Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3251 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2   Num. 3251  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9395/2021 R.G. proposto da:
NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso  dagli  avvocati  COGNOME  NOME  (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
– ricorrente –
contro
COMUNE di RONCO SCRIVIA, in persona del Sindaco pro tempore ;
– intimato – avverso la SENTENZA  del TRIBUNALE  GENOVA  n. 1484/2020, pubblicata il 2 ottobre 2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
Il RAGIONE_SOCIALE di Ronco Scrivia contestava ad NOME COGNOME che, in data 17.09.2018, lo stesso aveva violato l’art. 20, commi 1 e 4, del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Codice della strada, ‘CdS’) per aver occupato  la  sede  stradale  mediante  recinzione  da  cantiere  senza  la
prevista autorizzazione,  nonché l’art.  21 dello stesso  CdS per avere eseguito opere sulla strada stessa senza autorizzazione amministrativa.
Con il relativo verbale di contestazione il citato RAGIONE_SOCIALE infliggeva le due sanzioni cumulate per € 169,00 e € 849,00, oltre alla sanzione accessoria del ripristino.
1.1.  NOME  COGNOME  proponeva  opposizione  al  verbale  di accertamento  innanzi  al  Giudice  di  Pace  di  Genova,  rivendicando  la piena proprietà dell’area su cui aveva operato; fatto da cui egli faceva discendere l’insussistenza delle violazioni.
A sostegno dell’opposizione, il COGNOME precisava che il terreno in questione confinante con una strada laterale locale senza sbocco veicolare era saltuariamente utilizzato come posteggio unicamente dai soli abitanti frontisti, e non già da una collettività indeterminata di persone per soddisfare un pubblico generale interesse, con ciò dovendosi escludere l’esistenza di qualsivoglia servitù di uso pubblico; del resto, nessuna occupazione e/o costruzione era stata realizzata a scopo cantieristico, ma solo una recinzione del proprio terreno ai fini del legittimo esercizio del proprio ius excludendi alios , conformemente all’art. 75 del d.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495 (‘ Reg. esec. e att. CdS ‘) .
Il Giudice di Pace, ritenendo dimostrato che la recinzione era stata apposta su area privata di proprietà del COGNOME, con sentenza n. 572/2019, annullava il verbale limitatamente alla contestazione della violazione di cui all’art. 20, commi 1 e 4, del CdS, poiché l’attività, pur non avendo determinato l’occupazione di suolo pubblico, andava qualificata come esecuzione di opere sulla strada e loro pertinenze, cosicché tale comportamento costituiva illecito amministrativo ex art. 21, comma 1, CdS, che prescrive il rilascio dell’autorizzazione o concessione della competente autorità anche per le opere poste su aree
di  rispetto  e  di  visibilità.  Confermava,  pertanto,  la  relativa  sanzione pecuniaria  di  € 849,00.  In  altri  termini  la  recinzione  collocata  dal COGNOME,  quale  proprietario  del  terreno,  al  solo  fine  di  tutelare  il proprio  diritto  doveva  essere  autorizzata  dall’ente  proprietario  della strada, perché la realizzazione delle opere non è limitata alle strade e alle pertinenze ma estesa alle fasce di rispetto e alle aree di visibilità.
3. La pronuncia veniva impugnata dal COGNOME innanzi al Tribunale di Genova, il quale confermava interamente l’impugnata sentenza, sostenendo che il Giudice di pace aveva correttamente ravvisato la sussistenza di un uso pubblico evidente gravante su tale area relativa all’asservimento fattuale a varie utilità pubbliche; pertanto, era condivisibile l’affermazione che qualsiasi opera, edilizia o meno, nei limiti della fruizione, sia soggetta al consenso dell’avente diritto, ovvero, come per il caso di specie, trattandosi di aree a destinazione stradale, all’autorizzazione ex art. 21 in esame.
Nel caso di specie, l’uso pubblico gravante sull’area di cui la piccola proprietà  in  questione  faceva  parte  si  deduceva  dalla  segnaletica  in posizione tale da evidenziare la funzionalizzazione dell’area a tale uso, dalla  presenza  incontestata,  anche  nella  risalenza,  di  bidoni  per  la raccolta di rifiuti e di un’ulteriore centralina, quasi certamente relativa ad un servizio pubblico.
La pronuncia del Tribunale veniva impugnata dal COGNOME con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
Restava intimato il comune di Ronco Scrivia.
CONSIDERATO CHE:
1. Con il primo mezzo di ricorso si deduce – ai sensi dell’art. 360, n. 4), c.p.c. -il vizio di nullità della sentenza per violazione degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.
Il ricorrente lamenta l’error in procedendo in cui sarebbe incorsa la pronuncia di secondo grado per motivazione apparente, perplessa e/o obiettivamente  incomprensibile.  Il  Tribunale  avrebbe,  in  concreto, legittimato, senza chiarire in alcun modo le ragioni di questa scelta, non solo l’esistenza di un uso pubblico gravante sull’area privata, ma stabilendo che il mero diritto di uso fosse soggetto all’occupazione.
Con il secondo mezzo si denuncia – ai sensi dell’art. 360, n. 4), c.p.c. – la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. C.p.c.
Il ricorrente censura la sentenza impugnata, ritenendola inesistente, apparente e contraddittoria, nella parte in cui – peraltro in assenza di specifiche impugnazioni e deduzioni del RAGIONE_SOCIALE di Ronco do Scrivia nel grado di appello -ha utilizzato dichiarazioni e documentazioni fotografiche, in assenza di qualunque atto giuridico che imponesse la legittimità su tale area di una servitù di uso pubblico, per superare il valore probatorio dell’atto di acquisto di esso ricorrente, che aveva acquistato l’area de qua senza vincoli, oneri e pesi. Per giunta, lo stesso Tribunale aveva riconosciuto che i singoli segni dell’uso pubblico (i segnali stradali, bidoni dei rifiuti, colonnina di servizio) si trovavano al di fuori della proprietà esclusiva dello stesso ricorrente.
I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto entrambi censurano la sentenza impugnata sotto il profilo della motivazione apparente o perplessa, laddove  con la stessa era stata riconosc iuta  l’esistenza  di una  servitù  di  uso  pubblico  a  favore  del RAGIONE_SOCIALE.
Entrambi sono infondati.
3.1. In via generale si ricorda che, con riferimento alla motivazione apparente  o  perplessa,  la  costante  giurisprudenza  di  questa  Corte, peraltro richiamata dallo stesso ricorrente, ritiene che il vizio sussiste
quando  la  motivazione,  benché  graficamente  esistente,  non  renda, tuttavia,  percepibile  il  fondamento  della  decisione,  perché  recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento  seguito  dal  giudice  per  la  formazione  del  proprio convincimento,  non  potendosi  lasciare  all’interprete  il  compito  di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante, v. tra le tante: Cass Sez. U n. 2767/2023; Cass. n. 6758/2022; Cass. Sez. U n. 22232/2016).
La motivazione resa dal Tribunale di Genova, seppure utilizzando un linguaggio involuto, ha reso comprensibile il ragionamento seguito per confermare il convincimento già raggiunto dal giudice di prime cure, rilevando che: a) era incontestata la natura privata dell’area di cui si discute, illustrata dal COGNOME con esibizione di titoli ed evidenze planimetriche, riconosciuta peraltro anche dal RAGIONE_SOCIALE; b) dalle risultanze probatorie in atti si deduceva l’uso pubblico della piccola area privata del COGNOME ( avuto riguardo all’ apposizione della segnaletica in posizione tale da evidenziare la funzionalizzazione dell’area a tale destinazione, confortata anche dalla presenza incontestata, e risalente nel tempo, di bidoni per la raccolta di rifiuti e dalla presenza di una centralina quasi certamente relativa ad un servizio pubblico), confermato anche dal fatto che la destinazione a servizi di carattere pubblico coinvolgeva tutto il settore in fregio alla strada, se non altro per le necessità di accesso; c) qualsiasi opera edilizia o meno che limitasse la fruizione si sarebbe dovuta considerare soggetta, per le aree a destinazione stradale, all’autorizzazione ex art. 21 CdS.
3.2. Tanto precisato, una giurisprudenza risalente di questa Corte ha affermato il principio in virtù del quale è l’uso pubblico a giustificare, per evidenti ragioni di ordine e sicurezza collettiva, la soggezione delle aree alle norme del codice della strada. Ciò è confermato dall’ultimo
inciso del comma 6 dell’articolo 2 CdS, ai sensi del quale le strade «vicinali» sono assimilate alle strade comunali, nonostante la strada vicinale sia per definizione (articolo 3, comma 1, n. 52, stesso codice) di proprietà privata, anche in caso di destinazione ad uso pubblico (Cass. n. 17350/2008 e Cass. n. 13217/2003; più di recente v. Cass. n. 14367/2018). La definizione di «strada», che comporta l’applicabilità della disciplina del relativo codice, non dipende dalla natura, pubblica o privata, della proprietà di una determinata area, bensì dalla sua destinazione ad uso pubblico, che ne giustifica la soggezione alle norme del codice della strada per evidenti ragioni di ordine pubblico e sicurezza collettiva. Del resto, l’art. 21, comma 1, CdS così recita: «Senza preventiva autorizzazione o concessione della competente autorità di cui all’articolo 26 è vietato eseguire opere o depositi e aprire cantieri stradali, anche temporanei, sulle strade e loro pertinenze , nonché sulle relative fasce di rispetto e sulle aree di visibilità »
E’, dunque, l’uso pubblico a rendere rilevanti, anche per un’area di proprietà privata insistente su fasce di rispetto e di visibilità, ovvero qualificabili come pertinenze ex art. 24 CdS, le cautele imposte come necessarie al fine di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione della strada secondaria pubblica cui l’area di pertinenza affaccia.
Nel caso di specie, la sentenza impugnata mette in rilievo la destinazione a servizi (ausilio alla viabilità, raccolta rifiuti) del l’area in micro proprietà del COGNOME, se non altro per la necessità di accesso al piccolo settore in fregio alla strada, escludendo tra le esigenze pubbliche il parcheggio dei privati; tanto che -sottolinea il Tribunale -dovrebbe essere il RAGIONE_SOCIALE (che ammette l’altrui dominio sull’area) a curare il divieto di sosta sull’area in ragione dell’interferenza possibile con il corretto impegno dell’incrocio e con la raccolta dei rifiuti (v. sentenza p. 3, 2° e 3° capoverso).
Con il terzo motivo si deduce – ai sensi dell’art. 360, n. 3), c.p.c.la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c .p.c.
Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto esistente un uso pubblico gravante sull’area in questione allorquando nessuna domanda e allegazione era stata formulata in tal senso dal RAGIONE_SOCIALE di Ronco Scrivia. Il Giudice di Pace aveva, infatti, qualificato l’area de qua come «pertinenza di esercizio della strada pubblica», così invocando la definizione di cui all’art. 24 CdS; il RAGIONE_SOCIALE di Ronco di Scrivia, nella comparsa di costituzione e risposta in appello, non aveva riproposto l’eccezione di uso pubblico dell’area come formulata in prime cure, ma aveva insistito sic et simpliciter sulla natura pertinenziale dell’area. Di tal che si sarebbe dovuto ritenere che il Tribunale di Genova aveva riqualificato la natura dell’area de qua per riconoscere al RAGIONE_SOCIALE di Ronco di Scrivia un diritto di uso pubblico sull’area medesima soggetta addirittura all’occupazione, ossia aveva riconosciuto un diritto ben più ampio rispetto a quanto richiesto dal citato RAGIONE_SOCIALE, poiché maggiormente limitativo del diritto di proprietà dell’esponente. Tanto in assenza di domanda sul punto e, quindi, in violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
4.1. Il motivo è infondato.
Si osserva che si configura il vizio di «ultra» o «extra» petizione, ex art. 112 c.p.c., quando il giudice pronunzia oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, ovvero su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato. Tale principio va, peraltro, posto in immediata correlazione con il principio iura novit curia di cui all’art. 113, comma 1, c.p.c., rimanendo pertanto sempre salva la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite, nonché all’azione esercitata
in  causa,  ricercando  le  norme  giuridiche  applicabili  alla  concreta fattispecie sottoposta al suo esame, e ponendo a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti (cfr., ex plurimis , di recente, Cass. n. 5832/2021).
4.2. Nel caso di specie, sia il Giudice di pace che il Tribunale hanno riconosciuto  –  dai  fatti  rilevati  nel  verbale  di  contestazione -la destinazione  a  servizi  e  l’uso  pubblico  gravante  sulla  piccola  area privata  difesa  dal  COGNOME,  rilevante  soprattutto  per  soddisfare necessità  di  accesso  alla  strada  secondaria  pubblica  e  ai  servizi  ivi predisposti.
Con il quarto motivo si  deduce – ai sensi dell’art. 360, n. 3), c.p.c. -la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2643 c .c.
Il ricorrente lamenta che la sentenza de qua ha apoditticamente enunciato l’esistenza di un diritto di uso pubblico sull’area medesima soggetta addirittura ad occupazione: ciò sulla base delle ammissioni delle parti, esplicite ed implicite, e delle evidenze fotografiche pacificamente riferite ai luoghi di causa. La stessa PA pretenderebbe di giustificare l’elevazione delle contravvenzioni impugnate unicamente allegando, ma non provando, che l’area medesima sarebbe sempre stata utilizzata quale area pubblica da tempo immemorabile. Il RAGIONE_SOCIALE di Ronco di Scrivia non ha allegato e provato il proprio titolo domenicale (servitù di uso pubblico), anche eventualmente solo parziale, legittimante l’esercizio del potere pubblico sanzionatorio su un’area pacificamente privata.
Come è noto, la servitù quale diritto reale è soggetta a trascrizione ai  sensi  del  comma  quattro  dell’art  2643  c.c.:  l’assenza  di  una qualunque  trascrizione  relativa  all’esistenza  e  consistenza  di  tale asserito onere avrebbe dovuto rendere del tutto inopponibile all’esponente detta servitù di uso pubblico.
Con il quinto mezzo si denuncia – ai sensi dell’art. 360, n. 3), c.p.c.- la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c .c. e dell’art. 1 primo protocollo addizionale alla CEDU, deducendosi che un’area privata può ritenersi assoggettata a servitù pubblica di passaggio allorché sussista non solo l’uso generalizzato del passaggio da parte di una collettività indeterminata di individui considerati uti cives, in quanto portatori di un interesse generale, nonché un titolo valido a sostenere l’affermazione di un diritto reale minore di uso pubblico, occorrendo, altresì, l’ulteriore requisito dell’effettiva idoneità del bene a soddisfare il fine di pubblico interesse perseguito tramite l’esercizio della servitù. L’esistenza e la consistenza di una servitù di uso pubblico deve essere provata dall’Amministrazione pubblica che la invoca, alla quale spetta dimostrare altresì: – che il bene risulti posto al servizio della generalità indifferenziata dai cittadini dovendo escludersi come nel caso di specie l’uso pubblico quando il passaggio venga esercitato soltanto dai proprietari di beni immobili determinati in dipendenza della particolare ubicazione degli stessi, anche se si tratti di un transito da parte di un numero indeterminato e rilevante di persone e veicoli; che la collettività ne faccia autonomamente uso per la circolazione e che l’uso se si è protratto per il tempo necessario all’acquisto per usucapione: condizioni temporali che nel caso di specie non risultava essere state né dedotte né provate dal RAGIONE_SOCIALE di Ronco di Scrivia.
 Avendo  il  Collegio  respinto  i  primi  due  mezzi  di  gravame  sul presupposto dell’accertato riconoscimento della servitù di uso pubblico a  favore  del  RAGIONE_SOCIALE  intimato,  questi  due  ultimi  due  motivi  vanno ritenuti assorbiti.
8. In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso.
Non vi è luogo a provvedere sulle spese di questa fase processuale, in mancanza d’attività difensiva del l’ente intimato.
Per effetto della pronuncia di rigetto, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma  1quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo  a  titolo  di  contributo  unificato  pari  a  quello  previsto  per  il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così  deciso  in  Roma,  nella  camera  di  consiglio  della  Seconda