Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25631 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25631 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/09/2024
Oggetto: Servitù sulle distanze – Ammissibilità in caso di violazione degli strumenti edilizi – Rilevanza, ai fini delle distanze, della destinazione in fatto dell’area.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 06209/2022 R.G. proposto da
COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliati presso l’indirizzo PEC del predetto;
–
ricorrenti –
contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, presso il cui studio in Isola del LiriINDIRIZZO, sono elettivamente domiciliati.
–
contro
ricorrenti –
Avverso la sentenza n. 5615/2021, emessa dalla Corte d’Appello di
Roma, pubblicata il 31/7/2021 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 settembre 2024 dalla AVV_NOTAIO.AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
Rilevato che:
1. NOME COGNOME e NOME COGNOME, che avevano citato in giudizio i loro confinanti, NOME COGNOME e NOME COGNOME, onde ottenere l’accertamento della realizzazione, da parte loro, di molteplici violazioni anche delle distanze, con conseguente condanna all’arretramento, e altresì, in seguito alle medesime doglianze e pedisseque domande da questi ultimi proposte, il riconoscimento dell’acquisto, per usucapione, a mantenere il proprio fabbricato a distanza inferiore a quella di legge, impugnarono la sentenza n. 43/2013 con la quale il Tribunale di Cassino, Sezione distaccata di Sora, aveva accertato e dichiarato il confine tra il fondi di rispettiva proprietà, autorizzando l’apposizione di termini lapidei con oneri da ripartirsi in parti uguali; rigettato la domanda di usucapione da essi avanzata; accertato e dichiarato la violazione della distanza dal confine di entrambe le costruzioni di rispettiva proprietà; condannato entrambe le parti alla rimozione delle parti edificate a distanza inferiore a mt. 10; condannato la coppia COGNOMECOGNOME alla rimozione del parapetto in forati posto a delimitazione del terrazzo e del muretto in blocchetti di tufo, dello spessore di circa cm. 27, posto all’interno dell’aiuola a ridosso del terrazzo, del pannello e dei tre ferri orizzontali che lo sorreggevano, collocati nella parte retrostante il fabbricato degli attori; condannato la coppia COGNOME alla rimozione dei lampioni collocati nel cordolo di recinzione delle piante posizionata nella parte retrostante il fabbricato e la copertina di mattoni in cotto sporgente sulla proprietà dei convenuti.
La Corte d’Appello di Roma, nella resistenza di NOME COGNOME e NOME COGNOME, che proposero, a loro volta, appello incidentale, pronunciò la sentenza n. 5615/2021, pubblicata il 31/07/2021, con la quale accertò e dichiarò che NOME COGNOME e NOME COGNOME avevano acquistato il diritto a mantenere alla distanza attuale, rispetto all’immobile di proprietà di NOME COGNOME e NOME COGNOME, sia
l’edificio insistente sul proprio fondo, sia i due lampioni posti sul cordolo di recinzione e le piante, ordinando ai medesimi il taglio dei rami di un ulivo e tre abeti secondo le indicazioni del c.t.u., e rigettò per il resto l’appello principale e per intero quello incidentale.
Contro la predetta sentenza, COGNOME NOME e COGNOME NOME propongono ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. COGNOME NOME e COGNOME NOME si sono difesi con controricorso.
Questa Corte ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
In seguito a tale comunicazione, i ricorrenti, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, hanno chiesto la decisione del ricorso ed è stata perciò fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ..
Ciascuna delle parti ha depositato memoria illustrativa.
Considerato che :
Con il primo motivo, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 873 e 1158 cod. civ. e del Regolamento edilizio del Comune di Isola del Liri, in relazione all’art. 360, n. 3), cod. proc. civ., per avere i giudici di merito affermato che i coniugi COGNOME avessero acquistato per usucapione il diritto a mantenere l’edificio di loro proprietà a una distanza inferiore a quella fissata dai regolamenti urbanistici. I ricorrenti, pur ammettendo l’effettivo decorso del ventennio rispetto alla data di ultimazione del manufatto delle sue controparti, hanno tuttavia criticato l’orientamento giurisprudenziale formatosi dopo il 2007, che – pur continuando a considerare pattiziamente inderogabile dai privati la disciplina prevista dalle norme dei regolamenti locali, richiamata dal medesimo art. 873 cod. civ., in quanto rispondente
ad interessi generali di livello più alto riconducibili a ragioni di decoro, salubrità e tutela di esigenze urbanistiche -aveva contraddittoriamente ammesso l’usucapibilità del diritto al mantenimento del fabbricato a distanza non regolamentare per esigenze legate alla stabilità dei rapporti tra privati, così tutelando la posizione di chi si era avvantaggiato dell’inerzia del vicino e di quella notoria della pubblica amministrazione, unica deputata a pretendere il ripristino delle situazioni contrarie agli strumenti urbanistici.
Col secondo motivo, si lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo della controversia e in particolare degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., per avere i giudici di merito accolto la domanda dei resistenti di acquisto per usucapione del diritto di servitù a mantenere alla distanza attuale i due lampioni, collocati nel cordolo della recinzione, e le piante, posizionate nella parte retrostante il fabbricato, ritenendo che tali beni fossero stati collocati in data antecedente al 1983 e non successiva al 1986, come invece affermato dal c.t.u. sulla base delle fotografie esaminate. Ad avviso dei ricorrenti, la sentenza era viziata per difetto di motivazione, in quanto aveva escluso attendibilità ai documenti aventi data certa e ritenuto prevalente quanto affermato dai testi.
Col terzo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 873 cod. civ. e del Regolamento edilizio del Comune di Isola del Liri, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., perché i giudici di merito, nel rigettare la domanda da essi proposta onde ottenere il riconoscimento del loro diritto al mantenimento del manufatto di loro proprietà alla distanza attuale dal confine, non avevano adeguatamente approfondito l’effettiva destinazione della zona in cui esso ricadeva, che, a dispetto della qualificazione urbanistica attribuitale
formalmente (zona A1 agricola), risultava totalmente urbanizzata, ciò che avrebbe comportato l’applicazione della disciplina più favorevole prevista in materia di distanze.
4. La proposta di definizione del giudizio formulata ai sensi dell’art. 380bis cod. proc. civ. è del seguente tenore: « INAMMISSIBILITÀ e/o MANIFESTA INFONDATEZZA del ricorso avverso pronuncia su violazione distanze e rimozione manufatti, per le seguenti ragioni: 1° motivo: inammissibile, ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c.. E’ ammissibile l’acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella fissata dal codice civile o dai regolamenti e dagli strumenti urbanistici anche nel caso in cui la costruzione sia abusiva, atteso che il difetto della concessione edilizia esaurisce la sua rilevanza nell’ambito del rapporto pubblicistico, senza incidere sui requisiti del possesso “ad usucapionem” (Sez. 2, n. 25843 del 5 settembre 2023; Sez. 2, n. 1395 del 19 gennaio 2017; Sez. 2, n. 3979 del 18 febbraio 2013). 2 motivo: inammissibile. La valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Sez. 1, n. 19011 del 31 luglio 2017; Sez. 1, n. 16056 del 2 agosto 2016). È, in conclusione, inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Sez. U., n. 34476 del 27 dicembre 2019). 3 motivo: inammissibile. In tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena
d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Sez. U., n. 23745 del 28 ottobre 2020; Sez. 5, n. 18998 del 6 luglio 2021) ».
5. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Costituisce orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, che qui si intende confermare, quello secondo cui è ammissibile l’acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella fissata dal codice civile o dai regolamenti e dagli strumenti urbanistici (tra le tante, Cass., Sez. 2, 9/5/2024, n. 12733; Cass., Sez. 2, 5/9/2023, n. 25843; Cass., Sez. 2, 31/5/2021, n. 15142; Cass., Sez. 2, 27/5/2016, n. 11052; Cass., Sez. 2, 27/3/1993, n. 3699; Cass., Sez. 2, 8/8/1985, n. 4395).
Le considerazioni svolte dal ricorrente in merito alla contraddittorietà tra quest’ultimo principio e quello che, a differenza di quanto sancito con riferimento alle norme di cui all’art. 873 cod. civ., nega la possibilità di deroga convenzionale delle prescrizioni contenute nei piani regolatori e negli strumenti urbanistici locali, in quanto dettate a tutela dell’interesse generale ad un prefigurato modello urbanistico (in questi termini, tra le tante, Cass., Sez. 2, 2/3/2018, n. 5016), possono essere sconfessate richiamando Cass., Sez. 2, 22/2/2010, n. 4240, allorché spiega che l’usucapibilità del diritto a tenere un immobile a distanza inferiore da quella legale non equivale alla stipula pattizia
di una deroga in tal senso, perché risponde all’esigenza ulteriore della stabilità dei rapporti giuridici in relazione al decorso del tempo, posto che, se dalla norma codicistica o da quella integrativa discende, come comunemente si afferma, il diritto soggettivo del vicino di pretendere che il confinante edifichi a distanza non inferiore a quella prevista, si deve ammettere, ove anche si consideri vietata la deroga convenzionale, che l’avvenuta edificazione (con opere quindi permanenti e visibili), mantenuta con i requisiti di legge per oltre venti anni, dia luogo al verificarsi dell’usucapione, da parte del confinante, del diritto a mantenere l’immobile a distanza inferiore a quella legale.
Se così non fosse, si dovrebbe ammettere l’esistenza, nei rapporti tra privati, di una perpetua instabilità, con la possibilità del vicino di agire in ogni tempo per il rispetto delle distanze, ciò che non si verifica neppure in relazione al diritto di proprietà (cui accede il diritto al rispetto delle distanze), che può essere usucapito, benché il codice dichiari imprescrittibile la proprietà. È stata spiegata da tempo, a proposito della proprietà, la dissociazione tra effetto estintivo ed effetto acquisitivo in relazione al decorso del tempo: allo stesso modo opera l’usucapione in relazione al diritto del confinante di usucapire (nei confronti del vicino) il diritto a mantenere il proprio fabbricato a distanza inferiore a quella legale, via questa attraverso la quale si fa rientrare nella sfera della ordinaria disciplina civilistica il rapporto tra i privati, senza che ciò infici le facoltà della pubblica amministrazione (Cass., Sez. 2, 22/2/2010, n. 4240 cit.).
In tal senso anche le Sezioni unite di questa Corte, che con la sentenza n. 13523 del 12/6/2006, pur prendendo posizione sulla diversa questione della necessità di trascrivere, ai sensi dell’art.2653 n.1 cod. civ., la domanda diretta a denunziare la violazione della distanza legale da parte del proprietario del fondo
vicino e ad ottenere l’arretramento della sua costruzione, ha evidenziato come ciò dipenda dal fatto che la stessa ha natura di actio negatoria servitutis , siccome diretta a salvaguardare il diritto di proprietà dell’attore dalla costituzione di una servitù di contenuto contrario al limite violato e ad impedirne tanto l’esercizio attuale, quanto il suo acquisto per usucapione.
Tali principi sono stati correttamente applicati dalla Corte d’Appello, che ha fatto decorrere il termine per usucapire dal completamento della costruzione, pacificamente risalente a oltre venti anni prima l’instaurazione del giudizio.
Ne consegue l’infondatezza della censura.
Il secondo motivo è inammissibile.
Si deve infatti ribadire come la valutazione delle prove raccolte costituisca attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili con il ricorso per cassazione, potendo l’omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova (e ciò vale anche per la valutazione dei contenuti della c.t.u., come nella specie), essere denunciata al giudice di legittimità solo nel caso in cui essa abbia determinato l’assenza di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito (Cass. 29/10/2018, n. 27415; Cass. 19/07/2021, n. 20553; Cass., Sez. 1, 3/7/2023, n. 18857).
Nella specie, i ricorrenti hanno stigmatizzato la prevalenza data dai giudici di merito alla prova testimoniale rispetto alle considerazioni svolte nella relazione di c.t.u. e alle riproduzioni fotografiche dei luoghi, senza considerare che i giudici di merito hanno ritenuto non
decisive le fotografie ed evidenziato come il c.t.u. non si fosse espresso in termini di certezza in merito al periodo di messa a dimora delle piante.
Va, peraltro, detto che spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare, secondo il suo prudente apprezzamento, le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante (in questi termini, Cass., Sez. L, 13/6/2014, n. 13485).
Il terzo motivo è inammissibile per più ordini di ragioni.
Se è vero che, quando nel ricorso per cassazione sia denunziata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, l’omessa o inesatta indicazione delle norme di legge delle quali si lamenta l’inosservanza non costituisce in sé motivo di inammissibilità della censura (tra le tante Cass., Sez. 1, 6/11/2023, n. 30851), è altrettanto vero che, giusta il disposto di cui all’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la pretesa violazione deve essere deAVV_NOTAIOa, a pena d’inammissibilità, mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente AVV_NOTAIOrina, non risultando altrimenti consentito alla Corte di Cassazione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (tra le tante
Cass., Sez. 2, 30/3/2022, n. 10257; Cass., Sez. V, 6 luglio 2021, n. 18998; Cass., Sez. Un., 28 ottobre 2020, n. 23745), principi questi del tutto disattesi nella specie, essendosi i ricorrenti limitati a lamentare il mancato approfondimento della questione della concreta destinazione dell’area interessata dalla violazione delle distanze.
Peraltro, qualora una questione giuridica -implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura (in tal senso, Cass., Sez. 6-5, 13/12/2019, n. 32804; Cass., Sez. 6-1, 13/6/2018, n. 15430).
E poiché nella sentenza impugnata non si fa cenno alla questione della reale destinazione dell’area su cui insiste il fabbricato di loro proprietà, se non nel laconico inciso dicente ‘gli appellanti non dimostrano la perdita della vocazione agricola’, peraltro disancorato dalle deduzioni degli stessi così come riportate nel provvedimento, sarebbe stato onere dei ricorrenti chiarire quando e in che termini la questione oggetto della censura fosse stata introAVV_NOTAIOa nei gradi di merito, ciò che, nella specie, non è avvenuto.
Partendo proprio dall’inciso di cui si è detto, appare, infine, evidente come la censura, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, aspiri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dai giudici di merito, sì da essere, in quanto
tale, inammissibile, poiché persegue surrettiziamente la trasformazione del giudizio di legittimità in un ulteriore grado di merito (Cass., Sez. 1, 6/10/2023, n. 30844; Cass., Sez. 1, 4/3/2021, n. 5987; Cass. Sez. U., 27/2/2019, n.34476; Cass., Sez. 6-3, 4/4/2017, n. 8758).
8. In conclusione, dichiarata l’infondatezza del primo motivo e l’inammissibilità dei restanti, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico dei ricorrenti.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge – in favore della cassa delle ammende.
10. Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge; condanna altresì i ricorrenti , ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., al
pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma ulteriore liquidata in € 3.500,00, nonché al pagamento della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende; dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12/9/2024.