Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 34567 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 34567 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 1067/2024 R.G. proposto da: COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende
-ricorrenti- contro
MINISTERO ECONOMIA E FINANZA, RAGIONE_SOCIALE
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 1942/2023 depositata il 14/06/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/11/2024 dal Consigliere dr. NOME COGNOME
Udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dr. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso
Udito per i ricorrenti l’avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso
FATTI DI CAUSA
A seguito della sentenza del Tribunale di Monza, che aveva accertato la proprietà di un immobile di Vimodrone in capo allo Stato, ai sensi dell’ art. 586 c.c., NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME chiesero al Tribunale di Milano la declaratoria di usucapione del suddetto compendio. Nella resistenza dell’Agenzia del Demanio e del Ministero dell’Economia e delle Finanze , il giudice adito respinse la domanda.
Proposero gravame i soccombenti e con sentenza n. 1942, depositata il 14 giugno 2023, la Corte d’appello di Milano rigettò l’impugnazione . I giudici di secondo grado ritennero che, alla luce del chiaro orientamento giurisprudenziale espresso da questa Suprema Corte, dopo l’ entrata in vigore dell’art. 1, comma 260, L. n. 296/2006, il possesso non comunicato nelle forme di rito sarebbe stato clandestino e pertanto non utile ai fini della usucapione. E siccome, nel caso di specie al momento della entrata in vigore della norma, ossia il 1.1.2007, non era ancora maturato il termine ventennale della usucapione, pacificamente decorrente dal 6.4.1991 e, non avendo gli attori provveduto alla notifica del possesso, dopo il 1.1.2007, questo sarebbe stato da considerarsi clandestino e non utile ai fini dell’acquisto a titolo originario.
La cassazione della sentenza d’appello è chiesta da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME con ricorso affidato a tre motivi.
I l Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia del Demanio sono rimasti intimati.
In prossimità della presente udienza pubblica
Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con la prima censura i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 comma 260 Legge 269/2006 e art. 11 disp. prel. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c .
La norma sarebbe stata illegittimamente applicata retroattivamente dalla sentenza impugnata, nella fattispecie in esame in cui, al momento di entrata in vigore della predetta disposizione, il possesso uti dominus era già stato iniziato ma non si era perfezionato il termine per l’acquisto della proprietà del bene per usucapione. Tale statuizione avrebbe dovuto considerarsi in contrasto con i principi in materia e le pronunce della stessa Corte di cassazione n. 14655 dell’11.06.2013 e n. 1549/2010 , non avendo la disposizione di legge de qua efficacia retroattiva.
Mediante la seconda doglianza, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME assumono la v iolazione e falsa applicazione dell’art. 1163 c.c. e dell’art. 1 comma 260 legge 269/2006, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
Il possesso ad usucapionem , iniziato anni prima del momento di entrata in vigore della Legge 269/2006, sarebbe stato erroneamente considerato clandestino, in contrasto con quanto disposto dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 14655/2013, potendo l’Amministrazione statale ben conoscere la
situazione di fatto e di diritto dell’immobile, anche a seguito della corresponsione di tutti gli oneri fiscali da parte dei ricorrenti.
Con il terzo mezzo d’impugnazione, i ricorrenti deducono l’o messo esame della domanda relativa alla corresponsione di tutti gli oneri e le spese per l’immobile , in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.
La Corte di Appello non avrebbe esaminato la domanda, formulata in via subordinata dagli allora appellanti, di riconoscere le spese sostenute per la manutenzione dell’immobile, per le tasse, per le spese condominiali regolarmente e continuativamente pagate e la richiesta, per l’effetto, di condanna di controparte alla restituzione delle suddette somme così come in atti documentate, con compensazione in relazione ai canoni percepiti e corresponsione del residuo in favore degli attuali ricorrenti.
Il primo ed il secondo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente, in considerazione della loro connessione giuridica, sono infondati.
Il comma 260° della legge n. 296/2006 recita testualmente: ‘ Allo scopo di devolvere allo Stato i beni vacanti o derivanti da eredità giacenti, il Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’interno ed il Ministro dell’economia e delle finanze, determina, con decreto da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i criteri per l’acquisizione dei dati e delle informazioni rilevanti per individuare i beni giacenti o vacanti nel territorio dello Stato. Al possesso esercitato sugli immobili vacanti o derivanti da eredità giacenti si applica la disposizione dell’articolo 1163 del codice civile sino a quando il terzo esercente attività corrispondente al diritto di proprietà o ad altro diritto reale non notifichi all’Agenzia del demanio di essere in possesso del bene vacante o derivante da eredità giacenti. Nella comunicazione inoltrata all’Agenzia del demanio gli immobili sui quali è esercitato il possesso corrispondente al diritto di proprietà o ad altro diritto reale devono essere identificati descrivendone la consistenza mediante la indicazione dei dati catastali. ‘
Come puntualizzato nel ricorso, la giurisprudenza di questa Suprema Corte (Sez. 2, n. 1549 del gennaio 2010; Sez. 2, n. 1 4655 dell’11 giugno 2013) ha avuto modo di occuparsi dell’art. 1, comma 260°, l. n. 296/2006 in due casi: per entrambi è stata esclusa l’applicazione della norma, ratione temporis , essendo l’usucapione invocata già maturata al momento dell’entrata in vigore della legge (finanziaria, relativa all’anno 2007).
Peraltro, proprio partendo dal dato normativo, i due provvedimenti hanno avuto occasione di affermare che il comma in questione ha introdotto nell’ordinamento una nuova disciplina del possesso utile ad usucapionem , relativamente ai beni vacanti e alle eredità giacenti di cui lo Stato sia divenuto titolare ex art. 586 c.c., allo scopo di consentirgli l’effettivo esercizio dei diritti successori ed impedirne l’estinzione a favore di terzi possessori. In tal senso, la norma non solo ha imposto a carico di colui che esercita il possesso su beni vacanti o derivanti da eredità giacenti l’onere (prima non sussistente) di darne comunicazione all’Agenzia ma, nel subordinare all’effettuazione di tale adempimento il decorso del termine necessario per l’usucapione, ha previsto una nuova ipotesi di vizio del possesso acquistato sui beni in questione, estendendo la previsione di cui all’art. 1163 c.c. – secondo cui il possesso violento o clandestino non giova per l’usucapione se non dal momento in cui sono cessati la violenza o la clandestinità -alle fattispecie in cui non sia stato effettuato il suddetto adempimento.
Traendo dunque le fila del discorso, è evidente che la norma ha inciso sul possesso ad usucapionem . Essa non ha ovviamente effetto retroattivo, nel senso che non si può applicare alle fattispecie già esaurite, in cui il termine per l’usucapione è maturato, ma certamente ha effetto per le situazioni in itinere , nelle quali il termine utile affinché maturi l’usucapione è in corso.
La tesi contraria, adombrata nel ricorso, condurrebbe a conseguenze aberranti, estranee all’intenzione del legislatore del 2007, rispetto a norme contenute nella legge finanziaria annuale, giacché farebbe decorrere la concreta attuazione della norma alle domande di usucapione, ancorché proposte dopo vent’anni dall’entrata in vigore della legge.
E tanto risulta sicuramente conforme ai principi generali sotto il profilo sistematico, giacché lo stato di possesso deve protrarsi continuativamente e non deve essere interrotto fino al termine del tempo previsto per legge. In mancanza della maturazione del predetto termine non si può parlare di usucapione (che, non a caso, va accertata con sentenza dichiarativa e non costitutiva), ma piuttosto di situazione possessoria in fieri , tutelabile attraverso le azioni corrispondenti.
Del resto, secondo le regole generali, il principio di irretroattività della legge, sancito dall’art. 11 delle disposizioni preliminari al cod. civ. ed invocato dai ricorrenti implica la presenza di diritti quesiti, ossia ormai consolidati -come l’ipotesi di un termine di usucapione già perfetto – mentre va ammessa l’applicabilità della norma sopravvenuta agli effetti non ancora esauriti di un rapporto giuridico sorto anteriormente, quando la nuova legge sia diretta a disciplinare tali effetti, con autonoma considerazione dei medesimi, indipendentemente dalla loro correlazione con l’atto o il fatto giuridico che li abbia generati (Sez. 3, n. 9972 del 16 aprile 2008).
Fra l’altro, l’intervento del legislatore ha determinato, sul piano pratico, l’inversione dell’onere della prova. Mentre, sulla scorta del la giurisprudenza formatasi antecedentemente alla legge n. 296/2006, l’i nerzia dell’Amministrazione non poteva ritenersi conseguenza di una situazione di oggettiva impossibilità per lo Stato di conoscere l’intervenuto acquisto della proprietà del bene oggetto del possesso esercitato da terzi, dal 2007 in poi, proprio per sopperire a disfunzioni legate alla mancata adozione di idonee misure, è stata posta a carico del privato la dimostrazione dell’esercizio pubblico, in modo pacifico e non clandestino, mediante un unico modo consentito, ossia la comunicazione del suo possesso all’Agenzia del Demanio.
La forma scelta dalla legge è stata insomma quella di creare una presunzione legale di possesso clandestino, in grado di sovrapporsi al possesso ordinario fino al momento della comunicazione all’Agenzia del Demanio (che, nel caso degli odierni ricorrenti è mancato, così da escludere la maturazione dell’acquisto a titolo originario ).
D’altronde , in tema di usucapione, la clandestinità ricorre quando l’azione sia sottratta alla conoscenza dell’interessato in modo da impedirne la reazione ed il ricorso ai rimedi di legge (Sez. 2, n. 2682 del 28 gennaio 2022).
A fronte dell’ampliamento delle ipotesi di vizio del possesso ex art. 1163 c.c., espressamente richiamato dalla norma, non è ovviamente possibile invocare il principio di tassatività degli atti di interruzione dell’usucapione, relativi alla c.d. interruzione naturale ed alla c.d. interruzione civile.
In definitiva, va affermato il seguente principio: ‘ Con l’art. 1, comma 260°, l. n. 296/2006 il legislatore ha previsto per i beni acquisiti dallo Stato ex art. 586 c.c. una particolare forma di comunicazione a carico dei privati interessati a far valere un possesso ad usucapionem . Poiché secondo le regole generali, l’effetto retroattivo della legge trova i suoi limiti nei diritti quesiti, qualora tale possesso, pur intrapreso, non sia ancora maturato, la norma si applica senz’altro e determina un vizio sopravvenuto del periodo utile all’usucapione, indipendentemente dal fatto che il possesso sia iniziato in modo visibile e non occulto e senza che valga il principio di tassatività, di cui al combinato disposto degli artt. 1165 c.c. e 2943 c.c., che non riguarda una previsione ex lege ‘.
Il terzo motivo è inammissibile.
5. Nella specie, ricorre l’ipotesi di ‘ doppia conforme ‘ , ai sensi dell’art. 360, comma 4° c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. La relativa declaratoria è imposta non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (Sez. 2, n. 7724 del 9 marzo 2022; Sez. 6-3, n. 15777 del 17 maggio 2022; Sez. L, n. 24395 del 3 novembre 2020).
In ogni caso, l’art. 360, n. 5 c.p.c. ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che
abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Sez. U., n. 8053 del 7 aprile 2014; Sez. 2, n. 27415 del 29 ottobre 2018).
Nella specie, i ricorrenti invocano il mancato esame di una domanda subordinata, che è cosa ben diversa da un fatto storico, come inteso dal diritto vivente.
Al rigetto del ricorso non segue la condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese processuali, attesa la mancata costituzione del Ministero dell’Economia e delle Finanze e del l’Agenzia del Demanio.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione civile, rigetta il ricorso.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma il 21 novembre 2024, nella camera di consiglio delle