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Uso marchio altrui keyword: la decisione del Tribunale

Un’azienda ha utilizzato il marchio rinomato di un concorrente come parola chiave su una nota piattaforma di e-commerce per promuovere i propri prodotti. Il Tribunale ha emesso un’ordinanza inibitoria, ritenendo tale pratica una violazione del marchio e un atto di concorrenza sleale. La decisione si fonda sul fatto che l’uso marchio altrui keyword in questo modo sfrutta indebitamente la notorietà del concorrente, deviando la clientela senza presentare una valida alternativa commerciale.

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Uso Marchio Altrui come Keyword: Il Tribunale Pone un Freno alla Concorrenza Sleale Online

L’utilizzo di marchi celebri come parole chiave nelle campagne pubblicitarie online è una pratica diffusa, ma quando supera il limite della concorrenza leale? Una recente ordinanza cautelare ha fornito chiarimenti cruciali, analizzando un caso di uso marchio altrui keyword su una delle più grandi piattaforme di e-commerce. Il provvedimento stabilisce che, in determinate condizioni, questa strategia non solo è scorretta, ma integra una vera e propria violazione dei diritti di proprietà intellettuale.

I Fatti di Causa

Una nota società, titolare di un marchio molto conosciuto nel settore dei prodotti per la casa, ha scoperto che un’azienda concorrente utilizzava sistematicamente i suoi marchi registrati come parole chiave per sponsorizzare i propri prodotti sulla più importante piattaforma di vendita online. In pratica, quando un utente cercava il prodotto della società rinomata, tra i primi risultati sponsorizzati compariva quello della concorrente.

La società danneggiata ha quindi presentato un ricorso d’urgenza al Tribunale, lamentando non solo la violazione dei propri marchi, ma anche una condotta di concorrenza sleale. A suo dire, il concorrente stava sfruttando la sua notorietà per deviare la clientela e per appropriarsi indebitamente dei frutti dei suoi investimenti pubblicitari, una pratica definita come ‘agganciamento parassitario’.

L’Uso Marchio Altrui Keyword e la Decisione del Tribunale

Il Tribunale ha accolto il ricorso, emettendo un’ordinanza inibitoria. Ha ordinato alla società concorrente di cessare immediatamente l’utilizzo dei marchi della ricorrente come keyword per le sue campagne pubblicitarie sulla piattaforma di e-commerce. Inoltre, ha vietato la commercializzazione di prodotti che riportassero segni distintivi confondibili con quelli della società ricorrente.

La decisione del giudice si basa su un’attenta valutazione della liceità dell’uso di marchi altrui come keyword pubblicitarie, un tema ampiamente dibattuto nella giurisprudenza europea e nazionale. Il punto focale è la funzione del marchio: non solo indicare l’origine di un prodotto, ma anche garantire la qualità e consolidare la reputazione attraverso la pubblicità.

Le motivazioni

Il provvedimento del Tribunale si fonda su argomentazioni precise e ben definite. L’analisi del giudice ha toccato i punti nevralgici della tutela del marchio e della concorrenza leale nell’era digitale.

La Violazione della Funzione del Marchio

Il giudice ha stabilito che l’uso marchio altrui keyword è illecito quando pregiudica le funzioni essenziali del marchio. In questo caso, la pubblicità del concorrente non permetteva all’utente medio di capire facilmente se i prodotti offerti provenissero dall’azienda titolare del marchio cercato o da un terzo. L’annuncio non presentava una chiara alternativa, ma creava un’ambiguità che sfruttava la notorietà del marchio rinomato per intercettare i suoi clienti. Questo comportamento è stato considerato lesivo della funzione di indicazione di origine e di investimento pubblicitario del marchio.

La Concorrenza Sleale per Agganciamento Parassitario

Oltre alla violazione del marchio, il Tribunale ha riconosciuto la sussistenza di un’ipotesi di concorrenza sleale per ‘agganciamento parassitario’. La società resistente non si era limitata a un singolo episodio, ma aveva posto in essere una strategia sistematica volta a sfruttare la scia del concorrente più noto. Utilizzando i suoi marchi come keyword, si agganciava alla sua reputazione commerciale, appropriandosi dei risultati degli sforzi e degli investimenti altrui senza sostenere i relativi costi. Questa condotta è stata ritenuta contraria ai principi di correttezza professionale.

La Necessità del Provvedimento d’Urgenza

Infine, il Tribunale ha ritenuto sussistente il cosiddetto periculum in mora, ovvero il rischio di un danno grave e irreparabile. La continuazione della condotta illecita avrebbe causato un progressivo indebolimento della forza distintiva del marchio rinomato e un costante sviamento di clientela. Tali danni, per loro natura, non sarebbero facilmente quantificabili e risarcibili in un momento successivo, rendendo necessario un intervento immediato e inibitorio.

Le conclusioni

Questa ordinanza rappresenta un importante monito per tutte le aziende che operano online. L’uso di un marchio altrui come keyword non è di per sé vietato, ma deve rispettare confini precisi. È lecito se l’annuncio propone una chiara e leale alternativa, senza generare confusione nel consumatore e senza denigrare o imitare il concorrente. Al contrario, quando la pratica mira a sfruttare parassitariamente la notorietà altrui, diluendone il valore e sviandone la clientela, si sconfina nell’illecito. Le imprese devono quindi definire le proprie strategie di marketing digitale con attenzione, per non incorrere in violazioni che possono portare a severe sanzioni giudiziarie.

È sempre vietato usare il marchio di un concorrente come keyword per la propria pubblicità online?
No, non è sempre vietato. Secondo il provvedimento, è lecito se l’annuncio consente all’utente di distinguere chiaramente i prodotti e se l’offerta costituisce una reale alternativa, senza denigrare o imitare il marchio del concorrente. Diventa illecito quando l’uso della keyword mira a sfruttare la notorietà del marchio altrui per deviare la clientela verso i propri prodotti in modo ingannevole.

Cosa si intende per ‘agganciamento parassitario’ in questo contesto?
Per ‘agganciamento parassitario’ si intende una strategia commerciale con cui un’impresa si appropria sistematicamente dei risultati degli sforzi di un concorrente, imitando le sue iniziative e sfruttandone la notorietà per trarre vantaggio senza sostenere i relativi costi. Nel caso specifico, consisteva nell’uso del marchio altrui come keyword e nell’imitazione di elementi distintivi dei prodotti.

Perché il Giudice ha concesso un provvedimento d’urgenza (inibitoria)?
Il Giudice ha concesso l’inibitoria perché ha ravvisato il ‘periculum in mora’, ossia il rischio di un danno grave e irreparabile. Questo danno consisteva nella continua diluizione della forza distintiva del marchio della società ricorrente e nello sviamento della clientela, pregiudizi che non potrebbero essere pienamente risarciti economicamente in un secondo momento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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