Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14744 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 14744 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4033/2021 R.G. proposto da: COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA n. 481/2020 depositata il 29/06/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/05/2025
dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Reggio Calabria, NOME COGNOME per ivi sentire dichiarare che, per l’effetto dell’usucapione, era divenuto proprietario del terreno a lei intestato, sito nel Comune di Campo Calabro, contraddistinto in catasto alla partita n.3775/ foglio 14, particella 281, di are 12 e centiare 00.
NOME COGNOME si costituiva in giudizio contestando la domanda del Repaci.
Il Tribunale di Reggio Calabria rigettava la domanda di usucapione di parte attrice e le domande riconvenzionali di risarcimento dei danni e responsabilità aggravata di parte convenuta.
NOME COGNOME proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
NOME COGNOME resisteva al gravame e proponeva appello incidentale in ordine al rigetto delle domande riconvenzionali di risarcimento dei danni e di responsabilità aggravata del Repaci.
La Corte d’Appello di Reggio Calabria accoglieva l’appello e dichiarava l’intervenuta usucapione a favore del Repaci, associando al suo possesso esclusivo quello del genitore di questi. Infatti, per effetto del combinato disposto dell’articolo 1146 e dell’articolo 460 del codice civile, il chiamato all’eredità subentra al “de cuius”, nel
possesso dei beni ereditari, senza la necessità di materiale apprensione di quest’ultimi (Cass., sent. n. 6852/2001).
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di cinque motivi di ricorso
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
La ricorrente con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha insist ito nella richiesta di accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione di legge – error in iudicando – art 360, nn. 3 e 4, c.p.c. in relazione agli 101 e 111, commi 1 e 2, c.p.c., nullità della sentenza violazione delle regole del contraddittorio – violazione di legge error in iudicando – art 360, nn. 3 e 4, c.p.c. – in relazione agli artt. 180, 183, 345 c.p.c. – inammissibilità della domanda ex art. 1146 cc per tardività della stessa – difetto di motivazione – omessa motivazione in relazione ad un fatto decisivo in relazione alle norme indicate .
Il Repaci, sino al deposito della comparsa conclusionale di primo grado, ha sempre addotto il proprio personale ed esclusivo possesso ai fini della propria domanda di usucapione senza mai far riferimento al possesso che del suddetto bene avrebbe avuto il proprio dante causa e senza chiedere che venisse tenuto conto di tale possesso ai fini dell’usucapione.
Solo in comparsa conclusionale di primo grado egli, mutando integralmente i fati costitutivi della domanda allegati e la propria prospettazione, ha chiesto affermarsi l’usucapione del bene in contesa associando al proprio possesso quello del padre, così procedendo tardivamente ed inammissibilmente in violazione al
sistema processuale civile, siccome eccepito nella memoria di replica nonché rilevato dalla sentenza di primo grado.
Si tratterebbe di una domanda nuova in quanto il precedente possesso del terreno parte di altro soggetto è un fatto mai allegato dalla controparte. Parte ricorrente lamenta anche una violazione del contraddittorio e dell’art. 101 c.p.c. non avendo avuto modo di legittimamente contraddire alla circostanza, né di articolare propri mezzi istruttori diretti a contrastare la pretesa applicazione della norma di cui all’art. 1146 cc;
La controparte avrebbe rottamato la propria linea difensiva e imboccato un differente itinerario argomentativo impedendo il diritto di difesa in relazione a tali modifiche.
La Corte d’Appello di Reggio Calabria avrebbe dovuto, facendo propria la propria corretta motivazione del Tribunale sul punto, conseguentemente, prendere atto dell’effettiva domanda del COGNOME, come sopra riportata, e confermare la sentenza di primo grado e dichiarare tardiva ed inammissibile la domanda siccome radicalmente modificata dal COGNOME, poiché fondata su allegazioni di fatto ed elementi costitutivi del tutto nuovi ed inammissibili al “thema decidendum”, avendo ivi proceduto ad affermare per la prima volta con la conclusionale di primo grado ad affermare il proprio diritto all’usucapione non già per effetto del proprio possesso personale ed esclusivo, ma, avvalendosi della norma di cui all’art. 1146 cc, invocando un possesso e quindi, un correlativo e qualificato potere di fatto che sul bene avrebbe esercitato il proprio genitore.
La sig.ra NOME COGNOME infatti, ha articolato, limitato e circoscritto le proprie difese, esclusivamente, sulla base della
prospettazione dei fatti dal COGNOME NOME allegati e mai modificati nei termini di legge, a fondamento della propria domanda di usucapione rigettata dal primo Giudice per difetto di prova poiché mai il sig. NOME COGNOME ha tempestivamente allegato che il terreno sarebbe stato utilmente posseduto già dal proprio padre e che egli ne avesse continuato il possesso, si da porre la medesima NOME COGNOME nelle condizioni di difendersi anche rispetto ad essi, con la possibilità di richiedere di essere ammessa a provare, – a mero titolo esemplificativo – la presenza di un t itolo contrattuale idoneo ad escludere l’animus possidendi del sig. NOME COGNOME ovvero l’inesistenza di un possesso utile in capo allo stesso o l’interruzione dello stesso, per come pure correttamente rilevato l dal Giudice di primo grado che aveva, pertanto, rigettato la domanda
La sentenza impugnata, avrebbe rilevato e posto a fondamento della propria decisione, una nuova questione di fatto (tale potendosi considerare solo quella che richieda prove aventi un contenuto diverso da quello chiesto dalle parti), per come in effetti sarebbe quella posta dal COGNOME NOME, atteso che le prove testimoniali richieste dallo stesso e assunte in sede di merito riguardavano esclusivamente il suo possesso mentre la Corte di Appello avrebbe accolto la domanda del COGNOME NOME fondandola su di un potere di fatto ritenuto utilmente esercitato sul terreno della ricorrente da parte di altro soggetto e per un periodo precedente a quello originariamente indicato in domanda, quale presupposto per l’avvenuta applicazione dell’art. 1146 c.c, al caso di specie.
In tal modo avrebbe precluso in quella sede ed in violazione del principio del contradditorio e di difesa di cui agli artt. 101 c.p.c. e 111, commi 1 e 2, avrebbe vulnerato in concreto la facoltà della COGNOME NOME di chiedere prove in punto di fatto su circostanze risultate decisive per l’accoglimento della domanda, con conseguente nullità della sentenza.
1.1 Il motivo è infondato.
In tema di limiti alla proposizione di domande nuove in appello, non viola il divieto di ius novorum la deduzione, da parte del convenuto, dell’acquisto per usucapione, ordinaria o abbreviata, della proprietà dell’area rivendicata da controparte qualora già in primo grado egli abbia eccepito ad altro titolo la proprietà dell’area medesima, in quanto la proprietà e gli altri diritti reali di godimento appartengono alla categoria dei c.d. diritti autodeterminati, che si identificano in base alla sola indicazione del loro contenuto e non per il titolo che ne costituisce la fonte, la cui eventuale deduzione non assolve a una funzione di specificazione della domanda o dell’eccezione, ma è necessaria ai soli fini della prova (Nel caso di specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza che aveva dichiarato inammissibile la domanda di usucapione abbreviata del convenuto in rivendica, che in primo grado aveva proposto in via riconvenzionale la sola domanda di usucapione ordinaria). (Cass. Sez. 2, 28/02/2025, n. 5307, Rv. 673982 -01, conf. Cass. Sez. 2, 23/09/2019, n. 23565, Rv. 655355 – 01).
Dunque, correttamente la Corte d’Appello ha ritenuto erronea la sentenza del Tribunale che aveva negato la possibilità di applicare l’art. 1146 c.c. perché l’attore aveva allegato la continuità con il possesso del padre solo con la comparsa conclusionale.
Nella specie, la Corte d’Appello ha evidenziato che sulla base del l’istruttoria svolta in primo grado e delle concordi dichiarazioni dei testi NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME padre d ell’attore e suo dante causa, da moltissimi anni si preoccupava di coltivare il fondo, ne percepiva i frutti, puliva i tratti di confine dietro richiesta dei proprietari limitrofi e veniva da questi considerato come il dominus effettivo, al quale fare riferimento per le necessità connesse alla sua gestione.
La Corte d’Appello , dunque, ha fatto sicuramente riferimento a fatti accertati nel corso del giudizio di primo grado senza alcuna violazione del regime delle preclusioni sicché l’accoglimento della domanda di usucapione si è fondata solo sul diverso titolo costituito dalla continuazione del possesso del ricorrente con quello del padre cominciato sin dal 1960 come accertato nel corso del giudizio. Essa pertanto si sottrae a censura.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione di legge – art 360, n. 3, c.p.c. – in relazione agli artt. 1146 e 2697 c.c. – difetto di motivazione- art. 360 n.5 – omessa motivazione in relazione ad un fatto decisivo della controversia ed alle norme sopra indicate.
Il ricorrente lamenta il difetto di prova dell’esistenza di tutte le condizioni richieste dall’art. 1146 c.c., cioè la mancanza di prova della qualità di legittimo erede d ell’attuale possessore rispetto al precedente, qualità che non può essere data per supposta. Lamenta inoltre l’erronea decisione in ordine all’effetto interruttivo del possesso per abbandono del fondo e delle trattative intercorse tra le parti per l’acquisto del medesimo fondo, censure che sviluppa con i motivi successivi.
2.1 Anche questo motivo è infondato.
Parte ricorrente non ha mai contestato la qualità di NOME COGNOME di erede di NOME COGNOME sicché deve farsi applicazione del seguente principio di diritto: la parte che ha un titolo legale che le conferisce il diritto di successione ereditaria non è tenuta a dimostrare di avere accettato l’eredità ove proponga in giudizio domande che, di per sé, manifestano la volontà di accettare, qual è quella diretta a ricostituire l’integrità del patrimonio ereditario, gravando su chi contesta la qualità di erede, l’onere di eccepire la mancata accettazione dell’eredità ed, eventualmente, provare l’esistenza di fatti idonei ad escludere l’accettazione tacita, che appare implicita nel comportamento dell’erede. (Cass. Sez. 2, 08/01/2025, n. 390, Rv. 673498 – 01).
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione di legge – art 360, n. 3, c.p.c. – difetto di motivazione art. 360, n.5, c.p.c. omessa motivazione- entrambi in relazione agli art. 1158 e 1167 c.c. – in relazione ad un fatto decisivo della controversia.
La censura attiene all’erronea decisione circa l’abbandono del fondo come da risultanze istruttorie indicate analiticamente nel motivo e all’omessa motivazione della sentenza impugnata in ordine ad un fatto decisivo della controversia e/o nella violazione di legge, non avendo preso in considerazione la richiesta del Repaci di procedere all’acquisto del fondo .
Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione di legge, difetto di motivazione, omessa motivazione – entrambi in relazione agli art. 1158 c.c. – in relazione ad un fatto decisivo della controversia.
La censura attiene all’omesso esame dell ‘offerta di acquisto formulata prima della proposizione della domanda e reiterata dal Repaci anche dopo l’introduzione del giudizio, evidenziando, in modo inequivocabile la mancanza, nel caso di specie, dell ‘ animus possidendi.
Il ricorrente anche in questo caso riporta analiticamente le risultanze istruttorie a comprova della trattativa.
L’e sistenza delle trattative accertate, anche, dal Giudice di primo grado e le reiterate richieste di acquisto, formulate anche a causa in corso, dimostrerebbero che il COGNOME fosse bene a conoscenza dell’appartenenza del bene ad altri, nonché della sua inequivoca ed indubbia volontà di riconoscere il diritto di proprietà alla signora NOME COGNOME.
4.1 Il terzo e quarto motivo di ricorso che stante la loro evidente connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono in parte inammissibili in parte infondati.
La censura proposta come vizio di motivazione è inammissibile.
Questa Corte a sezioni unite ha chiarito che dopo la riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., operata dalla legge 134/2012, il sindacato sulla motivazione da parte della cassazione è consentito solo quando l’anomalia motivazionale si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; in tale prospettiva detta anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed
Ric. 2021 n. 4033 sez. S2 – ad. 20/05/2025
obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. Sez. un. 8053/2014); – nel caso di specie, la grave anomalia motivazionale non esiste, perché la Corte d’Appello ha sufficiente mente motivato sia in relazione all’abbandono del fondo che alla disponibilità all’acquisto da parte del Repaci.
Ne consegue che è infondata la censura di omesso esame di un fatto decisivo proprio in relazione al dedotto abbandono del fondo o alla richiesta anche in corso di causa di acquisto del fondo fatta dal Repaci al ricorrente.
Peraltro, la sentenza, non sindacabile quanto all’accertamento in fatto, è conforme alla giurisprudenza di legittimità sia con riferimento alle conseguenze del momentaneo abbandono del fondo sia alla volontà manifestata di acquistare il bene usucapito.
Sotto il primo profilo, deve ribadirsi che: «In tema di interruzione dell’usucapione – poiché il possesso non richiede, per il suo permanere, il costante, materiale rapporto con la cosa che ne costituisce l’oggetto, essendo sufficiente la disponibilità del godimento della cosa stessa da parte del possessore, non contrastata da terzi – la semplice assenza di manifestazioni del predetto rapporto materiale per un dato periodo, anche se provata, non è di per sè idonea a dimostrare la volontaria dismissione del possesso, la quale deve essere assolutamente univoca per produrre l’indicata interruzione» ( V 1929/75, mass n 375623) (Cass. Sez. 2, 28/11/1981, n. 6349, Rv. 417143 – 01);
Infatti, il possesso perdura anche per effetto della conservazione del solo “animus” se il mancato esercizio del godimento sulla cosa non dipenda da fatto estraneo alla volontà del possessore, tale da impedire che l’elemento del “corpus” possa
Ric. 2021 n. 4033 sez. S2 – ad. 20/05/2025
essere ripristinato quando lo si voglia, salvo che la parte non abbia univocamente manifestato l'”animus derelinquendi”. Sez. 2, Sentenza n. 9396 del 06/05/2005 (Rv. 584266 – 01).
Quanto al secondo profilo deve osservarsi come la ricorrente non contesta che la ric hiesta di procedere all’acquisto del fondo è stata fatta quando già era maturata l’usucapione. Pertanto, la decisione è conforme alla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale gli accordi negoziali fatti dopo il decorso del termine per usucapire, non possono configurarsi come rinuncia all’usucapione, potendosi da essi desumersi anche soltanto una volontà del possessore di regolarizzare la propria posizione e di eliminare il contenzioso in atto, pur senza perdere il diritto ormai acquisito.
Il Collegio intende dare continuità al seguente principio di diritto: È configurabile rinuncia tacita all’usucapione soltanto allorché sussista incompatibilità assoluta fra il comportamento del possessore e la volontà del medesimo di avvalersi della causa di acquisto del diritto, senza possibilità di diversa interpretazione (In applicazione dell’anzidetto principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso che la dichiarazione di disponibilità all’acquisto di un immobile, fatta dopo il decorso del termine per usucapire, potesse configurarsi come rinuncia all’usucapione, potendosi da essa desumere anche soltanto una volontà del possessore di regolarizzare la propria posizione e di eliminare il contenzioso in atto, pur senza perdere il diritto ormai acquisito) (Sez. 2, Sent. n. 17321 del 2015, Sez. 2, Sent. n. 10026 del 2002).
Come si è detto l ‘apprezzamento di una tale incompatibilità non può essere sottratto al giudice del merito, il quale ha il pieno dominio delle emergenze di causa per esprimere un tale giudizio.
Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: violazione di legge – art 360, n. 3, c.p.c. – difetto di motivazione art. 360, n.5, c.p.c. – omessa motivazione in relazione ad un fatto decisivo della controversia. rigetto dell’appello incidentale.
La Corte di Merito avrebbe omesso ogni decisione circa la domanda di risarcimento del danno.
5.1 Questo motivo è inammissibile.
La Corte d’Appello ha dichiarato assorbito il motivo di appello incidentale relativo al rigetto della domanda di risarcimento del danno per aver perso una chance di vendita in quanto ha accolto la domanda di usucapione del Repaci.
Non vi è stata alcuna omessa pronuncia e la decisione è strettamente consequenziale rispetto a quella di accoglimento dell’usucapione che implica il venir meno del presupposto fondante la richiesta risarcitoria.
Il sesto motivo di ricorso è così rubricato: violazione di legge – art 360, n. 3, c.p.c. in relazione all ‘ art. 91 c.p.c.
6.1 Il motivo è inammissibile.
La censura relativa all’erroneo governo delle spese di lite è subordinata dalla stessa ricorrente all’accoglimento dei precedenti motivi di ricorso, sicché il loro rigetto determina automaticamente l’inammissibilità del motivo.
In conclusione, il ricorso è rigettato con inevitabile aggravio di spese per la parte soccombente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in euro 3.000,00 più 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione