Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4606 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 4606 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 21/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21725/2019 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO (TEL. NUMERO_TELEFONO), presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrenti-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO L’AQUILA n. 81/2019 depositata il 16/01/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/11/2023 dal Consigliere COGNOME NOME.
FATTI DI CAUSA
Il giudizio trae origine dalla domanda proposta da COGNOME NOME e COGNOME NOME nei confronti dell’ RAGIONE_SOCIALE per sentir accertare l’intervenuto acquisto per usucapione, anche ai sensi dell’art.1159 bis c.p.c., dell’immobile sito nel Comune Chieti, individuato nel NCT del Comune di San Giovanni Teatino, identificato al Foglio 17, particella 228, di are 1,09,60.
RAGIONE_SOCIALE si costituì per resistere alla domanda.
Il Tribunale di Chieti accolse la domanda subordinata di usucapione ex art 1159 bis c.c.
La Corte di Appello di L’Aquila confermò la sentenza di primo grado, osservando che l’RAGIONE_SOCIALE non aveva dato dimostrazione dell’effettiva utilizzazione dell’immobile a fini pubblici ; né la certificazione prodotta in sede di appello dal RAGIONE_SOCIALE, attestante l’asservimento della particella in vista della realizzazione di un opificio industriale, consentiva di ritenere provata la circostanza che l’insediamento sulla riman ente area fosse stato realizzato. Secondo la Corte distrettuale, le diffide intimate dal RAGIONE_SOCIALE, la consensuale apposizione dei confini e le trattative intercorse per l’acquisto di tale area erano inidonee ad interrompere il possesso da parte degli attori.
Avverso la sentenza della Corte d’appello, il RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.
COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno resistito con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.
In prossimità della camera di consiglio, le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denunzia la violazione degli artt.828 e 830 c.c. per non avere la Corte d’appello qualificato il terreno oggetto di usucapione come rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato. Osserva che anche dopo la costituzione dei RAGIONE_SOCIALE, sarebbe stata preservata la finalità pubblica dei terreni.
1.2 Con il secondo motivo di ricorso, si deduce l’omessa valutazione della documentazione rilevante ai fini della prova relativa al concreto utilizzo del fondo, con particolare riferimento alla certificazione urbanistica, con violazione dell’art.115 c.c.c.
1.3 Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione degli artt.829 c.c. e 830 c.c., in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c., per avere la Corte d’appello tratto elementi per negare la natura indisponibile del bene dalla intenzione del RAGIONE_SOCIALE di alienare il terreno agli attori laddove la dismissione dei beni indisponibili non potrebbe avvenire per facta concludentia ma consacrata in un atto amministrativo.
2 Il primo e il terzo motivo, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente sono infondati.
L’appartenenza di un bene al patrimonio indisponibile di un ente territoriale discende non solo dalla esistenza di un atto amministrativo che lo destini ad uso pubblico, ma anche dalla
concreta utilizzazione dello stesso a tale fine; la mancanza della concreta destinazione a finalità pubblicistiche deve essere desunta dalla decorrenza, rispetto all’adozione dell’atto amministrativo, di un periodo di tempo tale da non essere compatibile con l’utilizzazione in concreto del bene a fini di pubblica utilità (Cass. N. 26990/2020; SSUU N. 6019/2016; Cass. Civ., sez. 2, 16.12.2009, n. 26402; Cass.civ., Sez. U., 03.12.2010, n. 24563).
Nel caso di specie, la Corte di merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in sede di legittimità, ha ritenuto che il RAGIONE_SOCIALE non avesse provato l’esercizio di un concreto atto di utilizzazione a fini di pubblica utilità relativamente al fondo in questione. Con riguardo a tale ultimo requisito, la Corte ha accertato che, a fronte del possesso continuativo dei COGNOME, il RAGIONE_SOCIALE aveva addirittura intavolato trattative per la vendita del bene. Né integra una destinazione del bene al servizio pubblico la certificazione prodotta dal RAGIONE_SOCIALE riguardante l’asservimento della particella in vista della realizzazione di un opificio in quanto non consentiva di ritenere provata che l’insediamento sulla riman ente area fosse stato realizzato.
3 Infondato è anche il secondo motivo.
Quanto al vizio motivazionale relativo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, è ostativa l’esistenza di una ‘doppia conforme’, ai sensi dell’art.348 ter comma V c.p.c. in quanto il giudizio d’appello è stato introdotto in data successiva all’11.9.2012. Infondata è la doglianza relativa alla violazione dell’art. 115 c.p.c., che è ravvisabile solo ove il giudice abbia deciso in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, ponendo a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di
ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza con la quale si censura che il giudice, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art.116 c.p.c. (Cassazione civile sez. un., 30/09/2020, n.20867).
Le censure mosse alla Corte d’Appello investono in realtà la valutazione delle risultanze processuali, che spetta -come è noto -al giudice di merito ed è sindacabile solo sotto il profilo dell’omesso esame, vizio qui non deducibile, per quanto detto.
4 Con il quarto ed ultimo motivo di ricorso, si denuncia la violazione dell’art.11 disp. Prel. E della L. 97/94 e della L. 97/94, che ha esteso il regime speciale dell’art.1159 bis c.c. a tutti i fondi rustici anche in comuni montani; la Corte d’appello avrebbe errato nel non considerare che la disciplina prevista dall’art.1159 bis c.c. si applichi solo a partire dall’entrata in vigore della L.97/94, sicchè per il periodo antecedente, gli attori non avrebbero potuto beneficiare del nuovo regime perché l’area non sarebbe collocata in un comune montano.
Il motivo, che implica accertamenti in fatto, è inammissibile perché introduce questioni di diritto proposte per la prima volta in sede di legittimità (Cass. 1435/13; 230/06; 16541/09).
Va ricordato che ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare “ex actis” la
veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 20518/08; Cassazione civile sez. II, 09/08/2019, n.21243). Nel caso in esame il ricorso non specifica quando la questione sia stata dedotta in sede di merito, considerato anche il silenzio sulla stessa da parte della Corte di merito.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del DPR 115/2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 4 .000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Roma, 16 novembre 2023.
Il Presidente NOME COGNOME