Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13113 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 13113 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10748/2021 R.G. proposto da :
COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME rappresentati e difesi dell’avvocato COGNOME unitamente all’avvocato COGNOME; -ricorrenti- contro
A COGNOME TERRITORIALE PER L’RAGIONE_SOCIALE RESIDENZIALE PUBBLICA DELLA PROVINCIA DI ROMA, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che la rappresenta e difende; -controricorrente- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 5583/2020, depositata il 11/11/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
PREMESSO CHE
Nunziata COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno convenuto in giudizio davanti al Tribunale di Velletri l’Azienda territoriale per l’edilizia residenziale pubblica della provincia di Roma (ATER Roma), chiedendo che fosse accertato il loro acquisto per usucapione di alcuni immobili facenti parte di due fabbricati siti in Velletri, INDIRIZZO allegando di averli posseduti pacificamente pubblicamente e continuativamente a decorrere dal 1946. ATER, costituendosi in giudizio, ha eccepito che gli immobili non erano usucapibili in quanto di proprietà dello Stato e che successivamente erano trasferiti a titolo gratuito all’ATER Roma; ha eccepito inoltre l’insussistenza di un possesso idoneo all’usucapione avendo gli attori presentato domanda di regolarizzazione all’assegnazione ai sensi dell’art. 53 della legge 27 del 2006 al Comune di Velletri.
Il Tribunale di Velletri con la sentenza n. 987 del 2014 rigettava le domande degli attori.
La sentenza è stata impugnata da NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME lamentando l’omessa considerazione da parte del primo giudice del difetto di prova circa la demanialità dei beni oggetto di causa e sottolineando che la natura demaniale dei beni richiede l’esistenza del requisito soggettivo di una manifestazione di volontà dell’Ente volta a sottoporre il bene al regime demaniale e cioè a destinarlo a servizio di interessi pubblici e che nella fattispecie in esame una tale manifestazione manca del tutto.
La Corte d’appello di Roma, con la sentenza 11 novembre 2020, n. 5583, ha rigettato il gravame.
Avverso la sentenza ricorrono per cassazione NOME COGNOME, NOME COGNOME nonché NOME COGNOME e NOME COGNOME eredi di NOME COGNOME sulla base di tre motivi.
Resiste con controricorso l’Azienda territoriale per l’edilizia pubblica della provincia di Roma.
Il Consigliere delegato dal Presidente della sezione seconda ha ritenuto che il ricorso sia inammissibile e/o manifestamente infondato e ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis , comma 1 c.p.c.
I ricorrenti hanno chiesto, ai sensi del comma 2 dell’art. 380 -bis c.p.c., la decisione del ricorso da parte del Collegio.
CONSIDERATO CHE
La Corte preliminarmente rileva l’assenza di incompatibilità del consigliere COGNOME che ha formulato la proposta di definizione anticipata. Le sezioni unite di questa Corte hanno infatti precisato che il consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione di cui all’art. 380 -bis c.p.c. può fare parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio investito della decisione del giudizio, non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51 e 52 c.p.c., dato che tale proposta non ha una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva; la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente non si configura d’altro canto quale fase distinta che abbia carattere di autonomia, con contenuti e finalità di riesame e di controllo della proposta stessa (così Cass., sez. un., n. 9611/2024).
Il ricorso è basato su tre motivi.
Il primo motivo contesta nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 4 c.p.c., per avere la Corte d’appello utilizzato prove non disponibili, non proposte ritualmente e sottratte al contradditorio delle parti: gli attori hanno allegato in primo grado di essere possessori degli immobili sin dal
1946 e tale allegazione non è mai stata contestata dall’ente convenuto che si è limitato ad assumere come al tempo della citazione non fosse ancora decorso il ventennio dal 2005; solo in appello ATER ha assunto che gli immobili sarebbero stati costruiti successivamente al 1947 con i fondi di cui al decreto legislativo n. 261 del 1947.
Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c., per avere la Corte d’appello omesso di utilizzare le prove acquisite al processo, i fatti non contestati e pacificamente ammessi dalle parti: la Corte d’appello di Roma era tenuta a utilizzare solo le allegazioni e le prove tempestivamente ritualmente acquisite ed è quindi evidente come il fatto che gli immobili siano stati realizzati con i fondi di cui al decreto legislativo n. 261 è totalmente escluso dal novero delle prove disponibili per la decisione; ATER nella propria comparsa di costituzione in primo grado ha testualmente detto che ‘varrebbe la pena osservare che i beni nel 1946 furono occupati abusivamente, come confermato dagli stessi attori’.
Il terzo motivo lamenta violazione degli artt. 823, 826, 828, 829 e 830 c.c., per avere la Corte d’appello ritenuta la demanialità e l’inusucapibilità dei beni oggetto di causa pur se gli stessi non sono stati creati come demaniali, né sono stati mai destinati ad uso pubblico: nel caso in esame il demanio dello Stato non è mai stato nel possesso dei beni, che vennero utilizzati dai danti causa degli odierni ricorrenti già nel 1946, all’indomani degli eventi bellici al fine di alloggiare le proprie famiglie.
Le tre censure, tra loro strettamente connesse, non possono essere accolte.
La Corte d’appello ha anzitutto precisato che nel caso in esame si discute di beni non propriamente demaniali, ma appartenenti al patrimonio indisponibile dello Stato e ha riconosciuto come per tali beni l’indisponibilità si ha a seguito di una determinazione dell’ente
pubblico volta ad imprimere tale carattere, così che è necessario -secondo l’orientamento di questa Corte (v. Cass. n. 4898/2007) che sussista un doppio requisito, una manifestazione di volontà dell’ente, ossia un atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell’ente di destinare quel determinato bene a un pubblico servizio e l’effettiva e attuale destinazione del bene al pubblico servizio. Qualora però -ha proseguito il giudice d’appello richiamando un precedente di questa Corte (Cass. n. 7269/2003) -non sia la pubblica amministrazione a destinare un immobile a un pubblico servizio, ma sia il legislatore che ne decide la costruzione, il bene rientra senz’altro nella categoria dei beni indisponibili non appena tale costruzione sia realizzata, non essendo necessario che la sua destinazione al pubblico servizio, già affermata dalla legge, abbia concreta ed effettiva attuazione. La fattispecie in esame, ha proseguito il giudice d’appello, rientra in tale ambito in quanto risulta documentalmente che gli alloggi in contestazione sono stati destinati a servizio di interessi pubblici ex lege , in quanto costruiti a totale carico dello Stato ai sensi del decreto legislativo n. 261/1947; né, ha ancora precisato la Corte d’appello, vi è prova di declassificazione (e al riguardo va considerato che per i beni appartenenti al patrimonio indisponibile la cui destinazione all’uso pubblico deriva da una determinazione legislativa la declassificazione deve avvenire in virtù di un atto di pari rango, cfr. Cass. n. 2962/2012) e gli alloggi in oggetto sono tutt’ora idonei a soddisfare esigenze abitative di particolari categorie da tutelare; i beni oggetto di causa -ha concluso la Corte d’appello sono quindi soggetti al regime dei beni patrimoniali indisponibili e quindi non sono suscettibili di formare oggetto di usucapione della proprietà da parte dei soggetti occupanti.
La ratio decidendi della pronuncia è pertanto imperniata sulla destinazione ex lege degli immobili oggetto di causa. Secondo i ricorrenti nel fare riferimento a tale destinazione ex lege il giudice
d’appello non ha considerato la loro deduzione non contestata da controparte -della occupazione degli immobili dal 1946. Tale circostanza non è tale da inficiare il ragionamento del giudice d’appello, il quale ha sottolineato come nell’atto di trasferimento degli immobili dall’Agenzia del demanio all’ATER del 16 giugno 2005 sia contenuta espressa attestazione della destinazione al servizio di interessi pubblici in base a norma di legge e segnatamente che detti alloggi ‘sono stati costruiti a totale carico dello Stato ai sensi del d.lgs. n. 261 del 1947 per sopperire ad esigenze abitative pubbliche e destinati a tali scopi’. L’eventuale precedente occupazione degli immobili non può infatti elidere la destinazione impressa a tali immobili dalla legge, ossia dal d.lgs. n. 261/1947 che (v. l’art. 55 del decreto) ne ha previsto la costruzione/ricostruzione a totale carico dello Stato per ‘assicurare l’alloggio dei senza tetto per causa di guerra’ (si veda al riguardo la già citata Cass. n. 7269/2003, che si è pronunciata su una fattispecie analoga a quella oggetto della presente causa).
Ad avviso de i ricorrenti il giudice d’appello nel considerare tale profilo avrebbe violato l’art. 115 c.p.c., in quanto avrebbe posto alla base della sua decisione fatti e prove non tempestivamente dedotti da controparte. Il rilievo non può essere accolto. Nella comparsa di risposta di primo grado ATAR ha evidenziato che ‘gli immobili oggetto di causa rientravano nella fattispecie degli immobili costruiti in base a leggi speciali di finanziamento per sopperire ad esigenze abitative pubbliche’ (pag. 4 dell’atto) e alla comparsa di risposta ha allegato il contratto del 16 giugno 2005 di ‘cessione gratuita in proprietà all’ATER della provincia di Roma di alloggi patrimoniali costruiti in base a leggi speciali’, contratto il cui art. 2 precisa che i fabbricati di INDIRIZZO -in cui si trovano gli immobili oggetto di causa sono stati ‘costruiti a totale carico dello Stato ai sensi del d.l. 10 aprile 1947 n. 261’. III. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 380 -bis , ultimo comma, c.p.c., avendo il Collegio definito il giudizio in conformità alla proposta, trovano applicazione il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c. (v. al riguardo la pronuncia delle sezioni unite n. 28540/2023, secondo cui, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , comma 3, c.p.c., come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022, nel prevedere nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c., ‘codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi a una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente’).
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio in favore della controricorrente, che liquida in euro 8.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge, nonché al pagamento sempre in favore della controricorrente di euro 8.000 ai sensi del comma 3 dell’art. 96 c.p.c. e al pagamento di euro 5.000 in favore della cassa delle ammende ai sensi del comma 4 dell’art. 96 c.p.c.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello
previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della Sezione