Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4196 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 4196 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23960/2023 R.G. proposto da: NOME COGNOME, COGNOME NOMECOGNOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in NAPOLI INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende
-ricorrenti-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in NAPOLI INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-controricorrente-
nonché contro
ESPOSITO NOME
-intimata- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 5282/2022 depositata il 14/12/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La controversia riguarda un’area di circa 520 mq nella disponibilità materiale di NOME COGNOME e oggetto di un lungo contenzioso tra quest’ultimo e la società RAGIONE_SOCIALE Originariamente, l’area era parte di una più ampia consistenza locata dalla RAGIONE_SOCIALE a NOME COGNOME, inizialmente per coltivarla e successivamente per finalità commerciali. A partire dal 1982, COGNOME aveva subaffittato parti dell’area, tra cui quella detenuta da COGNOME, fino alla cessazione del contratto principale nel 1984. NOME COGNOME, che aveva edificato alcune costruzioni sul terreno, sosteneva di aver posseduto uti dominus l’area fin dal 1978, data in cui l’affittuario principale COGNOME avrebbe lasciato il fondo. La società RAGIONE_SOCIALE domandava al Tribunale di Napoli di accertare occupazione sine titulo da parte di NOME COGNOME, la condanna al rilascio dell’immobile libero da persone e cose, nonché la condanna al pagamento di € 133.312,96 come indennità per l’occupazione. COGNOME proponeva una d omanda riconvenzionale di accertamento dell’usucapione dell’area. Con sentenza n. 10476/2006, il Tribunale di Napoli rigettava sia la domanda principale che la domanda riconvenzionale. Il giudice ha ritenuto che COGNOME detenesse l’area come subaffittuari o di Racca e non uti dominus, mancando atti di interversione del possesso. Non vi era prova sufficiente né dell’occupazione sine titulo né dell’usucapione. La Mostra d’Oltremare propo neva appello principale contro la decisione, chiedendo il riconoscimento della sua proprietà e l’accoglimento delle domande originarie. COGNOME NOME propo neva appello incidentale, contestando il rigetto dell’usucapione. Con sentenza n. 2826/2012, la Corte distrettuale rigettava l’appello principale della Mostra d’Oltremare e acco glieva parzialmente l’appello incidentale di NOME, dichiarando l’acquisto dell’area per usucapione.
La Corte fondava la decisione sull’assenza di prove decisive del rapporto di sublocazione tra COGNOME ed COGNOME, ritenendo che quest’ultimo avesse esercitato un possesso utile ai fini dell’usucapione. Con sentenza n. 18896/2015, questa Corte accoglieva il ricorso della RAGIONE_SOCIALE nei confronti della sentenza di appello, censurando la mancata considerazione di prove testimoniali rilevanti e l’errata esclusione di documenti acquisiti dal Tribunale. Nel giudizio di rinvio, la RAGIONE_SOCIALE ha insi stito per l’accoglimento delle proprie domande. Gli eredi di NOME COGNOME hanno mantenuto le richieste di riconoscimento dell’usucapione. All’esito del giudizio di rinvio, la Corte d’appello ha rigettato l’appello incidentale di COGNOME e accolto l’appello principale della Mostra d’Oltremare, ha ritenuto che COGNOME fosse un detentore qualificato dell’area, non un possessore, e che non ci fossero stati atti di interversione del possesso, ha condannato gli eredi di COGNOME al rilascio dell’area in favore della RAGIONE_SOCIALE, ha condannando gli eredi di COGNOME al pagamento di € 209.491,29, ha dichiarato la proprietà della RAGIONE_SOCIALE sui manufatti realizzati sull’area da COGNOME per accessione.
Ricorre in cassazione COGNOME con due motivi, illustrati da memoria. Resiste Mostra d’Oltremare con controricorso. Il Consigliere delegato ha formulato proposta di definizione nel senso della manifesta inammissibilità o infondatezza. Il ricorrente ha chiesto la decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Del collegio fa legittimamente parte, in qualità di Presidente, il Consigliere Dr. NOME COGNOME che ha redatto la proposta di definizione. Infatti, secondo Cass. SU 9611/2024: « Nel procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati ex art. 380-bis c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), il presidente della sezione o il consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione può far parte ed eventualmente essere nominato relatore – del collegio investito
della definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4, e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa » .
2. – Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 184, applicabile ratione temporis, 118, 210 c.p.c. e 24 co. 2 e 111 co. 2 Cost. La Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza n. 5282/2022, avrebbe erroneamente ammesso e utilizzato, ai fini della decisione, documenti tardivamente prodotti nel corso del giudizio di primo grado. Tali documenti, esibiti dal teste COGNOME, non avrebbero potuto essere acquisiti né valorizzati in quanto presentati oltre i termini perentori stabiliti dall’art. 184 c.p.c., vi olando così il diritto di difesa e il principio del giusto processo sanciti dagli artt. 24 e 111 Cost. La decisione avrebbe, pertanto, disatteso la giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione, che impone il rigore nell’applicazione delle decadenze processuali per garantire il corretto svolgimento del contraddittorio e la parità tra le parti. Si contesta altresì l’utilizzabilità dei documenti ai sensi dell’art. 210 c.p.c., poiché la parte ricorrente non avrebbe rispettato i presupposti per la loro produzione.
Il primo motivo di ricorso è rigettato.
La Corte di appello, quale giudice del rinvio, ha correttamente applicato i principi di diritto sanciti da Cass. 18896/2015, secondo cui: « è consentito al giudice ordinare al testimone, ai sensi dell’art. 118 c.p.c., di consentire l’ispezione di documenti utilizzati per aiuto alla memoria, che restano in tal caso acquisiti al fascicolo d’ufficio e sono utilizzabili ai fini del decidere, quand ‘anche l’acquisizione avvenga
dopo lo spirare delle preclusioni istruttorie, salvo il diritto delle parti di essere ammesse alla prova contraria resa necessaria dalla acquisizione d’ufficio » .
Nel caso di specie, l’acquisizione dei documenti utilizzati dal teste COGNOME è stata legittimamente disposta ai sensi dell’art. 118 c.p.c. come ordine di ispezione disponibile d’ufficio non soggetto alle preclusioni istruttorie, con facoltà della controparte di articolare la prova contraria, facoltà che nel caso di specie non è stata esercitata.
– Il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 115, 116, 359, 356, 257 c.p.c. e 2697 c.c. La Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto provato il rapporto di sublocazione tra NOME COGNOME e NOME COGNOME attribuendo eccessiva rilevanza alle dichiarazioni rese dai testi COGNOME e COGNOME. Tali testimonianze, a giudizio della parte ricorrente, presentavano evidenti elementi di inattendibilità e risultavano in gran parte de relato, prive di adeguati riscontri probatori. Si afferma, inoltre, che la RAGIONE_SOCIALE, sulla quale gravava l’onere della prova ai sensi dell’art. 2697 c.c., non avrebbe fornito elementi sufficienti per dimostrare la sussistenza di un rapporto derivativo tra COGNOME e COGNOME. Si contesta, infine, l’applicazione da parte della Corte delle regole sull’interpretazione delle prove ai sensi degli artt. 115 e 116 c.p.c., ritenendo che sia stata compiuta una valutazione errata, che ha portato a una decisione non conforme ai principi sanciti dalla normativa vigente e alla giurisprudenza di legittimità.
– Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Esso fa valere profili attinenti alla valutazione delle prove, riservati al giudice del merito e non censurabili in sede di legittimità, se congruamente motivati come nel caso di specie.
– Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, anche ai sensi dell’art. 93 co. 3 e 4 c.p.c.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamentoto, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rimborsare alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in € 6 .000, oltre a € 200 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi, e agli accessori di legge. Inoltre, condanna la parte ricorrente al pagamento ex art. 96 co. 3 c.p.c. di € 3.000 in favore della parte controricorrente, nonché al paga-mento ex art. 96 co. 4 c.p.c. di € 3.000 in favore della cassa delle ammende.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 05/02/2025.