile per usucapire. L’interruzione del possesso, infatti, può avvenire solo per cause naturali (abbandono del bene da parte del possessore) o civili (un’azione giudiziaria del proprietario per recuperare il bene). Un semplice atto di vendita tra il proprietario e un terzo non rientra in nessuna di queste categorie. Pertanto, la valutazione della Corte d’Appello è stata ritenuta errata e la sentenza è stata cassata su questo punto.

Le Conclusioni

La decisione della Cassazione rafforza la tutela del possesso effettivo rispetto alle mere vicende giuridiche del bene. Chi sta possedendo un immobile uti dominus non vede il proprio percorso verso l’usucapione interrotto da una compravendita di cui non è parte e che non si traduce in un’effettiva azione di recupero del bene da parte del nuovo acquirente. Per interrompere l’usucapione, non basta un atto scritto, ma è necessario un fatto concreto che privi il possessore del suo potere materiale sul bene. La causa è stata quindi rinviata alla Corte d’Appello, che dovrà riesaminare la questione attenendosi a questo fondamentale principio di diritto.

La vendita di un immobile da parte del proprietario a un’altra persona interrompe il possesso di chi sta usucapendo il bene?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la vendita è un atto tra terzi (“res inter alios acta”) che non incide sulla situazione di fatto del possesso e non ne interrompe il decorso ai fini dell’usucapione, a meno che non sia seguito da un’effettiva azione di spossessamento.

Cosa avrebbe dovuto fare la Corte d’Appello invece di respingere la domanda a causa della vendita del 1983?
La Corte d’Appello avrebbe dovuto verificare se, dopo l’atto di vendita, il possesso del ricorrente fosse continuato ininterrottamente per il tempo mancante al perfezionamento del termine ventennale di usucapione.

Un atto di disposizione del diritto di proprietà è sufficiente a interrompere il possesso utile per l’usucapione?
No. L’atto di disposizione, come una vendita, è ininfluente sulla prosecuzione dell’esercizio della signoria di fatto sul bene. Non rappresenta un atto che impedisce materialmente il possesso, né costituisce un’azione legale finalizzata al recupero del bene che possa interrompere civilmente l’usucapione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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