Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32120 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 32120 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21417/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO (STUDIO AVV. NOME COGNOME), presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende
-ricorrenti- contro
COGNOME NOME
-intimata- avverso SENTENZA del TRIBUNALE PERUGIA n. 221/2021 depositata il 08/02/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/11/2024 dal Consigliere dr. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Giudice di Pace di Perugia, accogliendo la domanda di NOME COGNOME e NOME COGNOME, condannò NOME COGNOME ad estirpare una pianta di cipresso ed una pianta di magnolia esistenti nel suo giardino. Su impugnazione della soccombente, con sentenza n. 366 dell’8 febbraio 2021, il Tribunale della stessa città riformò la predetta decisione, rigettando -per quel che ancora interessa -l’originaria domanda volta ad ottenere l’estirpazione del cipresso.
Il giudice di secondo grado affermò sostanzialmente che il diritto di mantenere l’albero in questione era maturato per il tempo necessario all’usucapione, giacché la siepe originaria non era stata distrutta nella sua interezza ma appunto il cipresso era sopravvissuto, restando tale per più di trent’anni.
Contro la predetta sentenza, ricorrono per cassazione gli originari attori NOME COGNOME e NOME COGNOME sulla scorta di un unico, complesso motivo, articolato in due censure.
NOME COGNOME è rimasta intimata.
Il 17 gennaio 2024 il consigliere delegato ha formulato proposta di improcedibilità.
A seguito della tempestiva opposizione dei ricorrenti, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, che ha chiesto la decisione, la causa è stata avviata alla camera di consiglio del 6 novembre 2024.
In prossimità della predetta udienza, i ricorrenti hanno depositato memoria.
RAGIONI DI DIRITTO
Preliminarmente, osserva la Corte che il ricorso è procedibile risultando in atti il deposito della copia autentica della sentenza e pertanto può passarsi all’esame dell’unica censura, con cui gli
originari attori odierni ricorrenti deducono, ai sensi dell’art. 360 n. 5) c.p.c., ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti – ossia lo stato del cipresso arizonico ossia l’assenza della siepe unitamente allo sviluppo vegetativo incontrollato assunto in concreto dallo stesso’. Aggiungono la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 895 in relazione all’art. 360 n. 5 cpc.
Assumono, in particolare, che il suddetto albero, una volta venuta meno la siepe, sarebbe stato lasciato crescere liberamente, in modo del tutto incontrollato come un albero autonomo e isolato, non facente parte di un diverso manufatto, ‘ tanto che nel 2011 aveva già raggiunto un’altezza di mt 6,70 -come accertato nella CTU del 11/10/2011 resa nel giudizio di primo grado (G.d.P. di Perugia RG nr. 3512/2010) e ad oggi, raggiunge un’altezza ancora superiore che può stimarsi in mt. 8 circa, visto che sono passati ben 10 anni dall’accertamento peritale suddetto ‘.
Insomma, secondo il loro assunto, il Tribunale non avrebbe considerato correttamente che la siepe in questione era andata distrutta nella sua interezza, sia per fatti naturali in quanto, come emerso dall’istruttoria si era seccata ed era stata tagliata, che per opera della stessa COGNOME la quale nel corso del tempo non aveva provveduto a ricostituirla, facendo sviluppare il cipresso arizonico come un albero autonomo e non come un elemento della siepe.
Un eventuale acquisto per usucapione, a dire dei ricorrenti, doveva collocarsi non col riferimento al filare ma all’albero in sé.
Il motivo è infondato.
La doglianza, infatti, non coglie la ratio della decisione impugnata, incentrata sulla circostanza che ‘ non è vero che sul confine non era rimasto più nulla, essendovi invece da oltre 30 anni il cipresso in questione: e posto che non risultano in atti contestazioni da parte di chicchessia in merito a tale posizione del cipresso nei vent’anni successivi ‘.
Come si vede, il giudice di merito ha accertato in fatto l’esistenza , da oltre venti anni, di una pianta di cipresso isolata e non già di una siepe.
L’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Sez. U., n. 8053 del 7 aprile 2014; Sez. 2, n. 27415 del 29 ottobre 2018).
Nella specie, NOME COGNOME e NOME COGNOME invocano quale fatto storico lo stato del cipresso arizonico, ma il punto è stato trattato dal giudice di secondo grado, il quale ha infatti rilevato come ‘nella corte della COGNOME non è andata distrutta l’intera siepe, essendo sopravvissuta una delle piante che la componevano ossia il cipresso, che stando alle pacifiche risultanze dell’istruttoria in primo grado si trova lì da oltre 30 anni’.
In realtà, il motivo è volto ad ottenere una nuova valutazione del materiale probatorio. Ma lo scrutinio delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via
esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al presente giudizio qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito.
La sentenza impugnata ha offerto una ricostruzione fattuale dell’intero compendio probatorio. Va dunque ribadito che l’esame dei documenti esibiti e la valutazione degli stessi, come anche il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 1, n. 19011 del 31 luglio 2017; Sez. 1, n. 16056 del 2 agosto 2016).
In punto di diritto, occorre inoltre ricordare che il travisamento della prova, per essere censurabile in Cassazione per violazione dell’art. 115 c.p.c., postula: a) che l’errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova (” demonstrandum “), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima (” demonstratum “), con conseguente, assoluta impossibilità logica
di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre; b) che tale contenuto abbia formato oggetto di discussione nel giudizio; c) che l’errore sia decisivo, in quanto la motivazione sarebbe stata necessariamente diversa se fosse stata correttamente fondata sui contenuti informativi che risultano oggettivamente dal materiale probatorio e che sono inequivocabilmente difformi da quelli erroneamente desunti dal giudice di merito; d) che il giudizio sulla diversità della decisione sia espresso non già in termini di possibilità, ma di assoluta certezza (Sez. 1, n. 9507 del 6 aprile 2023).
Le condizioni che precedono non ricorrono nel caso di specie.
E tanto a voler sottacere che, anche ove difetti la contestazione di controparte rispetto ad una deduzione specifica, non sussiste per il giudice del merito un vincolo di meccanica conformazione, in quanto egli può sempre rilevare l’inesistenza della circostanza in tal modo allegata ove ciò emerga dagli atti di causa e dal materiale probatorio raccolto, tanto più che se le prove devono essere valutate dal giudice secondo il suo prudente apprezzamento, a fortiori ciò vale per la valutazione della mancata contestazione (Sez. 2, n. 15288 del 31 maggio 2023; Sez. 3, n. 16028 del 7 giugno 2023).
E’ allora inammissibile il ricorso per cassazione che come nel caso di specie – sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Sez. U, n. 34476 del 27 dicembre 2019; Sez. 1, n. 5987 del 4 marzo 2021).
In mancanza di attività difensiva dell’intimata, non va disposta nessuna pronuncia sulle spese.
Al rigetto del ricorso neppure consegue la condanna al pagamento in favore della cassa delle ammende, secondo l’art. 96 comma 4° c.p.c., posto che la decisione non è conforme alla proposta.
La Corte da atto che ricorrono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per il raddoppio del versamento del contributo unificato, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6