Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25909 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25909 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3040/2024 R.G. proposto da: COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrenti- contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO LECCE n. 886/2023 depositata il 03/11/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/09/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 2765, depositata in data 18.10.2021, il Tribunale di Lecce, adito da NOME COGNOME e NOME COGNOME, accertava che l’immobile di proprietà degli attori non era gravato da alcuna servitù in favore dell’immobile appartenente ad NOME COGNOME e condannava quest’ultimo alla rimozione di una canna fumaria e d i un’ antenna televisiva. Rigettava altresì le domande riconvenzionali avanzate dal convenuto.
Proponeva appello il soccombente.
Con sentenza n. 886 del 3 novembre 2023, la Corte d’appello di Lecce, in parziale accoglimento dell ‘originaria domanda riconvenzionale del COGNOME, accertava e dichiarava che l’immobile di proprietà COGNOME era gravato dal diritto di servitù di passaggio e scarico dei fumi, acquisito per usucapione ventennale dal COGNOME, ed in tal senso riformava la decisione di primo grado.
La Corte territoriale affermava che l’espressione ‘si ubicano’ – contenuta nell’atto di permuta fra gli appellati e la dante causa del COGNOME e riferita alla canna fumaria ed all’antenna fosse stata ricognitiva della preesistente presenza di tali manufatti sul terrazzo, laddove invece, ove si fosse voluto far riferimento ad una prossima installazione, sarebbe stato più corretto l’utilizzo del verbo al futuro.
D’altronde, se con la transazione i COGNOME COGNOME avessero voluto concedere alla sig. COGNOME (dante causa della controparte) anche il diritto vitalizio di installare i manufatti sul loro terrazzo, sarebbe stato normale che il testo contrattuale desse maggior rilievo a tale autorizzazione, piuttosto che al diritto
vitalizio di passaggio a fini manutentivi, e ciò in considerazione della limitazione molto più pesante che la prima comportava per il loro diritto di proprietà.
Contro la predetta sentenza ricorrono per cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME, sulla scorta di due motivi.
Ha proposto tempestivo controricorso NOME COGNOME.
In prossimità dell’udienza camerale, entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DI DIRITTO
Attraverso la prima censura, i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 1158 c.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.
La sentenza impugnata avrebbe accertato la sussistenza sul lastrico solare dei COGNOME COGNOME di un manufatto, ossia della canna fumaria, usucapito da controparte perché pacificamente utilizzato prima da NOME COGNOME e poi da NOME COGNOME ‘ per ben più di venti anni’.
Sennonché, sarebbe stato pacifico in causa e riconosciuto dalla stessa sentenza che almeno dal 25 maggio 1989 l’accesso al lastrico solare dei ricorrenti da parte di NOME COGNOME era stato attribuito sulla scorta di un ‘ diritto vitalizio personale di accesso alla detta area solare ‘, ‘ al solo scopo di provvedere alla manutenzione e alle eventuali riparazioni della canna fumaria ‘.
Si sarebbe dunque trattato non di un potere di fatto animo domini, ma di una mera detenzione, esercizio di un diritto personale (di godimento quindi e non reale) destinato a cessare con la morte della sua titolare.
Con il secondo mezzo, i ricorrenti si dolgono della violazione degli artt. 115 c.p.c. e 2735 comma 1° c.c., ai sensi dell’art. 360 n. 4 c .p.c.
La Corte d’appello avrebbe travisato il contenuto della domanda della COGNOME al Comune di Lecce, esplicitamente volta a legittimare la ‘successiva realizzazione di una canna fumaria’ per dare sbocco sul lastrico solare ad un camino preesistente nell’abitazione a p.t. di proprietà della COGNOME medesima.
3. Il primo motivo è infondato.
Va doverosamente premesso che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Sez. 1, n. 3340 del 5 febbraio 2019). Nel caso in esame, come si vedrà a breve, il vizio denunziato non ricorre.
Secondo la Corte di merito, ‘ deve ritenersi che la canna fumaria, oggetto di ricognizione nell’allegato A, sia presente sul lastrico solare di proprietà COGNOME dal 1985 ‘ . Per giungere a tale conclusione, la Corte d’appello ha considerato che l’atto di acquisto (o permuta) del 25 maggio 1989 fra la COGNOME ed i ricorrenti avesse costituito un diritto vitalizio in favore della venditrice avente ad oggetto l’accesso all’area solare per fini manutentivi passando liberamente dalla proprietà COGNOME–COGNOME, non essendo in alcun modo riportato che, come contropartita della cessione del lastrico solare, la COGNOME avrebbe avuto la possibilità di installare una canna fumaria e un’antenna televisiva. In altri termini, la preesistenza di tali manufatti alla vendita ne avrebbe consentito l’utilizzo pacifico ed incondizionato per il tempo necessario a maturare l’usucapione, quanto meno della canna fumaria.
Il predetto ragionamento non incorre in alcuna violazione di legge e si traduce in un apprezzamento di fatto, contro cui s’infrange la censura dei ricorrenti, confondendo il rapporto giuridico relativo all’accesso sul lastrico per fini manutentivi con quello relativo alla canna fumaria, qualificato dalla Corte distrettuale come servitù di scarico ed acquisita per usucapione. Dalla sentenza impugnata, si ricava che n ell’atto di permuta del 25.5.1989 le parti hanno costituito vita natural durante solo un diritto di accesso ai lastrici per manutenere la canna fumaria, ma non hanno mai parlato di un diritto personale di mantenere la canna fumaria sul lastrico.
In altri termini, il motivo non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, insistendo sul carattere di diritto vitalizio non trasmissibile del passaggio sul lastrico solare , ma senza considerare che l’usucapione della servitù di utilizzo della canna fumaria sarebbe potuta maturare indipendentemente dal passaggio sul lastrico solare, come ha in effetti affermato la Corte leccese.
4. La seconda censura è inammissibile.
La doglianza si risolve in una critica alla ricostruzione dei fatti da parte del giudice di appello.
E’ dunque opportuno considerare in proposito che la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al presente giudizio qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito (Sez. U., n. 20867 del 30 settembre 2020).
In punto di diritto, occorre ricordare che il travisamento della prova, per essere censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per violazione dell’art. 115 c.p.c., postula: a) che l’errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova (” demonstrandum “), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima (” demonstratum “), con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre; b) che tale contenuto abbia formato oggetto di discussione nel giudizio; c) che l’errore sia decisivo, in quanto la motivazione sarebbe stata necessariamente diversa se fosse stata correttamente fondata sui contenuti informativi che
risultano oggettivamente dal materiale probatorio e che sono inequivocabilmente difformi da quelli erroneamente desunti dal giudice di merito; d) che il giudizio sulla diversità della decisione sia espresso non già in termini di possibilità, ma di assoluta certezza (Sez. 1, n. 9507 del 6 aprile 2023).
Le condizioni che precedono non ricorrono nel caso di specie, ove la critica s’incentra sull’esito delle risultanze processuali .
Per il resto, va ribadito che l’esame dei documenti esibiti e la valutazione degli stessi, come anche il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 1, n. 19011 del 31 luglio 2017; Sez. 1, n. 16056 del 2 agosto 2016).
In altri termini, la differente lettura delle risultanze istruttorie proposta dai ricorrenti non tiene conto del principio per il quale la doglianza non può tradursi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Sez. U, n. 24148 del 25 ottobre 2013).
Pertanto, nel giudizio di cassazione, la facoltà della parte di denunciare, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 115 c.p.c., per avere il giudice di merito deciso la causa sulla base di prove inesistenti, perché riferite a fonti mai dedotte in giudizio oppure a informazioni probatorie prive di alcuna possibile o immaginabile connessione con le fonti appartenenti al processo, è esercitabile ove venga prospettata non solo l’assoluta impossibilità
logica di ricavare, dagli elementi probatori, i contenuti informativi tratti dal giudice, ma anche il carattere sicuramente decisivo di tale errore, nel senso che, in assenza di esso, la decisione sarebbe stata diversa, in termini non di mera probabilità ma di assoluta certezza (Sez. 3, n. 13918 del 3 maggio 2022).
D’altra parte, i l cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132, n. 4, c.p.c. – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Sez. 1, n. 23153 del 26 settembre 2018; Sez. 3, n. 11892 del 10 giugno 2016).
È, in conclusione, inammissibile il motivo di ricorso che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Sez. U, n. 34476 del 27 dicembre 2019; Sez. 1, n. 5987 del 4 marzo 2021).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna solidale dei ricorrenti alla rifusione delle spese di lite del COGNOME, come liquidate in dispositivo.
Si dà atto che sussistono i presupposti processuali per dichiarare che i ricorrenti sono tenuti a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 115/2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in €
4.000 (quattromila) per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per dichiarare che i ricorrenti sono tenuti a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 115/2002, se dovuto.
Così deciso in Roma l’11 settembre 2024.