Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3765 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3765 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3243/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del AVV_NOTAIO, elett.te domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio NOME RAGIONE_SOCIALE (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE, che lo rappresenta e difende per procura in calce al ricorso,
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMAINDIRIZZO , presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende per procura in calce al controricorso,
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO dell’ ‘AQUILA n.1266/2020 depositata il 30.9.2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25.1.2024 dal
Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 22.7.2003 NOME NOME, proprietario per successione ereditaria di Villa NOME e di un annesso fondo, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE il Comune di RAGIONE_SOCIALE per essere riconosciuto proprietario per usucapione ventennale del terreno di circa sei ettari che circondava quel fondo (partita 324, foglio 7, particelle 587, 376, 399, 397, e foglio 12, particelle 253, 272, 274/2, 1533 ex 254/b, 1534 ex 255/b, 648, 1515 ex 481/b, 1514 ex 284/b, 1517 ex 293/b, 1518 ex 293/c, 1519 ex 293/d e 1516 ex 289/b).
Esponeva l’attore che tale terreno era stato donato il 14.2.1975 con l’atto del AVV_NOTAIO, rep. n. 204889, racc. n. 6005, da suo padre, il barone NOME COGNOME, al Comune di RAGIONE_SOCIALE, purché lo destinasse a parco pubblico (Parco NOME) e purché il PRG in elaborazione prevedesse per il fondo rimasto al donante la destinazione a parco privato; che il Comune di RAGIONE_SOCIALE aveva attribuito solo in parte tali destinazioni agli immobili in sede di pianificazione urbanistica e non aveva mai preso possesso ed utilizzato il terreno donatogli, omettendo di realizzarvi il previsto parco attrezzato, in contrasto con le disposizioni del donante; che in un precedente giudizio (procedimento n. 2084/1991 RG) aveva chiesto al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE di accertare l’inefficacia della donazione paterna per mancato avveramento della condizione; che il 21.11.2002 aveva reagito ad uno spoglio perpetrato dal Comune di RAGIONE_SOCIALE ad ottobre 2002, consistito nel taglio di canne ed arbusti con mezzi meccanici, ottenendo una pronuncia di non luogo a
provvedere per la pendenza di altro giudizio possessorio nell’ambito del giudizio petitorio sull’inefficacia della donazione. Nelle more il 7.10.2003 NOME, a fronte di ulteriori lavori di sistemazione del terreno da parte del Comune di RAGIONE_SOCIALE, intraprendeva un altro giudizio per reintegrazione nel possesso, ma il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE con ordinanza del 10.11.2003 dichiarava il proprio difetto di giurisdizione ai sensi degli articoli 37 c.p.c. e 4 della L. n. 2248/1865 allegato E.
Si costituiva nel giudizio di primo grado il Comune di RAGIONE_SOCIALE, che chiedeva il rigetto dell’avversa domanda di usucapione, sostenendo che la donazione di COGNOME NOME del 14.2.1975 era stata accettata giusta deliberazione della Giunta Comunale n. 314 del 12.7.1979, con separato atto pubblico del 28.5.1980, col quale era avvenuto il trasferimento della proprietà e del possesso materiale e giuridico a favore del Comune di RAGIONE_SOCIALE; che il terreno donato, a seguito di sopralluogo, era stato preso in consegna, ed era stato ricompreso in sede di inventario tra i beni del patrimonio indisponibile dell’ente in virtù della destinazione ad uso pubblico; che era stato aperto alla fruibilità dei cittadini come parco naturale e poi trasformato in parco attrezzato; che nel procedimento n. 2084/1991 RG NOME non aveva chiesto solo di dichiarare l’inefficacia della donazione paterna, ma anche la condanna del Comune di RAGIONE_SOCIALE alla restituzione e reintegrazione in suo favore della proprietà e del possesso del terreno donato da COGNOME NOME al Comune di RAGIONE_SOCIALE, rinunciando poi in sede di precisazione delle conclusioni alla pretesa possessoria; che il Comune di RAGIONE_SOCIALE il 16.7.1997 aveva provveduto a riconfinare l’area, apponendo termini e picchetti ed eseguendo varie opere ulteriori (realizzazione di una strada, sbancamento e movimento di terreno, pulizia di canne ed arbusti); che pertanto aveva acquisito a titolo derivativo la proprietà ed il possesso del terreno donatogli da COGNOME NOME, mantenendolo ininterrottamente, senza alcun
impossessamento del terreno da parte di COGNOME NOME, o di COGNOME NOME; che poiché il terreno era entrato a far parte del patrimonio indisponibile dell’ente pubblico, doveva ritenersi soggetto al regime demaniale e considerarsi quindi inusucapibile.
Con sentenza n. 565/2015 del 26.3.2015 il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE accoglieva la domanda di usucapione di NOME, e condannava il Comune di RAGIONE_SOCIALE alle spese processuali.
Impugnata la sentenza di primo grado dal Comune di RAGIONE_SOCIALE, sia sotto il profilo dell’inusucapibilità del terreno, indicata come accertata con sentenza passata in giudicato, sia sotto il profilo della mancata prova da parte di COGNOME NOME di un comportamento possessorio uti dominus continuo ed ultraventennale, la Corte d’Appello dell’Aquila, nella resistenza del NOME, con la sentenza n. 1266 del 15/30.9.2020, rigettava l’appello e condannava il Comune di RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese processuali di secondo grado.
L’impugnata sentenza, dopo avere riconosciuto che in base all’art. 826 comma 3° cod. civ. l’appartenenza di un bene al patrimonio indisponibile dell’ente pubblico (ed in particolare alla categoria dei beni destinati ad un pubblico servizio) presupponeva il requisito soggettivo della manifestazione di volontà dell’ente di destinare il bene ad un pubblico servizio (ravvisabile nella specie nell’inventario dei beni del patrimonio indisponibile prodotto dal Comune di RAGIONE_SOCIALE), ed il requisito oggettivo della concreta utilizzazione del bene a quel precipuo fine pubblico, richiamando in tal senso le sentenze delle sezioni unite della Corte di Cassazione n. 6019/2016 e n. 24563/2010, riteneva non provato tale requisito oggettivo. In particolare la Corte d’Appello aquilana riteneva tale ultimo requisito non desumibile dalla sentenza del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE n.1978/2006, confermata dalla sentenza della Corte d’Appello dell’Aquila n.493/2010, passata in giudicato, che sulla base della CTU espletata aveva respinto la domanda di accertamento dell’inefficacia della donazione di COGNOME NOME ritenendo nulla la
condizione che imponeva al Comune di RAGIONE_SOCIALE, donatario, di destinare il terreno a parco pubblico, accertando incidentalmente la destinazione urbanistica a parco del terreno in questione, ma non la concreta utilizzazione di tale terreno come parco, non essendo state riscontrate opere realizzate dal Comune di RAGIONE_SOCIALE per l’istituzione del parco, e non desumibile neppure dagli altri elementi invocati dall’appellante (presunte dichiarazioni confessorie del legale di NOME NOME nel giudizio per la dichiarazione di inefficacia della donazione; realizzazione nell’ottobre 2003 di una zona attrezzata per giochi dei bambini su una parte del terreno da parte del Comune di RAGIONE_SOCIALE; verbale di riconfinamento del 1997). L’impugnata sentenza riesaminava poi accuratamente le risultanze istruttorie, ritenendo comprovato l’esercizio del possesso ad usucapionem da parte di COGNOME NOME dalla data dell’accettazione della donazione di COGNOME NOME da parte del Comune di RAGIONE_SOCIALE nel 1980, fino alla realizzazione nell’ottobre 2003 del parco attrezzato per i giochi dei bambini, valorizzando anche la mancata prova contraria del Comune di RAGIONE_SOCIALE.
Avverso tale sentenza, notificata il 17.11.2020, ha proposto ricorso alla Suprema Corte, notificato a NOME il 15.1.2021, il Comune di RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a quattro motivi, ed ha resistito NOME con controricorso notificato il 23.2.2021.
Il Consigliere NOME COGNOME in data 2.5.2023 ha formulato proposta di definizione anticipata ex art. 380 bis c.p.c. per inammissibilità e/o manifesta infondatezza del ricorso, comunicata alle parti il 12.5.2023.
AVV_NOTAIO, munito di nuova procura speciale, autenticata da AVV_NOTAIO, il 20.6.2023 ha presentato istanza di decisione ex art. 380 bis comma 2° c.p.c.
Fissata quindi udienza in camera di consiglio, entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.
La causa è stata trattenuta in decisione nell’adunanza camerale del 25.1.2024.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo il Comune di RAGIONE_SOCIALE lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ., nonché degli articoli 826 ultimo comma, 828 comma 2°, 823 comma 1° e 1145 cod. civ.
Lamenta il ricorrente che l’impugnata sentenza non abbia ritenuto provata l’effettiva destinazione oggettiva del terreno donato da COGNOME NOME al Comune di RAGIONE_SOCIALE a parco pubblico, che pure sarebbe stata accertata con efficacia di giudicato dalla sentenza del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE n. 1978/2006, confermata dalla sentenza della Corte d’Appello dell’Aquila n. 493/2010, che aveva respinto la domanda di COGNOME NOME di accertamento dell’inefficacia della donazione paterna del 14.2.1975 per mancato avveramento della condizione che il terreno donato fosse destinato a parco pubblico o verde attrezzato (Parco NOME) e che il fondo rimasto al donante fosse destinato a parco privato nel PRG in elaborazione, avendo la CTU espletata in quel giudizio accertato che il terreno donato era stato destinato a parco pubblico, e lamenta che, per effetto della ritenuta mancanza di quel requisito oggettivo, il terreno di causa non sia stato ritenuto rientrante nell’ambito del patrimonio indisponibile del Comune di RAGIONE_SOCIALE e quindi soggetto al principio dell’inusucapibilità proprio dei beni demaniali.
Secondo la giurisprudenza più recente ed ormai consolidata della Suprema Corte, in tema di giudicato esterno, il giudice di legittimità deve accertare l’esistenza e la portata del giudicato con cognizione piena, che si estende anche al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta loro valutazione ed interpretazione mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto,
indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal giudice del merito, e ciò in ragione della riconosciuta natura pubblicistica dell’interesse al rispetto del giudicato, della ritenuta indisponibilità per le parti dell’autorità di quest’ultimo, della ravvisata identità dell’operare dei due tipi di giudicato, interno ed esterno, e dell’inclusione delle correlative questioni nella sfera delle questioni di diritto piuttosto che in quella delle questioni di fatto. Il giudicato non deve, infatti, essere incluso nel fatto e, pur non identificandosi nemmeno con gli elementi normativi astratti, è da assimilarsi, per la sua intrinseca natura e per gli effetti che produce, a tali elementi normativi, con la conseguenza che l’interpretazione del giudicato dev’essere trattata piuttosto alla stregua dell’interpretazione delle norme che non alla stregua dell’interpretazione dei negozi e degli atti giuridici. Costituendo, a sua volta, l’interpretazione del giudicato operata dal Giudice del merito non un apprezzamento di fatto ma, una quaestio iuris -la stessa è sindacabile, in sede di legittimità, non per il mero profilo del vizio di motivazione, ma nella più ampia ottica della violazione di legge e gli eventuali errori di interpretazione del giudicato rilevano quali errori di diritto (Cass. 5.10.2009 n. 21200; Cass. sez. un. n. 24664/2007; Cass. n.13916/2006; Cass. n. 226/2001).
Fatta questa doverosa premessa, il primo motivo è, tuttavia, manifestamente infondato, in quanto l’impugnata sentenza ha tenuto conto che la sentenza del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE n. 1978/2006, confermata dalla sentenza della Corte d’Appello dell’Aquila n. 493/2010 -che peraltro ha respinto la domanda di COGNOME NOME di accertamento dell’inefficacia della donazione del terreno oggetto di causa fatta dal padre NOME NOME a favore del Comune di RAGIONE_SOCIALE il 14.2.1975 per nullità della condizione apposta alla donazione, e non perché abbia riconosciuto come verificata la condizione -, non ha accertato con efficacia di giudicato l’effettiva destinazione oggettiva del terreno donato da
NOME NOME al Comune di RAGIONE_SOCIALE a parco pubblico, limitandosi a verificare, peraltro solo incidentalmente, la destinazione urbanistica a parco pubblico del terreno. Attraverso la lettura approfondita della CTU in quella sede espletata (in particolare della pagina 13 in cui l’ausiliario ha dichiarato che ‘ su nessuna delle particelle oggetto di donazione ho riscontrato opere realizzate dal Comune per l’istituzione del parco ‘), si è giustamente evidenziato che l’incarico affidato all’ausiliario aveva riguardato solo la destinazione urbanistica del terreno donato e di quello rimasto nel patrimonio del donante, e che un accertamento di effettiva destinazione nella realtà del terreno a parco pubblico, in ogni caso non espressamente contenuto nella sentenza passata in giudicato e non necessario a giustificare la pronuncia di rigetto della domanda adottata, sarebbe stato del tutto incompatibile col mancato riscontro sui luoghi di opere realizzate dal Comune per la destinazione a parco pubblico da parte del CTU.
Dalla mancata prova, anche attraverso l’istruttoria espletata, dell’effettiva destinazione del terreno donato a parco pubblico prima della realizzazione del parco giochi per bambini in una piccola porzione, risalente solo ad ottobre 2003, dalla negazione dell’esistenza di una confessione di NOME circa l’effettiva destinazione a parco pubblico del terreno donato ad opera del Comune RAGIONE_SOCIALE, e dalla negazione sul punto del giudicato esterno, l’impugnata sentenza ha coerentemente fatto derivare l’assenza del requisito oggettivo indispensabile per qualificare il terreno donato come bene del patrimonio indisponibile del Comune di RAGIONE_SOCIALE, e quindi sottratto al regime di inusucapibilità applicabile ai beni comunali effettivamente destinati ad un pubblico servizio, così come ai beni demaniali.
Col secondo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., degli articoli 2733 comma 2°, 2735
comma 1°, 826 ultimo comma, 828 comma 2°, 823 comma 1° e 1145 cod. civ.
Si duole il ricorrente che l’impugnata sentenza non abbia ritenuto dimostrata la concretezza dell’uso pubblico del terreno oggetto di causa avendo valutato liberamente, anziché come prova legale, come imposto dall’art. 2733 comma 2° cod. civ., la confessione asseritamente effettuata da COGNOME NOME nell’atto di citazione introduttivo del procedimento n. 2084/1991 RG davanti al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE circa l’effettiva realizzazione da parte del Comune di RAGIONE_SOCIALE sul terreno donatogli di un parco pubblico, e ciò in quanto ha attribuito le relative dichiarazioni solo al procuratore costituito di NOME, senza avvedersi che l’atto di citazione suddetto recava in calce una procura speciale alle liti rilasciata espressamente per la ‘ rappresentanza e difesa nel giudizio di cui al presente atto ‘ sottoscritta da NOME, che avrebbe consentito di attribuire a lui direttamente le affermazioni e conclusioni della citazione.
Il motivo é inammissibile ex art. 360 bis n. 1) c.p.c., in quanto l’impugnata sentenza si è conformata alla giurisprudenza consolidata della Suprema Corte, che stabilisce a quali condizioni, nella specie non ricorrenti, gli scritti difensivi processuali possano assumere valore confessorio, essendo altrimenti liberamente apprezzabili, e non sono stati addotti argomenti specifici che possano indurre ad abbandonare tale consolidato orientamento.
Per giurisprudenza granitica della Suprema Corte, infatti, le dichiarazioni contenute negli atti processuali possono assumere il carattere proprio della confessione giudiziale spontanea, alla stregua di quanto previsto dall’art. 229 c.p.c., purché sottoscritte dalla parte personalmente, con modalità tali da rivelare inequivocabilmente la consapevolezza delle specifiche ammissioni dei fatti sfavorevoli così espresse; ne consegue che non ha efficacia confessoria la mera sottoscrizione della procura apposta a margine
o in calce (come nel caso di specie) all’atto recante la dichiarazione, in quanto la procura è elemento giuridicamente distinto dal contenuto espositivo dell’atto cui accede, pur potendo tale dichiarazione contra se fornire elementi indiziari di giudizio (Cass. 5.9.2019 n. 22164; Cass. 28.9.2018 n. 23634; Cass. 1.12.2016 n. 24539; Cass. 18.3.2014 n. 6192; Cass. 30.4.2010 n.10607; Cass. 6.12.2005 n.26686).
Col terzo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n.3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., dell’art. 2700, dell’art. 1141 comma 2° e dell’art. 2697 cod. civ.
Il ricorrente asserisce che l’impugnata sentenza, sulla base dell’istruttoria svolta, abbia ritenuto che il donante COGNOME NOME ed il suo successore NOME avessero sempre mantenuto il possesso del terreno anche dopo la donazione del 14.2.1975 per atto del AVV_NOTAIO, rep. n.204889, racc. n.NUMERO_DOCUMENTO, benché al trasferimento della proprietà del terreno, confermato dall’atto di accettazione del Comune di RAGIONE_SOCIALE del 28.5.1980 del AVV_NOTAIO, rep. n. 27802, racc. n. NUMERO_DOCUMENTO, conseguente alla delibera della Giunta Comunale n. 314 del 12.7.1979, seguisse necessariamente quello del possesso, come peraltro indicato nell’atto del 14.2.1975, in cui era precisato che ‘ il possesso legale, unitamente alla proprietà sarà trasferito al momento in cui la donazione sarà stata accettata dal Comune donatario ‘, con la conseguenza che NOME doveva considerarsi mero detentore, e per poter usucapire il terreno donato dal padre all’ente pubblico, avrebbe dovuto fornire prova della modificazione della detenzione in possesso , che invece non era stata data, per cui vi era stata violazione dell’onere probatorio, oltre che dell’efficacia di prova legale dell’atto pubblico del 14.2.1975.
Col quarto motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli
articoli 115 e 116 c.p.c. e degli articoli 2733 comma 2°, 2735 comma 1°, nonché dell’art. 1158 cod. civ.
Il ricorrente prospetta che l’impugnata sentenza abbia accolto la domanda di NOME di usucapione, negando efficacia di prova legale alla confessione dallo stesso asseritamente resa nell’atto di citazione introduttivo del procedimento n. 2084/1991 RG del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, interpretando la domanda di condanna alla restituzione ed al possesso del terreno avanzata in quel giudizio da NOME come meramente confermativa di una condizione di fatto già esistente, ritenendo ininfluente il riconfinamento operato dal Comune di RAGIONE_SOCIALE nel 1997, perché riferito ad altri fondi, ed irrilevante l’azione di reintegrazione nel possesso esercitata da NOME nel 2002, perché successiva alla maturazione del termine ventennale dell’usucapione, fatto decorrere dal 1980.
Il terzo ed il quarto motivo, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili, in quanto -richiamato quanto già detto circa l’impossibilità di riconoscere valore confessorio alle difese contenute nell’atto di citazione introduttivo del procedimento n.2084/1991 RG del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, ed aggiunto che nessuna efficacia di prova legale può essere attribuita all’atto pubblico del AVV_NOTAIO del 14.2.1975, in cui era precisato che ‘ il possesso legale, unitamente alla proprietà sarà trasferito al momento in cui la donazione sarà stata accettata dal Comune donatario’, non trattandosi di un fatto avvenuto alla presenza del AVV_NOTAIO, ma di un fatto futuro del quale quell’atto non era destinato a fornire prova -entrambi i motivi tendono inammissibilmente a contrapporre una diversa ricostruzione dei fatti circa il verificarsi dei presupposti dell’usucapione (possesso pacifico, continuato, pubblico ed ultraventennale uti dominus ) del terreno oggetto di causa a favore di NOME NOME, rispetto a quella effettuata dalla sentenza impugnata, pretendendo di
ottenere dalla Suprema Corte, giudice di legittimità e non del merito, una non consentita rivalutazione del materiale istruttorio.
La giurisprudenza della Suprema Corte è però ferma nel ritenere che l’esame dei documenti esibiti e delle deposizione dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. 24.5.2006 n. 12362; Cass. 7.8.2003 n. 11933). Va aggiunto, infine, che non essendo stata fornita prova dell’acquisizione del possesso del terreno da parte del Comune di RAGIONE_SOCIALE all’atto dell’accettazione della donazione nel 1980, e quindi del fatto che dopo la stessa NOME NOME fosse diventato un mero detentore del bene, non era necessario che il NOME fornisse prova della modificazione della detenzione in possesso.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e vanno poste a carico del ricorrente, e poiché sono state sostanzialmente confermate le ragioni che erano state poste a sostegno della proposta di definizione anticipata, in base alla previsione dell’art. 380 bis ultimo comma c.p.c., il ricorrente va altresì condannato (vedi sulla configurabilità di un abuso del processo valutato sussistente dal legislatore in caso di conformità della decisione alla proposta di definizione anticipata Cass. sez. un. 22.9.2023 n. 27195) al risarcimento danni ex art. 96 comma 3°
c.p.c. in favore di COGNOME NOME, liquidati in € 2.000,00, ed al pagamento ex art. 96 4° comma c.p.c. in favore della cassa delle ammende della somma di € 2.000,00.
Occorre dare atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1 -quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico del ricorrente, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, sezione seconda civile, rigetta il ricorso del Comune di RAGIONE_SOCIALE, e lo condanna al pagamento in favore di COGNOME NOME delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per spese ed € 4.500,00 per compensi, oltre IVA, C.A. e rimborso spese generali del 15%, nonché al pagamento in favore dello stesso della somma equitativamente determinata di € 2.000,00 ed al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di € 2.000,00. Dà atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1 -quater D.P.R. n.115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico del ricorrente, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 25.1.2024