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Usucapione bene pubblico: quando è possibile?

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un Consorzio Agrario, confermando l’acquisizione di un terreno per usucapione da parte di due privati. Il caso chiarisce un principio fondamentale sull’usucapione di un bene pubblico: per impedirlo, non basta una destinazione formale a finalità pubblica, ma è necessaria la prova di un’effettiva e concreta utilizzazione del bene per tali scopi. In assenza di tale prova, il bene può essere usucapito.

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Usucapione Bene Pubblico: La Destinazione Formale Non Basta

L’usucapione di un bene pubblico è un tema complesso che bilancia il diritto del privato possessore con l’interesse della collettività. Con l’ordinanza n. 4606 del 2024, la Corte di Cassazione torna su questo argomento, stabilendo un principio chiaro: per impedire l’usucapione, non è sufficiente che un bene sia formalmente destinato a un fine pubblico; è indispensabile che l’ente proprietario dimostri un’effettiva e concreta utilizzazione in tal senso. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti di Causa

La vicenda giudiziaria nasce dalla richiesta di due cittadini di veder accertato il loro acquisto per usucapione di un appezzamento di terreno. Il terreno era di proprietà di un Consorzio Agrario, un ente con finalità pubblicistiche. Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello avevano dato ragione ai due cittadini, riconoscendo l’avvenuta usucapione.

La Corte d’Appello, in particolare, aveva sottolineato come il Consorzio non avesse fornito alcuna prova di un’effettiva utilizzazione del terreno per scopi pubblici. Anche un certificato che attestava l’asservimento del terreno per la realizzazione di un opificio industriale non era stato ritenuto sufficiente a dimostrare che l’insediamento fosse stato poi effettivamente realizzato. Inoltre, le azioni intraprese dal Consorzio, come le diffide, la definizione dei confini e persino le trattative per una possibile vendita del terreno ai possessori, non sono state considerate idonee a interrompere il possesso utile ai fini dell’usucapione.

Contro questa decisione, il Consorzio Agrario ha proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte e l’Usucapione di un Bene Pubblico

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del Consorzio, confermando le sentenze dei gradi precedenti. La decisione si fonda su argomentazioni precise che toccano la natura dei beni pubblici e gli oneri probatori a carico dell’ente proprietario.

Il Consorzio sosteneva che il terreno, in quanto parte del suo patrimonio, avesse una finalità pubblica intrinseca e fosse quindi da considerarsi parte del patrimonio indisponibile, come tale non usucapibile. La Corte ha respinto questa visione, ribadendo un orientamento consolidato.

Le Motivazioni: L’Uso Effettivo e Concreto del Bene

Il cuore della motivazione della Cassazione risiede nella distinzione tra destinazione formale e destinazione sostanziale di un bene. Secondo la Corte, l’appartenenza di un bene al patrimonio indisponibile di un ente non deriva solo da un atto amministrativo che lo destina a uso pubblico, ma richiede anche, e soprattutto, una concreta utilizzazione per tale fine.

Se passa un lungo periodo di tempo dall’atto di destinazione senza che il bene venga effettivamente utilizzato per scopi pubblici, esso perde la sua caratteristica di indisponibilità e può essere oggetto di possesso da parte di terzi, valido per l’usucapione. Nel caso specifico, la Corte ha rilevato che il Consorzio non solo non aveva provato un uso pubblico del terreno, ma aveva addirittura avviato trattative per la sua vendita, un comportamento incompatibile con la natura indisponibile del bene.

La Suprema Corte ha inoltre dichiarato inammissibili gli altri motivi di ricorso. Il motivo relativo a un presunto vizio di motivazione è stato bloccato dalla regola della “doppia conforme”, essendo le due sentenze di merito giunte alla medesima conclusione. Infine, la questione relativa all’applicabilità di una normativa speciale è stata considerata inammissibile perché sollevata per la prima volta in Cassazione, implicando accertamenti di fatto non consentiti in quella sede.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

La decisione in commento offre importanti spunti pratici. Per gli enti pubblici o con finalità pubblicistiche, emerge con chiarezza l’onere di non lasciare i propri beni immobili in stato di abbandono. La mera classificazione di un bene come destinato a un servizio pubblico non è uno scudo sufficiente contro l’usucapione. È necessario che l’ente dimostri attivamente e concretamente tale utilizzo. In assenza di ciò, il possesso prolungato e ininterrotto da parte di un privato può legittimamente portare all’acquisto della proprietà. Per i privati, invece, questa ordinanza conferma che il possesso di un bene, anche se formalmente appartenente a un ente pubblico, può consolidarsi in un diritto di proprietà se l’inerzia dell’ente proprietario si protrae nel tempo.

Un bene di proprietà di un ente con finalità pubbliche può essere acquisito per usucapione?
Sì, la sentenza stabilisce che è possibile se l’ente proprietario non fornisce la prova di un’effettiva e concreta utilizzazione del bene per scopi pubblici. La sola destinazione formale del bene a un servizio pubblico, prevista in un atto amministrativo, non è sufficiente a renderlo non usucapibile.

Le trattative per la vendita di un terreno interrompono il possesso utile ai fini dell’usucapione?
No, secondo la valutazione della Corte di merito confermata in questa sede, le trattative per l’acquisto, così come le diffide o la consensuale apposizione dei confini, non sono state ritenute atti idonei a interrompere il possesso continuativo da parte dei privati.

È possibile sollevare per la prima volta una questione giuridica in Corte di Cassazione?
No, la Corte ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso basato su una questione nuova, perché introdurla per la prima volta in sede di legittimità è vietato, specialmente se richiede accertamenti di fatto che non competono alla Corte di Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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