Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 9802 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 9802 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27671/2020 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
SOCIETÀ RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE INDIRIZZO COGNOME INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE BENSO NOME COGNOME;
– intimati –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI ROMA n. 6229/2019 depositata il 17/10/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, madre e dante causa dell’odierno ricorrente, conveniva innanzi al Tribunale di Roma il Fallimento della società RAGIONE_SOCIALE (già Maison Cassia Antica), chiedendo la declaratoria dell’avvenuto acquisto per usucapione ventennale di un appartamento sito in Roma. In sede di precisazione delle conclusioni la domanda veniva integrata dall’attrice con l’accessione del possesso del suo dante causa , NOME COGNOME il quale aveva acquistato l’immobile ed esercitato il possesso su di esso dal luglio 1979 fino all’ottobre 1983, data in cui lo aveva venduto all’attrice.
Costituitosi, il Fallimento convenuto resisteva alla domanda, chiedendo, in via riconvenzionale, la condanna dell’attrice al rilascio dell’immobile e al risarcimento del danno per l’occupazione dello stesso.
1.1. Il Tribunale adìto rigettava la domanda attorea, ritenendo processualmente inammissibile, in sede di precisazione delle conclusioni, la domanda di riunione al suo possesso con quello del dante causa prospettata ex art. 1146 cod. civ., comma 2, in quanto giudicata modifica irrituale della domanda iniziale cui ostavano le preclusioni del processo. Quindi, in accoglimento delle domande riconvenzionali, condannava la Di NOME al rilascio dell’immobile e al risarcimento del danno.
Sul gravame proposto dalla COGNOME, la Corte d ‘ Appello di Roma confermava la pronuncia di primo grado.
Per la cassazione della sentenza di appello ricorreva NOME COGNOME nella qualità di erede dell’attrice, nel frattempo deceduta. Questa Corte, in accoglimento del gravame, con ordinanza n. 8504 del 29.04.2016 applicava il principio già espresso in sede di legittimità (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23851 del 24/11/2010, Rv. 614865; Sez. 2, Sentenza n. 12607 del 24/05/2010, Rv. 613297; Sez. 2, Sentenza n. 24702 del 21/11/2006, Rv. 593251; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 40 del 08/01/2015, Rv. 633805), in virtù del quale la proprietà e gli altri diritti reali di godimento appartengono alla categoria dei c.d. diritti autodeterminati, individuati in base alla sola indicazione del loro contenuto, in quanto nelle relative azioni la causa petendi si identifica con il diritto e non con il titolo che ne costituisce la fonte, cosicché l’attore può mutare titolo della domanda senza incorrere nelle preclusioni della modifica della causa petendi e senza violare il divieto di ius novorum .
Il giudice del rinvio, con la pronuncia n. 6229/2019 qui impugnata -riesaminata nel merito la questione dell’avvenuta usucapione, dovendo valutare se alla luce della materiale disponibilità del bene del dante causa della Di Massimo nel periodo dal 1979 al 1983 ve ne fossero effettivamente i presupposti, e se fosse o meno effettivamente maturato il termine della prescrizione acquisitiva -rigettava il gravame così argomentando:
a fronte dei preliminari di compravendita non era mai intervenuto un atto definitivo e, secondo la ormai consolidata giurisprudenza di legittimità, anche in presenza di un preliminare ad effetti anticipati sarebbe stato pur sempre il contratto definitivo a produrre l’effetto traslativo reale. Anche, quindi, con la consegna della cosa e con il
pagamento anticipato del prezzo non si sarebbe verificata l’anticipazione degli effetti traslativi: la disponibilità in tal modo conseguita dal promissario acquirente aveva mera natura di detenzione, sia pur qualificata, collegata ad un contratto con effetti obbligatori, e non di possesso utile ad usucapionem , salva la dimostrazione di una sopraggiunta interversio possessionis nei modi di cui all’art. 1141, comma 2, cod. civ.;
nel caso di specie, non v’era dubbio che alcuna prova l’appellante, e prima di lui la sua dante causa , avesse fornito in merito all’effettiva interversio possessionis , non potendosi essa desumere dal contenuto dei due preliminari, stante l’operatività del trasferimento autonomo del possesso da parte dei promittenti venditori, né tantomeno dalla circostanza di essere stati sia il COGNOME che il COGNOME considerati i proprietari del bene dall’amministrazione condominiale e dall’avvenuto pagamento delle quote condominiali anche straordinarie: nessuna di questa circostanze costituiva, invero, uno degli atti di cui al comma 2 dell’art. 1141 cod. civ.
La suddetta pronuncia veniva impugnata per la cassazione, e il ricorso affidato a tre motivi.
Resisteva la società RAGIONE_SOCIALE terzo assuntore del Fallimento della RAGIONE_SOCIALE
A séguito della proposta di definizione accelerata del Consigliere Delegato dal Presidente di Sezione, il ricorrente ha chiesto la decisione ex art. 380bis , comma 2, cod. proc. civ.
In prossimità dell’adunanza entrambe le parti depositavano memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce violazione ex art. 360 n. 4) cod. proc. civ. in relazione all’art. 132 cod. proc. civ., primo comma n. 4)
cod. proc. civ., art. 111 Costituzione, art. 118 disp. att. cod. proc. civ. per mancanza totale o apparenza della motivazione ex art. 112 cod. proc. civ. per violazione del principio dispositivo. Il ricorrente lamenta l’omessa pronuncia e/o l’omessa motivazione sulla domanda in origine presentata (in merito alla configurazione del possesso necessario per l’usucapione di bene immobile) poiché il giudice di appello si era limitato ad analizzare i soli effetti giuridici discendenti dal preliminare ad effetti anticipati. Sostiene che tale conclusione non sarebbe supportata da documentazione probatoria, senza, invece, tenere conto della documentazione e degli atti (v. pp. 21 e 22 del ricorso) che militavano nel senso del passaggio del possesso dal COGNOME al COGNOME, e quindi dell’avvenuta interversio possessionis , posto che la scrittura privata del 20.10.1983 intercorsa tra le parti citate rappresentava un atto di compravendita nella sostanza.
1.1. Il motivo è inammissibile, in quanto il ricorrente sostiene un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, mentre è precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che comporti un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme (per tutte: Cass. Sez. 2 del 23-4-2024 n. 10927, Rv. 670888-01).
La Corte territoriale ha espressamente esordito nel senso di aver esaminato la documentazione versata in atti (v. sentenza p. 4, 3° rigo). L’ampia argomentazione che segue, pertanto, rappresenta lo sviluppo del convincimento raggiunto – in fatto e in diritto -a valle di tale disamina; convincimento che, in assenza di vizi logico – giuridici, è riservato al giudice del merito e non consente il riesame da parte di questa Corte (Cass. sez. 2, n. 19717 del 17.06.2022; Cass. Sez. 2, n. 21127 dell’08.08.2019).
1.2 . La Corte territoriale, quindi, si sofferma sia sull’assenza di un atto definitivo e sulle sue conseguenze in diritto, ossia la disponibilità
conseguita dal promissario acquirente a titolo di mera detenzione, estranea alla situazione di possesso utile ad usucapionem ; sia sulla mancanza di prova in merito al mutamento della detenzione in possesso (v. sentenza p. 4, 1° – 4° capoverso).
1.3. Non vi è, dunque, omessa pronuncia in merito alla qualificazione del contratto in questione come preliminare. A tal proposito, non si deve confondere l’obbligo del giudice di pronunciarsi su tutta la domanda o su ciascun capo di essa con le singole questioni prospettate per sostenerla, per le quali vale invece il principio che il giudice non è tenuto a confutarle tutte, essendo sufficiente che egli, dopo averle vagliate unitamente a quelle contrapposte, nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento. Conseguentemente non è in radice configurabile il vizio di omessa pronuncia o di omesso esame di un punto decisivo della controversia quando la soluzione negativa di una richiesta (ed a maggior ragione, di una questione) sia implicita nella costruzione logico-giuridica della sentenza con la quale venga accolta una tesi incompatibile con essa (per tutte: Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11446 del 10/05/2017, Rv. 644074 -02).
Non ricorre neanche l’ipotesi di motivazione apparente: vizio che sussiste allorquando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante: Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 23123 del 28/07/2023, Rv. 668609 -01; Cass Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639 -01; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022, Rv. 664061; Cass. Sez.
6 – 5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019, Rv. 654145; Cass. Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526; Cass. Sez. U, Sentenza n. 16599 del 2016).
Con il secondo motivo si deduce violazione ex art. 360 n. 5) cod. proc. civ. in relazione agli artt. 1140, 1141, 1146, 1158, 1164 cod. civ., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. Il ricorrente lamenta omessa pronuncia di un fatto rilevante per la controversia, ossia le risultanze istruttorie e i comportamenti dedotti discussi. La motivazione, sostiene il ricorso, si è concentrata sugli effetti derivanti da un inesistente contratto preliminare con effetti anticipati.
2.1. Il motivo è inammissibile poiché ricorre l’ipotesi della c.d. «doppia conforme» prevista dall’art. 348 -ter , comma 5, cod. proc. civ. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012, e quindi applicabile anche al giudizio in esame), il ricorrente per cassazione, al fine di evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. per difetto di specificità, deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra lo ro diverse ( ex plurimis : Cass. Sez. 6-2, n. 8320 del 2022-Rv. 664432 – 01; Cass., Sez. 3, 14.07.2022, n. 22244; Cass., Sez. L, 20.07.2022, n. 22782; Cass., Sez. 6-2, 15.03.2022, n. 8320; Cass., Sez. L, 06.08.2019, n. 20994). Nella specie, il ricorrente non ha indicato le ragioni di diversità fra le due pronunce.
Con il terzo motivo si deduce violazione di legge ex art. 360 n. 3) cod. proc. civ. in relazione agli articoli 1351 e 1470 -1146 cod. civ.
Il ricorrente lamenta errore di diritto, per aver la Corte territoriale qualificato come preliminare la proposta di acquisto formulata dal suo dante causa, non seguita da accettazione di RAGIONE_SOCIALE, nonché la scrittura privata tra quest’ultim a e il ricorrente, promissario acquirente, stipulata il 20.10.1984, nella quale è previsto il trasferimento del bene, del possesso e del godimento del bene. Tale ultimo atto integrerebbe un contratto di compravendita, alla luce di una sua lettura sostanziale, non già un preliminare.
3.1. Anche il terzo motivo è inammissibile, in quanto punta a censurare l’interpretazione di un atto negoziale che, per pacifica giurisprudenza di questa Corte, costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito e incensurabile in sede di legittimità, se non nella ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362 ss. cod. civ. o di motivazione omessa o illogica, ossia non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione ( ex multis , Cass. Sez. U, Sentenza n. 2061 del 28/01/2021, Rv. 660307 -02; Cass., 28 novembre 2017, n. 28319; Cass. Sez. L, n. 17168 del 09/10/2012; Sez. 2, n. 13242 del 31/05/2010).
Rilevato che il ricorrente, in seno al presente motivo, non deduce né la violazione dei canoni ermeneutici, né la mancanza o manifesta illogicità della motivazione sul punto, la censura si risolve nella sollecitazione di una lettura alternativa degli elementi istruttori, che non può trovare ingresso in sede di legittimità.
L ‘interpretazione dell’intera sequenza negoziale prescelta dalla Corte distrettuale – a valle, come si è detto prima, de ll’esame della documentazione versata in atti – non è implausibile. Compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere l’interpretazione del contratto contenuta nella decisione impugnata, al
fine di sovrapporre la propria interpretazione a quella dei giudici del merito, dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento, da essi reso manifesto nella motivazione della sentenza impugnata, non violi le regole della logica o le regole legali di interpretazione dei contratti (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 21912 del 2023, in motiva.; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 16987 del 27/06/2018, Rv. 649677 -01; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 28319 del 28/11/2017, Rv. 646649 – 01); ciò che, come sopra dimostrato, nel caso di specie è dato riscontrare.
4. In definitiva, il Collegio dichiara il ricorso inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza come da dispositivo.
Essendo la decisione resa nel procedimento per la definizione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380bis cod. proc. civ. (novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), con formulazione di istanza di decisione ai sensi dell’ultimo comma della norma citata, e il giudizio definito in conformità alla proposta, parte ricorrente deve essere, inoltre, condannata al pagamento delle ulteriori somme ex art. 96, commi 3 e 4, cod. proc. civ., sempre come liquidate in dispositivo (sulla doverosità del pagamento della somma di cui all’art. 96, comma 4, cod. proc. civ. in favore della Cassa delle Ammende: Cass. S.U. n. 27195/2023).
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore della controricorrente, che liquida in €. 3.500,00 per compensi, oltre ad €. 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%;
condanna, altresì, parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96, comma 3 cod. proc. civ., al pagamento a favore della parte controricorrente di una somma ulteriore di €. 3.500,00 equitativamente determinata, nonché -ai sensi dell’art. 96, comma 4 cod. proc. civ. – al pagamento della somma di €. 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda