Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19514 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19514 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 15/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20109/2023 R.G. proposto da: ll’avvocato COGNOME
COGNOME NOME, rappresentato e difeso da NOMECOGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME, rappresentati e difesi dell’avvocato COGNOME
– controricorrenti –
nonchè contro
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME
– intimati – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI ROMA n. 1786/2023, depositata il 13/03/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME chiedeva al Tribunale di Roma che fosse dichiarato l’intervenuto acquisto per usucapione, in suo favore, del terreno di mq. 392 posto in adiacenza al fabbricato ad uso civile abitativo sito in Roma; terreno di cui erano comproprietari per successione oltre che l’attore, il fratello NOME COGNOME nonché NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME questi ultimi nella loro qualità di acquirenti di due unità abitative site all’interno dello stesso fabbricato delle quali era originari amente proprietaria la sorella dell’attore, NOME COGNOME.
Il Tribunale di Roma rigettava la domanda con sentenza confermata dalla Corte d’Appello di Roma sulla base della seguente motivazione:
correttamente il Tribunale aveva respinto le richieste istruttorie dell’appellante ravvisando la genericità e l’irrilevanza dei capitoli di prova, posto che le circostanze indicate, quand’anche provate, non offrirebbero anche la prova del necessario connotato dell’esclusività che deve caratterizzare il possesso del comproprietario il quale intenda usucapire la comproprietà altrui, e che è stato, peraltro, specificamente contestato dai convenuti costituiti NOME COGNOME e NOME COGNOME
non era stata fornita dall ‘ appellante la prova di fatti dai quali potesse desumersi il godimento dell’immobile in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus .
Contro la sentenza d’appello ricorre per cassazione NOME COGNOME sulla base di due motivi.
Resistono con controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME mentre le altre parti sono rimaste intimate.
A séguito della proposta di definizione accelerata del Consigliere Delegato dal Presidente di Sezione, il ricorrente ha chiesto la decisione ex art. 380bis , comma 2, cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Premesso che non vi è incompatibilità del consigliere autore della proposta a far parte del Collegio (Cass. Sez. U, n. 9611 del 10.04.2024), rileva la Corte che con il primo motivo il ricorrente deduce error in iudicando . Difetto di motivazione. Violazione e falsa applicazione delle norme di diritto degli artt. 356 e 360 n. 1 e 3 cod. proc. civ. Violazione e falsa applicazione degli articoli 24 e 111 della Costituzione -nonché degli artt. 115, 116, 187, 188, 189 e 244 cod. proc. civ. Omessa ammissione delle prove articolate in primo grado, reiterate nella precisazione delle conclusioni del primo grado, e nella comparsa ex art. 190 cod. proc. civ. e riproposte in appello; omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia. Omissione di motivazione e di esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art . 360, comma 1, nn. 3) e 5) cod. proc. civ. Il ricorrente censura in sostanza il la mancata ammissione delle prove testimoniali.
2. Con il secondo motivo si deduce: A) error in iudicando . Difetto di motivazione. Violazione e falsa applicazione delle norme di diritto degli artt. 356 e 360 n. 1 e 3 cod. proc. civ. Violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 della Costituzione -nonché degli articoli 1141, 1158 e ss cod. civ. Omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia. Omissione di motivazione e di esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’articolo 360 comma 3 e 5 cpc. B) Error in iudicando . Difetto di motivazione Violazione e falsa applicazione delle norme di diritto degli artt. 356 e 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.: violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 della Costituzione -nonché dell’articolo 1141, comma 1, 1158 e ss c od. civ . Con due diverse censure, il ricorrente lamenta: A) l’errata statuizione della Corte territoriale in relazione al mancato riconoscimento del possesso esclusivo anche in capo a chi possiede un
bene animo proprio benché in comproprietà e non in proprietà esclusiva; B) la non corretta interpretazione della disciplina di cui sopra in merito all’onere della prova del possesso uti dominus . In particolare, sostiene il ricorrente che lo ius excludendi alios , concretizzandosi nella piena volontà del soggetto di possedere il bene, gode di un’inversione dell’onere della prova, atteso che in punto di animus possidendi non spetta al possessore dimostrare l’esistenza di tale elemento soggettivo, ma alla parte che si opponga all’avvenuta maturazione dell’usucapione dimostrarne la mancanza.
Le due censure sono inammissibili laddove denunziano il vizio di cui al n. 5) dell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ., sia perché i vizi di motivazione non sono più denunziabili (salvo i casi limite qui non ricorrenti: cfr. tra le tante SSUU n. 8053/2014 su motivazione apparente e violazione del cd. minimo costituzionale) sia perché ricorre un’ipotesi di c.d. doppia conforme (cfr. art. 348 ter cpc nel testo applicabile ratione temporis); ed al riguardo, il ricorrente per cassazione, al fine di evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5) cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse ( ex plurimis : Cass. Sez. 6-2, n. 8320 del 2022-Rv. 664432 – 01; Cass., Sez. 3, 14.07.2022, n. 22244; Cass., Sez. L, 20.07.2022, n. 22782; Cass., Sez. 6-2, 15.03.2022, n. 8320; Cass., Sez. L, 06.08.2019, n. 20994). Tale precisazione non risulta.
Con riferimento alla dedotta violazione di legge, le doglianze sono infondate: esse investono l’apprezzamento sulla ammissibilità e rilevanza delle prove (prerogativa, come è noto, del giudice di merito). Nel caso in esame, la Corte d’Appello ha motivato adeguatamente per relationem condividendo la soluzione adottata dal primo giudice e le
ragioni della decisione sono in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante (cfr. su tale tecnica motivazionale Sez. 1, Sentenza n. 10937 del 26/05/2016).
Quanto alla sussistenza dell’elemento soggettivo del poss esso, la doglianza non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, che s’incentra sulla carenza di prova del possesso in termini di esclusività, avendo il giudice di merito escluso un possesso del bene con modalità incompatibili con la possibilità di godimento altrui, tali da evidenziare un’inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus (Sez. 2, n. 9359 dell’8 aprile 2021).
Inoltre, il ricorrente si limita a richiamare la giurisprudenza di legittimità in tema del requisito dell’esclusività del possesso ad usucapionem , senza tuttavia dimostrare di averne adeguatamente provato la sussistenza nel caso di specie, ma riaffermando, in modalità assertiva, di avere manifestato la assoluta volontà di dominio assoluto ed esclusivo sulla res comune in totale contrasto ed incompatibile con il possesso altrui ovvero dei comproprietari (v. ricorso, p. 25, ultimi sette righi).
Quanto alla seconda censura, il ricorrente riporta principi di diritto espressi da questa Corte in fattispecie non analoghe, ma non ha dato prova dell’esclusività del suo possesso rispetto ai comproprietari, e a tanto non può sopperire il principio espresso da questa Corte in virtù del quale «chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito, deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, quindi, non solo del corpus , ma anche dell’ animus ; quest’ultimo elemento, tuttavia, può eventualmente desumersi in via presuntiva dal corpus , se vi sia stato svolgimento di attività corrispondenti all’esercizio del diritto di proprietà e, in tal caso, sul convenuto grava l’onere di dimostrare il
contrario, provando che la disponibilità del bene è stata conseguita dall’attore, mediante un titolo che gli conferiva un diritto soltanto personale” (Cass. 27 settembre 2017, n. 22667).
In conclusione, il ricorso va rigettato con aggravio delle spese secondo la regola della soccombenza, liquidate come da dispositivo.
Essendo la decisione resa nel procedimento per la definizione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380bis cod. proc. civ. (novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), con formulazione di istanza di decisione ai sensi dell’ultimo comma della norma citata, e il giudizio definito in conformità alla proposta, parte ricorrente deve essere, inoltre, condannata al pagamento delle ulteriori somme ex art. 96, commi 3 e 4 cod. proc. civ., sempre come liquidate in dispositivo.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore dei controricorrenti, che liquida in €. 3.5 00,00 per compensi, oltre ad €. 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%;
condanna, altresì, parte ricorrente al pagamento di €. 3.500,00 in favore dei controricorrenti ai sensi dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ., nonché al pagamento di €. 1.000,00 in favore della cassa delle ammende, ex art. 96, comma 4, cod. proc. civ.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2024.