Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 34572 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 34572 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 24644/2023 R.G. proposto da: COGNOME, elettivamente domiciliato in CESENA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che li rappresenta e difende
-controricorrenti-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 1021/2023 depositata il 10/05/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/11/2024 dal Consigliere dr. NOME COGNOME
Udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dr. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Bologna accolse la domanda avanzata da NOME COGNOME nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, nonché nei confronti dell’Agenzia del Demanio, volta ad ottenere la declaratoria di usucapione della metà di un fabbricato di Cervia, pervenuto allo Stato ai sensi dell’art. 586 c.c.
Proposero gravame il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate e con sentenza n. 1021, depositata il 10 maggio 2023, la Corte d’appello di Bologna accolse l’impugnazione . I giudici di secondo grado ritennero che, posta la questione dell’applicabilità alla fattispecie della disposizione di cui all’art. 1 comma 260 della Legge 296/2006, l’irretroattività della norma non avrebbe potuto comportarne l’ inapplicabilità a situazioni possessorie ancora in corso di maturazione, apparendo la stessa riferibile esclusivamente a quelle già esaurite a tale data. D’altronde, al momento dell’entrata in vigore della norma, non si era ancora perfezionato l’acquisto, per usucapione, della quota pervenuta in eredità allo Stato ed il COGNOME non aveva effettuato all’Agenzia del Demanio la notifica prescritta dalla legge.
La cassazione della sentenza d’appello è stata chiesta da NOME COGNOME con ricorso affidato ad un unico motivo, cui resistono con controricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia del Demanio.
In prossimità della presente udienza pubblica, il ricorrente ha depositato memoria.
Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unica doglianza il ricorrente denuncia la ‘ violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1163, 1165, 1167, 2943 c.c. e 1, comma 260, l. n. 296/2006, in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3 c.p.c. per aver errato in diritto, ritenendo applicabile al caso di specie l’art. 1, comma 260, l. 296/2006, con conseguente violazione delle regole vigenti in materia di possesso ed usucapione’ .
L’ error in iudicando sarebbe costituito dall’applicazione della norma al possesso dell’odierno ricorrente iniziato nel 1995, così da configurare una fattispecie interruttiva per sopraggiunta clandestinità ad opera della novella introdotta a far data dal 2007: l’eventuale clandestinità successiva al l’inizio del possesso sarebbe del tutto irrilevante e non impedirebbe il decorso del termine per usucapire. In caso contrario, si finirebbe per introdurre una causa di interruzione non riconducibile né all’art. 1167 cc né all’art. 2943 c.c.
Il motivo è infondato.
Il comma 260° della legge n. 296/2006 recita testualmente: ‘ Allo scopo di devolvere allo Stato i beni vacanti o derivanti da eredità giacenti, il Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’interno ed il Ministro dell’economia e delle finanze, determina, con decreto da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i criteri per l’acquisizione dei dati e delle informazioni rilevanti per individuare i beni giacenti o vacanti nel territorio dello Stato. Al possesso esercitato sugli immobili vacanti o derivanti da eredità giacenti si applica la disposizione dell’articolo 1163 del codice civile sino a quando il terzo esercente attività corrispondente al diritto di proprietà o ad altro diritto reale non notifichi all’Agenzia del demanio di essere in possesso del bene vacante o derivante da eredità giacenti. Nella comunicazione inoltrata all’Agenzia del demanio gli immobili sui quali è esercitato il possesso corrispondente al diritto di proprietà o ad altro diritto reale devono essere identificati descrivendone la consistenza mediante la indicazione dei dati catastali. ‘
Come puntualizzato nel ricorso, la giurisprudenza di questa Suprema Corte (Sez. 2, n. 1549 del gennaio 2010; Sez. 2, n. 14655 dell’11 giugno 2013) ha avuto modo di occuparsi dell’art. 1, comma 260°, l. n. 296/2006 in due casi:
per entrambi è stata esclusa l’applicazione della norma, ratione temporis , essendo l’usucapione invocata già maturata al momento dell’entrata in vigore della legge (finanziaria, relativa all’anno 2007).
Peraltro, proprio partendo dal dato normativo, i due provvedimenti hanno avuto occasione di affermare che il comma in questione ha introdotto nell’ordinamento una nuova disciplina del possesso utile ad usucapionem , relativamente ai beni vacanti e alle eredità giacenti di cui lo Stato sia divenuto titolare ex art. 586 c.c., allo scopo di consentirgli l’effettivo esercizio dei diritti successori ed impedirne l’estinzione a favore di terzi possessori. In tal senso, la norma non solo ha imposto a carico di colui che esercita il possesso su beni vacanti o derivanti da eredità giacenti l’onere (prima non sussistente) di darne comunicazione all’Agenzia ma, nel subordinare all’effettuazione di tale adempimento il decorso del termine necessario per l’usucapione, ha previsto una nuova ipotesi di vizio del possesso acquistato sui beni in questione, estendendo la previsione di cui all’art. 1163 c.c. – secondo cui il possesso violento o clandestino non giova per l’usucapione se non dal momento in cui sono cessati la violenza o la clandestinità -alle fattispecie in cui non sia stato effettuato il suddetto adempimento.
Traendo dunque le fila del discorso, è evidente che la norma ha inciso sul possesso ad usucapionem . Essa non ha ovviamente effetto retroattivo, nel senso che non si può applicare alle fattispecie già esaurite, in cui il termine per l’usucapione è maturato, ma certamente ha effetto per le situazioni in itinere , nelle quali il termine utile affinché maturi l’usucapione è in corso.
La tesi contraria, adombrata nel ricorso, condurrebbe a conseguenze aberranti, estranee all’intenzione del legislatore del 2007, rispetto a norme contenute nella legge finanziaria annuale, giacché farebbe decorrere la concreta attuazione della norma alle domande di usucapione, ancorché proposte dopo vent’anni dall’entrata in vigore della legge.
E tanto risulta sicuramente conforme ai principi generali sotto il profilo sistematico, giacché lo stato di possesso deve protrarsi continuativamente e non deve essere interrotto fino al termine del tempo previsto per legge. In
mancanza della maturazione del predetto termine non si può parlare di usucapione (che, non a caso, va accertata con sentenza dichiarativa e non costitutiva), ma piuttosto di situazione possessoria in fieri , tutelabile attraverso le azioni corrispondenti.
Del resto, secondo le regole generali, il principio di irretroattività della legge, sancito dall’art. 11 delle disposizioni preliminari al cod. civ. ed invocato dal ricorrente implica la presenza di diritti quesiti, ossia ormai consolidati -come l’ipotesi di un termine di usucapione già perfetto – mentre va ammessa l’applicabilità della norma sopravvenuta agli effetti non ancora esauriti di un rapporto giuridico sorto anteriormente, quando la nuova legge sia diretta a disciplinare tali effetti, con autonoma considerazione dei medesimi, indipendentemente dalla loro correlazione con l’atto o il fatto giuridico che li abbia generati (Sez. 3, n. 9972 del 16 aprile 2008).
Fra l’altro, l’intervento del legislatore ha determinato, sul piano pratico, l’inversione dell’onere della prova. Mentre, sulla scorta della giurisprudenza formatasi antecedentemente alla legge n. 296/2006, l’i nerzia dell’Amministrazione non poteva ritenersi conseguenza di una situazione di oggettiva impossibilità per lo Stato di conoscere l’intervenuto acquisto della proprietà del bene oggetto del possesso esercitato da terzi, dal 2007 in poi, proprio per sopperire a disfunzioni legate alla mancata adozione di idonee misure, è stata posta a carico del privato la dimostrazione dell’esercizio pubblico, in modo pacifico e non clandestino, mediante un unico modo consentito, ossia la comunicazione del suo possesso all’Agenzia del Demanio.
La forma scelta dalla legge è stata insomma quella di creare una presunzione legale di possesso clandestino, in grado di sovrapporsi al possesso ordinario fino al momento della comunicazione all’Agenzia del Demanio (che, nel caso del COGNOME è mancato, così da escludere la maturazione dell’acquisto a titolo originario).
D’altronde , in tema di usucapione, la clandestinità ricorre quando l’azione sia sottratta alla conoscenza dell’interessato in modo da impedirne la reazione ed il ricorso ai rimedi di legge (Sez. 2, n. 2682 del 28 gennaio 2022).
A fronte dell’ampliamento delle ipotesi di vizio del possesso ex art. 1163 c.c., espressamente richiamato dalla norma, non è ovviamente possibile invocare il principio di tassatività degli atti di interruzione dell’usucapione, relativi alla c.d. interruzione naturale ed alla c.d. interruzione civile.
In definitiva, va affermato il seguente principio: ‘ Con l’art. 1, comma 260°, l. n. 296/2006 il legislatore ha previsto per i beni acquisiti dallo Stato ex art. 586 c.c. una particolare forma di comunicazione a carico dei privati interessati a far valere un possesso ad usucapionem. Poiché secondo le regole generali, l’effetto retroattivo della legge trova i suoi limiti nei diritti quesiti, qualora tale possesso, pur intrapreso, non sia ancora maturato, la norma si applica senz’altro e determina un vizio sopravvenuto del periodo utile all’usucapione, indipendentemente dal fatto che il possesso sia iniziato in modo visibile e non occulto e senza che valga il principio di tassatività, di cui al combinato disposto degli artt. 1165 c.c. e 2943 c.c., che non riguarda una previsione ex lege ‘.
Al rigetto del ricorso segue la condanna di NOME COGNOME alla rifusione delle spese processuali in favore del Ministero dell’Economia e delle Finanze e del l’Agenzia del Demanio, nella misura indicata in dispositivo.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione civile, rigetta il ricorso, Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, a favore del Ministero dell’Economia e delle Finanze e del l’Agenzia del Demanio, in euro 4.000 (quattromila), oltre spese prenotate a debito.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di NOME COGNOME, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma il 21 novembre 2024, nella camera di consiglio delle