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Usucapione coltivazione terreno: non basta coltivare

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 4819/2024, ha ribadito un principio fondamentale in materia di usucapione di terreni agricoli. Un privato cittadino aveva richiesto di essere dichiarato proprietario di un terreno per usucapione, avendolo coltivato per lungo tempo. La Corte d’Appello aveva respinto la domanda, e la Cassazione ha confermato tale decisione, specificando che la mera coltivazione non è sufficiente a dimostrare l’intenzione di possedere il bene come proprietario (‘uti dominus’). Parallelamente, la Corte ha accolto il ricorso della società proprietaria del terreno, cassando la sentenza d’appello per non aver deciso sulla domanda di restituzione del fondo.

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Usucapione coltivazione terreno: non basta coltivare per diventare proprietari

L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 4819 del 23 febbraio 2024 offre un importante chiarimento sui requisiti necessari per l’usucapione coltivazione terreno. La Suprema Corte ha stabilito che la semplice coltivazione di un fondo, anche se protratta nel tempo, non è di per sé sufficiente a integrare il possesso ‘uti dominus’ necessario per acquistare la proprietà del bene. Analizziamo insieme i dettagli di questa pronuncia.

I Fatti di Causa

Un privato cittadino aveva citato in giudizio una società energetica, chiedendo al Tribunale di essere dichiarato proprietario di un terreno per avvenuta usucapione, sostenendo di averlo posseduto e coltivato per oltre vent’anni. Il Tribunale di primo grado aveva accolto la sua domanda.

La società proprietaria, tuttavia, ha impugnato la decisione dinanzi alla Corte d’Appello, la quale ha ribaltato la sentenza di primo grado. I giudici d’appello hanno ritenuto che la prova del possesso ‘ad usucapionem’ non fosse stata raggiunta, poiché la mera coltivazione dei terreni non dimostrava in modo inequivocabile l’intenzione del coltivatore di comportarsi come unico ed esclusivo proprietario. Inoltre, i testimoni non avevano neppure identificato con precisione i terreni in questione.

Contro questa decisione, il privato cittadino ha proposto ricorso in Cassazione, mentre la società ha risposto con un controricorso e un ricorso incidentale.

L’Analisi della Corte e il rigetto del ricorso sull’usucapione coltivazione terreno

La Corte di Cassazione ha esaminato i motivi del ricorso principale, rigettandoli tutti.

Il ricorrente lamentava, tra le altre cose, una valutazione errata delle prove testimoniali e la violazione delle norme sul possesso. Sosteneva che l’attività di coltivazione dovesse essere considerata una prova sufficiente del suo possesso qualificato.

La Suprema Corte ha respinto questa tesi, allineandosi alla consolidata giurisprudenza di legittimità. Ha ricordato che, ai fini dell’acquisto della proprietà per usucapione, non basta la prova di un’attività materiale come la coltivazione. Questa, infatti, è un’attività che non esprime in modo inequivocabile l’intento di possedere ‘uti dominus’. Per provare l’usucapione, è necessario che la coltivazione sia accompagnata da altri elementi e indizi univoci che dimostrino l’esercizio di una signoria di fatto sul bene, escludendo il proprietario originario. Ad esempio, la recinzione del fondo, la realizzazione di opere o altre attività che manifestino chiaramente la volontà di appropriarsi del bene.

L’Accoglimento del Ricorso Incidentale per Omessa Pronuncia

Se il ricorso principale è stato respinto, quello incidentale della società proprietaria è stato invece accolto.

La società lamentava che la Corte d’Appello, pur avendo respinto la domanda di usucapione, si era ‘dimenticata’ di pronunciarsi sulla sua richiesta di condannare il privato alla restituzione dei terreni. Si tratta di un vizio procedurale noto come ‘omessa pronuncia’ (violazione dell’art. 112 c.p.c.).

La Cassazione ha ritenuto fondato questo motivo. Ha spiegato che non sussiste alcuna incompatibilità logica tra il rigetto della domanda di usucapione e la condanna al rilascio dei terreni illegittimamente occupati. Anzi, le due decisioni sono strettamente connesse. La Corte d’Appello avrebbe dovuto esaminare e decidere anche su questa domanda. Di conseguenza, la sentenza è stata cassata su questo punto, con rinvio ad un’altra sezione della Corte d’Appello di Palermo, che dovrà pronunciarsi sulla domanda di rilascio dei terreni.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri principali. Per quanto riguarda il rigetto del ricorso principale, la Corte si attiene al principio giurisprudenziale secondo cui l’usucapione coltivazione terreno richiede una prova rigorosa del cosiddetto ‘animus possidendi’, ovvero l’intenzione di comportarsi come proprietari. La coltivazione è un atto di per sé ambiguo, che potrebbe anche derivare da un semplice rapporto di tolleranza o da un contratto non formale, e quindi non è sufficiente a dimostrare tale intenzione. Per quanto riguarda l’accoglimento del ricorso incidentale, la motivazione è prettamente processuale: il giudice ha l’obbligo di pronunciarsi su tutte le domande ritualmente proposte dalle parti. Omettere di farlo costituisce un errore di procedura che porta alla cassazione della sentenza.

Le Conclusioni

Questa ordinanza rafforza un principio cruciale in materia di diritti reali: l’acquisto di una proprietà per usucapione non è un percorso semplice e richiede una prova robusta e inequivocabile del possesso ‘uti dominus’. Chi intende far valere questo diritto non può limitarsi a dimostrare di aver utilizzato un bene, ma deve provare di averlo fatto manifestando all’esterno, con atti concreti, la volontà di escludere chiunque altro, compreso il legittimo proprietario. La pronuncia sottolinea anche l’importanza del rispetto delle regole processuali, garantendo che ogni domanda presentata in giudizio riceva una risposta dal giudice.

È sufficiente coltivare un terreno per molti anni per diventarne proprietari per usucapione?
No, secondo la giurisprudenza consolidata richiamata dalla Corte di Cassazione, la mera coltivazione di un fondo non è una prova sufficiente. È necessario che tale attività sia accompagnata da altri elementi che dimostrino in modo inequivocabile l’intenzione di possedere il bene come se si fosse il proprietario (‘uti dominus’).

Cosa significa possedere un bene ‘uti dominus’ ai fini dell’usucapione?
Significa esercitare sul bene un potere di fatto con l’intenzione di comportarsi come il vero e unico proprietario. Questo si manifesta attraverso atti che vanno oltre la semplice utilizzazione del bene, come ad esempio recintarlo, apportarvi modifiche permanenti o compiere atti che solo il proprietario avrebbe il diritto di fare, escludendo il titolare del diritto.

Cosa succede se un giudice in appello si dimentica di decidere su una domanda delle parti?
Si verifica un vizio di ‘omessa pronuncia’. La parte interessata può impugnare la sentenza dinanzi alla Corte di Cassazione, la quale, se accerta l’errore, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa al giudice precedente affinché si pronunci sulla domanda che era stata tralasciata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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