Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20908 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20908 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9352/2021 R.G. proposto da: COGNOME NOME COGNOME, COGNOME rappresentati e difesi dell’avvocato COGNOME unitamente all’avvocato COGNOME;
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi da ll’avvocato NOMECOGNOMENOME COGNOME unitamente agli avvocati COGNOME NOME COGNOME
– controricorrenti –
nonchè contro
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME, COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME
COGNOME NOMECOGNOME, RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME
– intimati-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI FIRENZE n. 1861/2020, depositata il 02/10/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME e NOME COGNOME divenuti comproprietari di un fabbricato di civile abitazione ubicato in un compendio immobiliare consistente, originariamente, in una struttura rurale di notevoli dimensioni, sita nel Comune di Pistoia, località INDIRIZZO, citavano innanzi al Tribunale di Pistoia NOME COGNOME e NOME COGNOME affinché fosse accertato il diritto di comproprietà sulla corte ad essi facente capo, si ordinasse la rimozione della recinzione e dei vasi da fiori apposti dalle convenute sul perimetro della porzione di corte sottostante alle loro abitazioni, e fossero determinate le modalità dell’uso del cortile comune in materia di diritto di sosta.
La lite in oggetto scaturiva dal fatto che le convenute, proprietarie di due unità abitative con sottostanti locali a destinazione commerciale, collocate nel medesimo compendio immobiliare di cui sopra e affacciate sulla corte comune (antica aia), negli anni 20002001 posizionavano una recinzione sul perimetro della porzione di corte sottostante la casa di una di loro, sistemavano vasi da fiori e fioriere ai loro ingressi, diffidando gli attori dal parcheggiare le loro auto all’interno della corte comune.
1.1. In via riconvenzionale, le convenute chiedevano che fosse dichiarato che gli attori vantavano sul cortile in questione il solo diritto di servitù di passo e non di parcheggio, e che fosse conseguentemente ordinato loro di non utilizzare detto cortile come parcheggio delle proprie autovetture o altri mezzi a motore.
1.2. Veniva integrato il contraddittorio nei confronti di tutti i comproprietari e/o utilizzatori della corte, alcuni dei quali rimanevano contumaci.
La causa veniva istruita attraverso l’assunzione di prove testimoniali e l’espletamento di una CTU.
1.3. Il Tribunale di Pistoia, con sentenza parziale n. 292/09, dichiarava che la corte oggetto di causa era di proprietà comune delle parti in lite, in quanto titolari dei fabbricati prospicienti la stessa; dichiarava cessata la materia del contendere in ordine alla collocazione della recinzione, nel frattempo rimossa dalle convenute in corso di causa; rigettava le domande di parte attrice nei confronti di parte convenuta in ordine alla collocazione di fioriere e vasi da fiori; rigettava le domande elevate da alcune parti intervenute in merito all’acquisto per usucapione del diritto di passo e di uso della Corte.
1.4. Con separata ordinanza la causa veniva rimessa sul ruolo per accertare, previo supplemento di CTU, la misura dei rispettivi diritti di comproprietà sulla corte dichiarata comune, nonché per redigere un’ipotesi di regolamento dell’uso della corte, con particolare riguardo all’utilizzo della stessa per l’esercizio del diritto di passo e di parcheggio di veicoli da parte dei comunisti.
1.5. Con sentenza definitiva n. 816/2012, il Tribunale di Pistoia, ritenendo fondate e argomentate le conclusioni della relazione peritale, ove si evidenziava che il numero dei posti auto ricavabili non
era in grado di soddisfare la necessità di parcheggio di tutte le unità immobiliari, stabiliva che la turnazione per l’uso della corte a fini di parcheggio andava regolamentata in ragione del valore millesimale -predisposto dal CTU – delle unità immobiliari costituite dai fabbricati frontisti, calcolata prendendo come riferimento la superficie netta delle singole unità, da sottoporre a coefficienti correttivi.
Non erano state chieste né la determinazione delle tabelle millesimali di ripartizione delle quote di proprietà, né l’adozione di un completo regolamento condominiale. Il primo giudice poneva in risalto che restava «diritto e onere delle parti dichiarate comproprietarie attivare le forme e modalità previste per l’adozione di completo regolamento della comunione, campo di esclusiva autonomia dei comproprietari».
Infine, il Tribunale poneva le spese dell’intero giudizio a carico di parte convenuta, con parziale compensazione nella misura di un quarto; compensava tra le menzionate parti le spese di CTU; per tutte le altre parti in causa disponeva la compensazione integrale delle spese, ivi comprese quelle di CTU.
1.6. La sentenza definitiva n. 816/2012 veniva impugnata da NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME innanzi alla Corte d’Appello di Firenze, deducendo che il primo giudice – facendo errata applicazione dell’art. 1118 cod. civ., anziché dell’art 1102 cod. civ. – aveva stabilito un utilizzo molto intenso e non paritario della corte in oggetto come parcheggio, svilendo la sua funzione primaria di dare luce, aria ed accesso alle unità frontiste.
Con sentenza n. 1861/2020, la Corte territoriale adìta rigettava l’appello.
A sostegno della sua decisione, osservava la Corte (per quanto ancora qui di interesse):
-l’apodittica affermazione degli appellanti, secondo cui la funzione primaria della corte era quella di dare luce, aria e accesso alle proprietà dei frontisti, oltre a non essere supportata da convincenti motivazioni, contrastava sia con quanto emerso dalle risultanze processuali (il cortile era stato sempre utilizzato dalla maggior parte dei frontisti per il transito ed il parcheggio saltuario e provvisorio dei veicoli), sia con l’orientamento pacifico della giurisprudenza di legittimità riguardo l’utilizzabilità a parcheggio del cortile comune, nonché con la legittimità della disciplina turnaria, risultando i parcheggi condominiali insufficienti a contenere contemporaneamente le autovetture di tutti i condomini;
quanto al criterio rotatorio, il CTU, e con lui il giudice di prime cure, aveva attribuito i posti auto in base a tale criterio in modo da consentire a tutti i condòmini il godimento dello spazio comune, con una turnazione quantitativamente parametrata al valore della quota millesimale da ciascuno di essi posseduta. Quindi, diversamente da quanto paventato dagli appellanti, la pronuncia di primo grado era perfettamente rispondente alla fondamentale regola di cui all’art. 1102 cod. civ., secondo la quale l’uso della cosa comune da parte di ciascun partecipante non può alterarne la destinazione e impedire il concorrente uso degli altri comunisti secondo il loro diritto;
pertanto, risultava incongrua la richiesta – presentata nelle conclusioni dell’atto di appello e, per la prima volta, nella precisazione delle conclusioni all’esito del deposito del supplemento di CTU – con la quale gli appellanti chiedevano di non riconoscere a nessuno dei comproprietari l’utilizzazione dell’area riconosciuta comune come parcheggio, bensì solo per soste brevi: nella comparsa conclusionale in primo grado, infatti, COGNOME e COGNOME chiedevano, al contrario, di soffermarsi sulla domanda riconvenzionale nella parte in
cui veniva richiesta la regolamentazione dell’uso della corte ai fini del posteggio e sosta;
quanto alla regolamentazione delle spese di primo grado: appariva plateale la soccombenza degli appellanti, atteso che nelle conclusioni della comparsa di costituzione e risposta le convenute COGNOME e COGNOME chiedevano di accertare la mancanza del titolo di comproprietà degli attori, e di dichiarare il difetto di contraddittorio. Del resto, la cessazione della materia del contendere non esimeva il giudice dal provvedere sulle spese, anche d’ufficio, in virtù del principio della soccombenza virtuale e del principio di causalità;
quanto alle tariffe applicabili: alla luce di quanto stabilito dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione (Sez. U, n. 13628/2015), i nuovi parametri tariffari (D.M. n. 140/2012) trovavano applicazione allorquando la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla loro entrata in vigore e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data non aveva ancora completato la propria prestazione professionale, benché tale prestazione avesse avuto inizio e si fosse in parte svolta quando ancora erano in vigore le tariffe abrogate. Nel caso di specie, la prestazione professionale dei legali si era esaurita completamente sotto il vigore delle precedenti tariffe (D.M. n. 127/2004), pertanto trovano applicazione le tariffe precedenti;
infondata era l’eccezione di incompetenza per materia, che innanzitutto si palesava tardiva ai sensi dell’art. 38 cod. proc. civ., in quanto elevata unicamente nella comparsa conclusionale in appello. In ogni caso, essa era destituita di fondamento, atteso che tutte le parti in causa, compresi gli appellati, avevano domandato al giudice adìto di determinare le modalità di uso dell’area comune, e che solo
l’aspetto della sosta ai fini del parcheggio veniva regolato dalla decisione impugnata, così rimediando il giudice di prime cure ad un ormai conclamata e persistente inerzia dei comunisti sul punto.
La suddetta pronuncia viene impugnata per la cassazione da NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il ricorso è affidato a sei motivi illustrati da memoria.
Resistono NOME COGNOME e NOME COGNOME depositando controricorso illustrato da memoria.
Restano intimati i comproprietari indicati in epigrafe.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione di legge, ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., in relazione alla violazione e falsa applicazione degli artt. 1102, 1118 e 1117 cod. civ. In tesi: la decisione impugnata è palesemente erronea, configurando la falsa applicazione dell’art. 1102 cod. civ. non solo perché sottrae ai legittimi partecipanti del Condominio il potere dispositivo del loro diritto di comproprietà (lo conferisce in modo esclusivo secondo «turni»), ma anche perché le modalità di utilizzo stabilite dal Tribunale violano il principio dell’uso paritario della cosa comune dettato dall’art. 1102 cod. civ. (visto il numero dei comproprietari, chi ha meno millesimi perderebbe nella sostanza la possibilità di uso del proprio diritto). Più in dettaglio: a giudizio dei ricorrenti l’utilizzo turnario dei posti auto può essere previsto solo ove approvato o contrattualmente o dall’assemblea con le maggioranze di legge; qualora la superficie del cortile non sia sufficiente al parcheggio contemporaneo di tutti i condomini, l’assemblea può validamente adottare modalità di utilizzo «a turno» o «a rotazione». Trattandosi di una limitazione di godimento di proprietà, l’uso non paritario della cosa comune deve essere approvato contrattualmente o
all’unanimità assembleare. L’approvazione non può essere sostituita dalla decisione del giudice, se non in sede di impugnazione nei termini di legge della delibera assembleare che approva il relativo regolamento.
Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione di legge, ex art. 360, comma 1, n. 1) cod. proc. civ., in relazione al difetto di giurisdizione. Sostengono i ricorrenti che mancherebbe la giurisdizione del giudice, illegittimamente surrogatosi alla volontà dei condomini; volontà che, per disposizione codicistica, deve essere espressa tramite l’attivazione della procedura assembleare prevista dall’art. 1138 cod. civ., sia per la formazione che per la modifica del Regolamento di Condominio. Quanto proposto dal CTU, e fatto proprio dal Giudice, è un vero e proprio regolamento condominiale sui generis riferito alla corte comune, atteso che attribuisce secondo rotazione e con riferimento alle tabelle condominiali (fatte ad hoc dal CTU di primo grado) l’uso esclusivo per determinati periodi di tempo ai condomini.
Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione di legge, ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., in relazione alla violazione e falsa applicazione degli artt. 1118, 1117 e 1117bis cod. civ. Osservano i ricorrenti che solo un regolamento di natura «contrattuale» (cioè, approvato all’unanimità) può escludere o limitare i diritti di uno o più condòmini dal parcheggio. Nel caso che ci occupa, di contro, il regolamento della comunione, rispetto alla corte in contestazione, è stato non proposto ma statuito dai giudici di prime e di seconde cure, secondo l’esercizio turnario parametrato a tabelle millesimali mai votate dall’assemblea.
I primi tre motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto tutti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha
regolamentato l’utilizzo del parcheggio e sosta nell’area cortilizia secondo un criterio complesso, fondato sulla turnazione quantitativamente parametrata al valore della quota millesimale posseduta da ciascun comproprietario, prescindendo da un documento contrattuale approvato dai comproprietari ovvero da una delibera adottata con le maggioranze di legge.
Essi sono fondati per le ragioni che seguono.
3.1. L’accertamento, da parte del giudice, che l’uso del bene comune, fatto da taluni dei partecipanti alla comunione, renda impossibile o menomi l’esercizio del diritto degli altri comproprietari, agli effetti dei limiti stabiliti dall’art. 1102 cod. civ., legittima ciascuno dei comproprietari a chiedere al giudice la rimozione delle opere che alterino e sconvolgano il rapporto di equilibrio della comunione, al fine di veder tutelato il loro diritto reale sulla cosa comune e di impedire il consolidarsi di una situazione illegittima, oltre che a pretendere l’eventuale risarcimento del danno, così verificando, in negativo, un limite all’esercizio del potere del singolo di servirsi della res , ma non consente una pronuncia conformativa che contenga le norme circa l’uso futuro della cosa stessa.
3.1.1. Di contro, la legge rimette la determinazione dei criteri di miglior godimento della cosa comune alla regola dell’amministrazione congiuntiva della res , a sua volta fondata sul principio maggioritario, il quale consegna la volontà dei comunisti al l’approvazione di un regolamento per l’ordinaria amministrazione e per il godimento della cosa comune, ex art. 1106, comma 1, cod. civ., con la maggioranza dei partecipanti, calcolata secondo il valore delle loro quote ex art. 1105, comma 1, cod. civ.
3.1.2. I comproprietari, dunque, possono ricorrere all’intervento sostitutivo dell’autorità giudiziaria nell’interesse della res , ai sensi
dell’art. 1105, comma 4, cod. civ., se intendono evitare il pregiudizio che possa derivare alla cosa comune in presenza di una paralisi gestionale, perché non si prendono i «provvedimenti necessari per l’amministrazione» della stessa o non si forma una maggioranza, ovvero perché la deliberazione adottata non viene eseguita.
La previsione, ad opera del menzionato art. 1105, comma 4 cod. civ., dello specifico rimedio del ricorso, da parte di ciascun partecipante, all’autorità giudiziaria perché adotti gli opportuni provvedimenti è limitata alla sede della volontaria giurisdizione (ivi compresi gli atti di conservazione), e preclude, dunque, al singolo partecipante alla comunione di rivolgersi al giudice in sede contenziosa per ottenere provvedimenti di utilizzo della res , ai fini della sua amministrazione nei rapporti interni tra i comunisti (Sez. 2, Sentenza n. 18038 del 28/08/2020, Rv. 658947 -02; Sez. 2, Sentenza n. 11802 del 18/06/2020, Rv. 658269 -01; Sez. 3, Sentenza n. 8876 del 08/09/1998, Rv. 518668 -01; Cass. Sez. U, 19/07/1982, n. 4213).
Non è, di contro, altrimenti consentito ricorrere al giudice per ottenere determinazioni finalizzate al «migliore godimento» delle cose comuni, ovvero l’imposizione di un regolamento contenente norme circa l’uso delle stesse, spettando unicamente al gruppo l’espressione della volontà associativa di autorganizzazione contenente i futuri criteri di comportamento vincolanti per i partecipanti della comunione.
Ne consegue che il giudice può eventualmente annullare la norma regolamentare di produzione privata (Sez. 2, Sentenza n. 12291 del 07/06/2011, Rv. 618056 – 01) che sia stata impugnata a norma dell’art. 1107, comma 1, cod. civ., ma non può modificare
quest’ultima nel senso di dettare una diversa regola in sostituzione di quella annullata o crearne una ex abrupto .
3.2. Nel caso che ci occupa, gli attori in primo grado avevano chiesto al giudice di «determinare le modalità d’uso della corte in merito al diritto di sosta appartenente ad ognuno in forza del diritto di comproprietà sulle corte medesima». A tale richiesta il giudice di prime cure ha dato risposta -confermata nella pronuncia qui impugnata -approntando un regolamento rivolto all’utilizzo della corte comune per sosta e parcheggio di veicoli, basata su un complesso elaborato peritale volto a disciplinare il transito, il parcheggio turnario e la sosta nella corte, che però sottrae illegittimamente alla volontà dei comunisti la regolamentazione dell’utilizzo della cosa comune .
In tema di utilizzo della cosa comune, va dunque applicato il seguente principio di diritto: ‘ Non è consentito ricorrere al giudice in sede contenziosa per ottenere determinazioni finalizzate al «migliore godimento» delle cose comuni, ovvero l’imposizione di un regolamento contenente norme circa l’uso delle stesse, spettando unicamente al consorzio strutturato di persone esprimere la volontà associativa di autorganizzazione contenente i criteri di comportamento vincolanti per i partecipanti della comunione. Ne consegue che il giudice può eventualmente annullare la norma regolamentare di produzione privata che sia stata impugnata a norma dell’art. 1107, comma 1, cod. civ., ma non può modificare quest’ultima nel senso di dettare una diversa regola in sostituzione di quella annullata ‘.
3.3. In definitiva, essendo la domanda degli attori improponibile, la pronuncia merita di essere cassata.
4. Con il quarto motivo si deduce violazione e falsa applicazione di legge, ex art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ., per mancata valutazione della incisione del diritto di comproprietà dei ricorrenti. La Corte territoriale, nella sua decisione, non ha minimamente considerato un elemento fattuale discusso nel corso di giudizio e sollevato nei motivi di appello, ovvero la ricaduta sugli odierni ricorrenti del regolamento proposto dal CTU e confermato in appello. Più precisamente: la signora COGNOME risultava esclusa dalla turnazione; allo stesso modo era esclusa dalla turnazione la signora NOME pur essendo proprietaria nell’edificio di un appartamento e di un negozio con magazzino.
5. Con il quinto motivo si deduce violazione e falsa applicazione di legge, ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., in relazione alla violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. e in relazione all’art . 9, comma 2, primo periodo, del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 e alla mancata applicazione del D.M. 140/2012. Sostengono i ricorrenti che la Corte d’appello non avrebbe verificato la soccombenza reale nel giudizio di primo grado. E infatti: fra gli attori e le convenute di primo grado l’unico motivo di contrasto era costituito dalla installazione della piccola recinzione: una volta rimossa prima della costituzione in giudizio, poteva essere dichiarata la cessazione della materia del contendere con eventuale accollo delle spese in misura limitata. La causa era, invece, proseguita per decidere sulla domanda accertativa del diritto di comproprietà sulla corte e la regolamentazione dell’uso della stessa. La chiamata in causa delle altre parti non era stata necessitata dalla costituzione delle signore NOME COGNOME ma dalla domanda dagli attori di primo grado: le spese per tali chiamate in causa non potevano essere addebitate alle comparenti che,
peraltro, non avevano eccepito la loro proprietà esclusiva del bene e pertanto alla luce del tenore delle loro difese non sarebbe stato necessario chiamare in giudizio tutti gli altri comproprietari.
Con il sesto motivo si deduce violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. in relazione alla violazione del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 e alla mancata applicazione del D.M. 140/2012. Osservano i ricorrenti che la Corte di Appello aveva respinto il motivo di gravame concernente le nuove tariffe applicabili in quanto, a suo dire, l’attività legale sarebbe terminata con il deposito delle comparse conclusionali e non con la pubblicazione della sentenza. A giudizio dei ricorrenti tale motivazione sarebbe errata, avendo la Corte di legittimità, in materia di liquidazione di parcelle professionali, precisato che solo dal momento della pubblicazione della sentenza nasceva il diritto al compenso.
Avendo il Collegio accolto i primi tre motivi del ricorso, il quarto, quinto e il sesto restano assorbiti.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la sentenza impugnata deve essere cassata senza rinvio, ex art. 384 comma 2° c.p.c.
Stante la rilevanza del caso, le spese dei due giudizi di merito devono essere compensate.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara fondati i primi tre motivi del ricorso, assorbiti i restanti;
cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, annulla il regolamento giudiziale disciplinante l’utilizzo della cosa comune ;
compensa le spese dei giudizi di merito;
condanna la parte controricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore del ricorrente, che liquida in €. 3 .000,00 per compensi, oltre ad €. 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda