Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 17038 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 17038 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 25/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7902/2024 R.G. proposto da: COGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
– controricorrente –
nonché contro
COGNOME
– intimato –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI NAPOLI n. 258/2024, depositata il 23/01/2024;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
COGNOME NOME, proprietario di un immobile sito in Caserta facente parte del Condominio RAGIONE_SOCIALE, conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di S.M. Capua Vetere NOME COGNOME, quale titolare del bar «RAGIONE_SOCIALE», e NOME COGNOME, quale proprietario dell’immobile concesso in locazione a NOME COGNOME, al fine di far cessare ogni turbativa e molestia consistita in opere e manufatti realizzati da COGNOME su un ‘ area di proprietà condominiale, insistente tra il fabbricato e la strada comunale.
A sostegno della sua pretesa, il condòmino COGNOME esponeva che -in diverse date -il convenuto aveva realizzato un gazebo ancorato al cordolo di delimitazione del marciapiede di proprietà condominiale; un’altra struttura per reggere una tenda motorizzata in plastica impermeabile, costituita da elementi in metallo stabilmente ancorati; aveva circoscritto l ‘area occupata installando due grossi travi orizzontali in legno, ciascuna a sostegno di una coppia di tende avvolgibili in plastica trasparente agganciate a coppie di fioriere con vasi in cemento, così da poter chiudere perimetralmente e quasi completamente lo spazio sottostante la tenda motorizzata di copertura. Con tali opere, a giudizio dell’attore, era stato impedito il libero utilizzo dell’area ai condòmini, limitando l’uso dell’area comune, ostacolando la sosta ed il passaggio; occupando stabilmente l’area condominiale; alterando il decoro architettonico del fabbricato.
Chiedeva, infine, il risarcimento dei danni arrecati.
1.1. Il Tribunale adìto accoglieva la domanda proposta da NOME COGNOME condannava i convenuti alla rimozione totale dei manufatti
realizzati sul marciapiede sulla facciata condominiale e al ripristino dello status quo ante .
La sentenza veniva impugnata da NOME COGNOME innanzi alla Corte d’Appello di Napoli, che rigettava il gravame sostenendo per quanto ancora qui di interesse:
-dall’istruttoria espletata, corredata anche da numerose fotografie sullo stato dei luoghi, e dalla CTU, è emerso che le opere, realizzate in tempi diversi dal Vazzano, hanno in concreto ridotto per i condòmini l’utilizzo delle parti comuni;
-in ogni caso, l’alterazione del decoro architettonico di un fabbricato si verifica non già quando si mutano le originali linee architettoniche, ma quando la nuova opera si rifletta negativamente sull’insieme dell’armonico aspetto dello stabile, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l’edificio;
-il regolamento condominiale non può vietare l’installazione di tende ma può disciplinarla indicando forme, dimensioni e colore al fine di mantenere il decoro dell’edificio. La struttura e la tenda realizzate nel 2010 non hanno conservato le caratteristiche della tenda precedentemente esistente dal 1987 (evidentemente non lesiva del decoro architettonico, in considerazione di mancate pregresse contestazioni da parte dei condomini);
la natura condominiale del marciapiede è stata riconosciuta ed ammessa dalla parte convenuta in tutte le difese di primo grado. Concordemente, dunque, il marciapiede, oggetto di causa, è stato riconosciuto non appartenente al Comune di Caserta e, a norma dell’art. 1117 cod. civ. (nella nuova formulazione di cui alla legge n. 220/2012), sussiste la presunzione di appartenenza al condominio, presunzione di comproprietà condominiale superabile soltanto con un
titolo contrario, avente forma scritta, la cui esistenza deve essere dedotta e dimostrata da colui che vanti la proprietà esclusiva del bene.
La suddetta pronuncia è impugnata per la cassazione da NOME COGNOME e il ricorso affidato ad un unico motivo.
Resiste NOME COGNOME
In prossimità dell’adunanza entrambe le parti hanno depositato memoria.
A séguito della proposta di definizione accelerata del Consigliere Delegato dal Presidente di Sezione, il ricorrente ha chiesto la decisione ex art. 380bis, comma 2, cod. proc. civ.
E’ opportuno precisare che, alla luce della decisione di questa Corte resa a Sezioni Unite (Cass. Sez. U., n. 9611 del 10.04.2024), e per le ragioni ivi chiarite, la partecipazione del Consigliere Delegato, proponente ex art. 380bis cod. proc. civ., come componente del Collegio che definisce il giudizio, non rileva quale ragione di incompatibilità, ai sensi dell’art. 51, comma 1, n. 4 e dell’art. 52 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con un unico motivo, articolato in diverse censure, il ricorrente deduce la violazione e/o errata applicazione degli artt. 1122, 1102, 1117 e 1350 cod. civ., in relazione agli artt. 2, 3, 13, 22, 27 e 32 della Costituzione, ed art. 112 e 132 cod. proc. civ., ex art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 cod. proc. civ. Quanto all’alterazione del decoro architettonico: a giudizio del ricorrente la Corte napoletana ha ignorato le critiche dell’appellante alle conclusioni della CTU, nonché la richiesta di rinnovazione della stessa, limitandosi ad aderire completamente alle risultanze della consulenza d’ufficio, invece di trarne autonome e logiche conclusioni. Ne deriva che la sentenza impugnata va ultrapetitum nella parte in cui afferma che le opere eseguite dal
Vazzano eliderebbero e ridurrebbero in modo apprezzabile le utilità conseguibili della cosa comune da parte degli altri condòmini, rappresentando pregiudizio per invadenze dell’ambito dei coesistenti diritti degli altri proprietari. L’art. 1122 cod. civ. è stato travisato ed erroneamente applicato al caso in esame, atteso che la domanda originariamente proposta dall’attore aveva ad oggetto la rimozione di una tenda. Né nel caso in esame può dirsi dedotta l’esistenza di una tenda contraria ai regolamenti condominiali, posto che la tenda per la quale è stata disposta la rimozione, attualmente fissata sotto il balcone del primo piano, utilizza gli stessi ancoraggi di una precedente tenda a bracci di lunghezza equivalente, installata già nel 1987 quando fu iniziata l’attività di bar. Con una seconda censura si contesta l’accertamento della proprietà del marciapiede in capo al condominio in assenza dei presupposti di legge, ossia in assenza della partecipazione di tutti i condòmini e in violazione dell’art. 1350 cod. civ. che prescrive la prova scritta in tema di acquisizione della proprietà immobiliare. Né è chiaro dalla motivazione della sentenza impugnata in qual modo parte convenuta avrebbe riconosciuto e ammesso, in tutte le difese di primo grado, la proprietà condominiale del marciapiede di cui è causa.
1.1. Il motivo è inammissibile sotto diversi profili.
1.2. Innanzitutto, si rileva l’inammissibilità della censura elevata con riferimento al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., atteso che si è in presenza di una c.d. «doppia conforme».
Sul punto, occorre precisare che (diversamente da quanto argomentato nel controricorso, p. 12), nonostante l’abrogazione da parte del d.lgs. 149/2022 dell’art. 348 -ter cod. proc. civ., contenente la disciplina relativa alla preclusione derivante dalla omogeneità di pronunce nei due gradi di giudizio di merito, cui consegue l’esclusione
della possibilità di ricorrere in cassazione per «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti», tale disposto ha trovato piena trasposizione nella nuova formulazione dell’art. 360, comma 4, cod. proc. civ. (così come modificato ex art. 3, comma 27, d.lgs. n. 149/2022, contenente disposizioni che hanno effetto a decorrere dal 1° gennaio 2023, quindi applicabile al caso che ci occupa, essendo il ricorso notificato il 25.03.2024); ragione per cui può essere utilizzata a sostegno la medesima giurisprudenza applicabile ai giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere da tale data, dunque anche al presente giudizio.
1.3. Passando all’esame delle censure proposte ai sensi del n. 3 dell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ., il Collegio le ritiene inammissibili in quanto costituisce principio di diritto consolidato quello secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità ( ex multis , Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 7643 del 2024; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 -02; Sez. 1 – Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017, Rv. 645538 -03; Sez. L, Sentenza n. 195 del 11/01/2016, Rv. 638425 -01).
Nella fattispecie concreta si è al di fuori del perimetro del vizio: il rilievo critico, per come è formulato, attiene a profili meritali ed investe l’apprezzamento del materiale istruttorio, che è prerogativa del giudice di merito.
1.3.1. Tanto è vero innanzitutto con riferimento all’asserita adesione passiva della Corte territoriale alle risultanze della CTU, atteso che il giudice d’appello si è premurato di specificare che il giudice di prime cure non aveva condiviso in modo acritico le risultanze della consulenza, poiché dall’istruttoria, corredata anche da numerose fotografie sullo stato dei luoghi, è perfettamente riconoscibile il ridotto ed ostacolato utilizzo da parte dei condomini della zona marciapiede, perché occupata da ten de perimetrali atte a circoscrivere l’area, tavolini con sedie, pilastri e fioriere (v. sentenza p. 10, ultimo capoverso).
1.3.2. Anche con riferimento all’asserita ultrapetizione, il Collegio non rinviene alcuna violazione di legge, semmai affermazioni meritali: la Corte territoriale ha ritenuto sussistente la compressione dei diritti degli altri condòmini (v. sentenza p. 10) in risposta alla domanda proposta dall’attore originario come riportata in sentenza nelle parti rilevanti (v. sentenza p. 3, ultimo capoverso) -che faceva espresso riferimento alla limitazione, se non preclusione, dell’uso dell’area condominiale.
1.3.3. Quanto, infine, alla censura relativa alla titolarità del marciapiede oggetto di contestazione, essa è inammissibile perché nuovamente attinge il convincimento del giudice del merito, sollecitando un riesame innanzi a questa Corte.
La Corte territoriale, infatti, ha ricondotto la sussistenza della c.d. presunzione di condominialità ex art. 1117 cod. civ. sia al fatto che il marciapiede fosse stato riconosciuto in atti come non appartenente al Comune di Caserta; sia alla non contestazione dell’allora convenuto, emergente dalla comparsa di costituzione in primo grado, ove il comparente aveva dichiarato che l’attività commerciale era stata da lui iniziata il 16.09.1987 « con il permesso dell’amministratore e dei
condòmini»: con ciò implicitamente riconoscendo in capo a questi ultimi la titolarità sul bene (marciapiede) sul quale egli si accingeva a sviluppare la gestione del bar (v. sentenza p. 12, 3° e 4° capoverso).
Del resto, è noto che l’individuazione delle parti comuni (nella specie, la porzione di marciapiede in contestazione) operata dall’art. 1117 cod. civ. non si limita a formulare una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i condòmini, vincibile con qualsiasi prova contraria; tale «presunzione» -che si sostanzia, nelle specie, nell’essere la porzione di marciapiede necessaria all’uso comune , ai fini dell’agile passaggio nella zona di ingresso allo stabile – dispensa il condominio o i singoli condòmini dalla prova del diritto, essendo, piuttosto, onere del singolo condòmino dare prova di un titolo contrario (per tutte: Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 32432 del 22.11.2023).
In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso.
Le spese seguono la soccombenza come da dispositivo, da distrarsi in favore del difensore dichiaratosi in ricorso antistatario.
Essendo la decisione resa nel procedimento per la definizione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380-bis cod. proc. civ. (novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), con formulazione di istanza di decisione ai sensi dell’ultimo comma della norma citata, e il giudizio definito in conformità alla proposta, parte ricorrente deve essere, inoltre, condannata al pagamento delle ulteriori somme ex art. 96, commi 3 e 4 cod. proc. civ., sempre come liquidate in dispositivo (sulla doverosità del pagamento della somma di cui all’art. 96, comma 4, cod. proc. civ. in favore della Cassa delle Ammende: Cass. S.U. n. 27195/2023).
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso;
condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore del controricorrente, che liquida in €. 1.800,00 per compensi, oltre a €. 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%, da distrarsi in favore del difensore che ne ha fatto richiesta;
condanna, altresì, parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96, comma 3 cod. proc. civ., al pagamento a favore della parte controricorrente di una somma ulteriore di € . 500,00 equitativamente determinata, nonché -ai sensi dell’art. 96, comma 4 cod. proc. civ. – al pagamento della somma di €. 500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda