Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 389 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 389 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2025
Oggetto: NOME
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 26800/2019 R.G. proposto da
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME presso il cui studio in Roma, INDIRIZZO è elettivamente domiciliato.
-ricorrente -contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME nel cui studio in Roma, INDIRIZZO è elettivamente domiciliato.
-controricorrente-
ricorrente incidentale –
Avverso la sentenza n. 272/2019, resa dalla Corte d’Appello di Cagliari-Sezione distaccata di Sassari, pubblicata il 4/6/2019 e notificata il 11/7/2019;
Udita la relazione svolta dal consigliere dott.ssa NOME COGNOME nella pubblica udienza del 5/12/2024;
udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso principale.
Uditi i difensori presenti
FATTI DI CAUSA
Con ricorso proposto ex art. 702bis cod. proc. civ., datato 12/12/2011, NOME NOME domandò al Tribunale di Tempio Pausania, Sez. distaccata di Olbia, di essere dichiarato proprietario per intervenuta usucapione ventennale dell’appartamento facente parte del complesso A/1 del INDIRIZZO di Golfo Aranci, int. 47, di cui aveva acquisito il possesso per avere scambiato quello oggetto di contratto preliminare del 9/12/1981 con la Dueppi con altro immobile oggetto di contratto preliminare del 22/7/1982 della medesima società con RAGIONE_SOCIALE.
Costituitosi in giudizio, il Fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, denominazione assunta dalla RAGIONE_SOCIALE in seguito ad alcuni atti di fusione, si oppose, proponendo, a sua volta, domanda riconvenzionale volta ad ottenere il rilascio dell’immobile e il risarcimento del danno.
Con sentenza n. 632/2016 del 21/10/2016, il Tribunale di Tempio Pausania, mutato il rito di urgenza in quello ordinario, dichiarò improcedibile la domanda principale, e, in accoglimento della domanda riconvenzionale, condannò il predetto al rilascio dell’immobile e al pagamento di un’indennità commisurata al valore locativo a far data dal 1982 fino al rilascio.
Il giudizio di gravame, interposto da NOME Alberto, si concluse, nella resistenza del Fallimento, con la sentenza n. 272/2019, pubblicata il 4/6/2019, con la quale la Corte d’Appello di Cagliari –
Sezione distaccata di Sassari riformò parzialmente la sentenza impugnata, dichiarando che NOME NOME deteneva senza titolo dal mese di aprile 2012 l’appartamento, interno 47, e lo condannò al risarcimento del danno.
Per giungere a tale soluzione, la Corte di merito, partendo dal principio secondo cui, nella promessa di vendita seguita dalla consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un’anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità conseguita dal promissario acquirente si fonda sull’esistenza di un contratto di comodato funzionalmente collegato a quello preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori, sicché la relazione con la cosa, da parte di quest’ultimo, è qualificabile come detenzione qualificata e non come possesso utile ad usucapionem , salvo la dimostrazione dell’ interversio possessionis , da estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, ha osservato che il COGNOME, pur avendo acquistato la disponibilità del bene in forza di un preliminare di acquisto, non aveva allegato, né dimostrato di avere posto in essere, nei confronti dei proprietari succedutisi nel tempo, un comportamento di interversione, non essendo all’uopo sufficiente che avesse goduto, direttamente o mediante locazione a terzi, del bene, né che avesse provveduto al pagamento delle utenze o dei costi di manutenzione o degli oneri condominiali, con la conseguenza che era mancata la prova del possesso utile ad usucapire.
Contro la predetta sentenza, propone ricorso per cassazione COGNOME NOME, affidandolo a tre motivi. Il Fallimento RAGIONE_SOCIALE, in liquidazione, si è difeso con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato, affidato ad un solo motivo.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso principale, si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., perché i giudici di merito non avevano considerato che l’immissione in possesso dell’appartamento interno 47 del Marella era avvenuta per fatto del detentore e senza la partecipazione o il consenso della proprietà venditrice, che i preliminari stipulati dai promittenti acquirenti escludevano espressamente il possesso dei beni compromessi durante il periodo intercorrente tra preliminare e definito, mai concluso, e che il possesso trentennale del RAGIONE_SOCIALE era avvenuto nell’ignoranza del fatto e, quindi, senza acquiescenza della società costruttrice proprietaria.
Col secondo motivo di ricorso principale, subordinato al precedente, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1140, 1141 e 1144 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., perché, secondo i principi affermati da questa Corte, la detenzione protrattasi per un periodo non transitorio e di non modesta entità costituisce elemento presuntivo del possesso ad usucapionem , salvi i rapporti caratterizzati da vincoli particolari, nella specie inesistenti. Peraltro, le premesse del possesso e la sua protrazione per trent’anni non erano mai state contestate dal Fallimento, che si era limitato a sollevare l’eccezione di tolleranza della società costruttrice utile alla mera detenzione, ed erano state provate per documenti e testi.
Il primo e il secondo motivo, da trattare congiuntamente in quanto afferenti al medesimo thema decidendum , ossia la configurabilità, nella specie, di un possesso utile ad usucapire, ora affrontato sotto il profilo dell’omesso esame di fatti, ora sotto quello della violazione di legge in ordine alla qualificazione del rapporto col bene in termini di detenzione o possesso, sono infondati, anche se deve procedersi alla correzione della
motivazione della sentenza ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ..
Si osserva, innanzitutto, come l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, introduca nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione e afferente all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), con la conseguenza che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. 2, 29/10/2018, n. 27415; Cass., Sez. U, 7/4/2014, n. 8053).
Il ricorrente ha, nella specie, indicato come fatti storici omessi 1) l’apprensione del bene conteso per atto del promissario acquirente dello stesso, all’insaputa della società promittente alienante, 2) la pattuita esclusione del trasferimento del possesso del bene in entrambi i preliminari di compravendita (il proprio e quello di colui che gli aveva trasmesso il bene conteso) e 3) l’ignoranza della società promittente venditrice dell’apprensione del bene promesso in vendita a terzi.
Ebbene, i tre fatti sopra elencati, benché soltanto descritti nella sentenza impugnata nella parte illustrativa della domanda proposta, ma non esaminati nella parte afferente alla decisione, avendo i giudici di merito escluso la fondatezza della domanda di usucapione sul presupposto che il rapporto materiale col bene del promissario acquirente costituisse detenzione e non possesso e che non fosse stata provata l’interversione nel possesso mediante atti di opposizione al possessore, mancano del requisito della decisività. Al riguardo, occorre partire dalla speculare posizione giuridica dei due promissari acquirenti, i quali potevano vantare sui beni rispettivamente compromessi in vendita soltanto un titolo detentivo e non possessorio, come peraltro correttamente evidenziato dalla Corte d’Appello, in virtù del principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui, nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un’anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità conseguita dal promissario acquirente si fonda sull’esistenza di un contratto di comodato funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori, sicché la relazione con la cosa, da parte del promissario acquirente, è qualificabile esclusivamente come detenzione qualificata e non come possesso utile ad usucapionem , salvo la dimostrazione di un’intervenuta interversio possessionis nei modi previsti dall’art. 1141 cod. civ. (Cass., Sez. U, 27/3/2008, n. 7930, seguita, tra le tante, da Cass., Sez. 2, 25/1/2010, n. 1296; Cass., Sez. 2, 26/04/2010, n. 9896; Cass., Sez. 2, 16/03/2016, n. 5211). Orbene, la mancata specificazione del titolo in virtù del quale era avvenuto lo ‘scambio’ dei beni, che, peraltro, rende la censura, sotto questo profilo, generica, impedisce di stabilire se questo abbia consentito di attribuire ai due paciscenti una situazione di possesso o di mera detenzione.
Infatti, chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito, deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, quindi, non solo del corpus , ma anche dell’ animus , che consiste non nella convinzione di essere proprietario, ma nell’intenzione di comportarsi come tale, esercitando le corrispondenti facoltà, senza che rilevi, invece, la buona fede, non essendo questa requisito del possesso utile all’usucapione, né la consapevolezza di possedere senza titolo, non escludendo una siffatta situazione in sé l’utilità del possesso ai fini dell’usucapione (Cass., Sez. 2, 6/5/2014, n. 9671), e che può eventualmente anche essere desunto in via presuntiva dal primo, se vi è stato svolgimento di attività corrispondenti all’esercizio del diritto di proprietà, sicché è allora il convenuto a dover dimostrare il contrario, provando che la disponibilità del bene è stata conseguita dall’attore mediante un titolo che gli conferiva un diritto di carattere soltanto personale (Cass., Sez. 2, 11/6/2010, n. 14092; Cass., Sez. 3, 8/6/2017, n. 14272).
Orbene, la censura, nella sua assoluta genericità, sembra riferire lo ‘scambio’ di appartamenti ad un mero comportamento materiale tra i due promissari acquirenti, il quale non può dar luogo ad un valido titolo di trasferimento, atteso che il trasferimento del mero possesso, disgiunto dal diritto è nullo per impossibilità dell’oggetto, ai sensi degli articoli 1418 e 1325 cod. civ., in quanto l’ animus possidendi , per la sua soggettività, può riferirsi solo al possessore attuale e non al possessore precedente (Cass., Sez. 2, 11/06/2014, n. 13222; Cass., Sez. 2, 08/08/1996, n. 7283; Cass., Sez. 2, 27/09/1996, n. 8528), oltre a non poter essere stato l’oggetto dell’accordo, non potendo nessuno dei due paciscenti vantare una siffatta situazione soggettiva.
Il fatto allora che il pattuito scambio possa essere avvenuto a titolo di comodato o di promessa di permuta, piuttosto che di permuta
vera e propria, non è di poco momento, derivando da ciascuno di tali titoli effetti giuridici differenti.
Infatti, per stabilire se, in conseguenza di una convenzione (anche se nulla per difetto di requisiti di forma), con la quale un soggetto riceve da un altro il godimento di un immobile si abbia possesso idoneo all’usucapione, ovvero mera detenzione, occorre fare riferimento all’elemento psicologico del soggetto stesso ed a tal fine stabilire se la convenzione sia un contratto ad effetti reali o ad effetti obbligatori, in quanto solo nel primo caso il contratto è idoneo a determinare l’ animus possidendi nell’indicato soggetto (in questi termini, Cass., Sez. 3, 8/6/2017, n. 14272; Cass., Sez. 2, 11/6/2010, n. 14092; Cass., Sez. 3, 14/3/2006, n. 5484; Cass., Sez. 2, 6/8/2004, n. 15145).
Ai fini dell’acquisto di un diritto reale a titolo di usucapione ordinaria ex art. 1158 cod. civ. non rileva, difatti, l’idoneità del titolo, ossia un titolo non affetto da vizio di nullità, essendo ciò dirimente ai soli fini della usucapione abbreviata ex art. 1159 cod. civ., ma è necessario che il titolo, ancorché invalido, sia idoneo a trasferire il possesso del bene, ciò che non può verificarsi quando l’anticipata consegna avvenga a titolo di promessa di permuta o addirittura a titolo di comodato, in quanto tale situazione legittima la mera detenzione del promissario acquirente, fino a che questi immuti la situazione di fatto in possesso ai sensi dell’art. 1141, secondo comma, cod. civ., potendo iniziare a usucapire soltanto da tale momento, ma soltanto quando il titolo di alienazione, pur ab origine nullo, dia luogo ad una situazione che possa qualificarsi immediatamente come possesso, in quanto l’immissione nella materiale disponibilità del bene deve intendersi compiuta dall’acquirente in opposizione al dante causa e dunque con animus possidendi (in questi termini Cass., Sez. 3, 8/6/2017, n. 14272 cit.).
Ciò comporta che correttamente i giudici di merito hanno ritenuto di qualificare il rapporto del ricorrente col bene in termini di detenzione, con conseguente necessità della interversione nel possesso ai fini del decorso del termine utile per l’usucapione, posto che, in assenza di diverso titolo, neppure dedotto nella specie, lo ‘scambio’ non può che avere riguardato il mero oggetto dei rispettivi contratti dei promissari acquirenti e non il titolo posto a fondamento della consegna, il quale, in quanto preliminare di compravendita, non poteva che dar luogo ad una mera detenzione in capo a ciascuno di essi.
La circostanza poi che la società fosse rimasta all’oscuro dello scambio, come più volte evidenziata dal ricorrente, ha valenza neutra in assenza di un titolo idoneo nei termini sopra precisati, non incidendo neppure sul requisito della clandestinità del possesso, il quale può dirsi insussistente quando il relativo esercizio sia pubblico e visibile a tutti, restando, invece, superflua la conoscenza che di esso abbia o non abbia il preteso danneggiato (Cass., Sez. 2, 28/1/2022, n. 2682; Cass., Sez. 2, 30/4/2021; Cass., Sez. 2, 23/7/2013, n. 17881; Cass., Sez. 2, 9/5/2008, n. 11624; Cass., Sez. 2, 14/5/1974, n. 2800).
4.1 Col terzo motivo di ricorso principale, ulteriormente subordinato, si lamenta la violazione dell’art. 101, secondo comma, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., perché l’applicazione della giurisprudenza da parte degli organi decidenti era avvenuta solo con la sentenza, benché, ai sensi della citata disposizione, ogni decisione assunta sulla base di una questione rilevata d’ufficio, deve essere sottoposta all’attenzione delle parti al fine di sollecitare il contraddittorio, derivando dalla violazione di tale disposizione la nullità del provvedimento adottato.
4.2 Il motivo è inammissibile, non essendo la critica correlata al contenuto della decisione impugnata comporta.
L’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può, infatti, considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata; queste ultime, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi considerare nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo il motivo che non rispetti questo requisito; in riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 , primo comma, n. 4, cod. proc. civ. (Cass., Sez. 3, 31/8/2017, n. 6496, Cass., Sez. 3, 31/8/2015, n. 17330, Cass., Sez. 3, 11/1/2005, n. 359; Cass., Sez. 1, 14/11/2023, n. 31670).
Il motivo proposto è invece del tutto generico perché privo di richiami alle parti della sentenza impugnata attinte da esso, ed è formulato in modo ben poco perspicuo, non consentendo neppure di comprendere il senso del richiamo all’asserita violazione del contraddittorio, ciò che ne comporta l’inammissibilità.
Il rigetto dei primi due motivi di ricorso principale e l’inammissibilità del terzo comportano l’assorbimento di quello incidentale condizionato, con il quale la società ha lamentato la violazione degli artt. 42 e 45 L.F., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., perché i giudici di merito avevano ritenuto inapplicabili le norme richiamate, che imponevano un vincolo di indisponibilità sui beni del fallito, con equiparazione del fallimento al pignoramento, e l’inopponibilità al fallimento di atti, non costituendo il fallimento causa interruttiva del possesso.
In conclusione, dichiarata l’infondatezza del primo e secondo motivo di ricorso principale e l’inammissibilità del terzo, il ricorso
principale va rigettato, mentre va dichiarato l’assorbimento di quello incidentale.
Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del ricorrente.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale, dichiara l’assorbimento di quello incidentale.
Condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 5/12/2024
Il giudice estensore
(NOME COGNOME)
Il Presidente (NOME COGNOME