Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4067 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 4067 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 17/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22891/2021 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME e COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME e COGNOME rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME e COGNOME
– controricorrenti – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI NAPOLI n. 2442/2020, depositata il 03/07/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME e NOME COGNOME convenivano innanzi al Tribunale di Napoli -Sez. distaccata di Afragola la sorella NOME COGNOME affinché fosse accertato che la medesima aveva realizzato opere abusive all’interno del fabbricato sito in Afragola violando le norme sulle distanze legali tra costruzioni ed occupando parte del cortile comune; chiedevano che la convenuta fosse condannata alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi nonché al risarcimento dei danni.
2 Il Tribunale adìto rigettava la domanda dei due fratelli, che proponevano appello, e la Corte d’Appello di Napoli, in parziale accoglimento del gravame, condannava l’appellata all’abbattimento ed alla riduzione in pristino del vano lavanderia, realizzato in parte in occupazione del cortile comune e delle opere da cui era derivata la parziale occlusione del finestrone di cassa scala che si apriva sul primo pianerottolo di riposo.
La pronuncia è impugnata per cassazione da NOME COGNOME con due motivi illustrati da memoria.
Resistono NOME COGNOME e NOME COGNOME con controricorso illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denuncia violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 cod. proc. civ. e conseguente nullità della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ. per avere la Corte territoriale ordinato il ripristino del finestrone che si apre sul primo pianerottolo di riposo, nonostante la relativa domanda di ripristino non fosse stata formulata dagli originari attori nell’atto di citazione, nelle conclusioni né nelle memorie istruttorie depositate in primo grado. Si sostiene che la decisione relativa alla rimozione delle opere
da cui è derivata la parziale occlusione del finestrone sarebbe viziata per ultra petizione.
1.1. Il motivo è infondato.
D all’atto d’appello (cui questa Corte accede direttamente quale giudice del fatto processuale, in ragione della natura processuale del vizio dedotto) risulta riproposta in sede di gravame la richiesta accolta dalla Corte territoriale che, in applicazione dei principi enunciati da questa Corte in tema di uso delle parti comuni di un edificio ( ex art. 1102 cod. civ.), ha ritenuto di dover riformare la pronuncia di prime cure considerando, innanzitutto, illegittimo l’ampliamento del locale deposito mediante l’occupazione di parte del cortile al fine di realizzare il vano lavanderia (v. sentenza p. 6, 1° capoverso lett. a; v. atto di appello p. 8, 4° capoverso); dichiarando, di conseguenza, illegittima la parziale occlusione del finestrone derivante dal riscontrato ampliamento del preesistente locale deposito, attesi che detta occlusione incide negativamente sulla normale destinazione di dare luce alla cassa scale del fabbricato (v. sentenza p. 7, 2° capoverso lett. c).
1.2. Non può, dunque, dirsi affetta da ultrapetizione la statuizione impugnata: vizio che sussiste quando il giudice pronunzia oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, ovvero su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato (Sez. 2, Sentenza n. 12534 del 2024; Sez. 2, Ordinanza n. 2060 del 24/01/2019, Rv. 652255 -01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11289 del 10/05/2018, Rv. 648503 -01; Cass. Sez. U, Sentenza n. 15353 del 2015).
Nel nostro caso il principio sopra espresso non è violato dalla pronuncia di secondo grado: il bene della vita che gli attori miravano
a conseguire ed espressamente richiesto nell’atto di appello (p. 8) era rappresentato (tra l’altro) dal ripristino del cortile comune nel suo originario stato, alterato dalle opere della convenuta, nonché il ripristino della visibilità, illuminazione e areazione del vano scala, e la Corte d’Appello si è mantenuta entro il petitum . Infatti, la riduzione in pristino «delle opere da cui è derivata la parziale occlusione del finestrone di cassa scale» (così nel dispositivo, p. 9), altro non è che una delle conseguenze del riscontrato «ampliamento del preesistente locale deposito» mediante occupazione di parte del cortile comune, denunciato in citazione (come riporta lo stesso ricorso a pag. 4), come accertato dal CTU (cfr. sentenza p. 6, 3° rigo; v. anche controricorso pag. 5).
Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 342 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., con conseguente nullità del procedimento e della sentenza, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ. La ricorrente si duole del fatto che il giudice di seconde cure abbia ritenuto ammissibile l’atto di appello, benché nessuna specifica doglianza relativa al finestrone di cassa scala risulti in esso proposta, posto che la sentenza emessa nel primo grado del giudizio non conteneva alcun riferimento all’assunta occlusione parziale del finestrone di casa scala.
2.1. Neanche il secondo motivo di ricorso merita accoglimento.
Innanzitutto, non può considerarsi aspecifico, e deve quindi essere considerato ammissibile, il motivo di appello che esponga il punto sottoposto a riesame, in fatto ed in diritto, in modo tale che il giudice sia messo in condizione di cogliere natura, portata e senso della critica (Cass. Sez. U., 16.11.2017, n. 27199; più di recente: Cass. 6-3 civ., 17.12.2021, n. 40560).
Tanto precisato, va osservato che nel caso di specie gli attori si erano doluti del rigetto della domanda di occupazione del cortile comune mediante ampliamento del deposito (v. sentenza p. 4 e ricorso p. 4): è chiaro, dunque, che intendevano riproporre alla Corte la questione della illegittimità dell’ampliamento del deposito, che il primo giudice aveva valutato sfavorevolmente. Da tale premessa deriva -come si è visto nell’esame del primo motivo quale conseguenza del dedotto ampliamento del locale deposito e dell’occupazione del cortile in violazione dell’art. 1102 c od. civ., anche l’occlusione del finestrone di cassa scala. Dunque, era inutile che sottoponessero espressamente alla Corte d’Appello quella che era -come si è visto nell’esame del primo motivo solo una delle conseguenze del dedotto ampliamento del locale deposito e dell’occupazione del cortile in violazione dell’art. 1102 cc.
In ogni caso, dal raffronto tra la motivazione del provvedimento appellato e la formulazione dell’atto di appello emerge che gli appellanti avevano contrastato le ragioni addotte dal giudice di prime cure, insistendo nella richiesta -già avanzata nell’atto di citazione in primo grado: v. p. 2, righi 14-17 – di ripristinare la visibilità, illuminazione e areazione del vano scala compromessa dalla parziale occlusione del finestrone di cassa scala che si apriva sul primo pianerottolo (v. atto di appello p. 8, penultimo capoverso), a sua volta derivante dalle opere di ampliamento del preesistente locale di deposito sito nel cortile di proprietà comune.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese di lite, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore dei controricorrenti, che liquida in €. 4.000,00 per compensi, oltre ad €. 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, l’11 settembre 2024.