Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6515 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 6515 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4677/2021 R.G. proposto da : COGNOME COGNOME NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrenti-
contro
COGNOME NOME
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BRESCIA n. 1050/2020 depositata il 09/10/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La controversia riguarda l’uso di un cortile di proprietà comune alle parti. NOME COGNOME conveniva dinanzi al Tribunale di Bergamo NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, proprietari degli immobili confinanti, per la rimozione di recinzioni, materiali di cantiere e pavimentazione in beole dal cortile comune, esponendo che tali opere impedivano il pieno godimento della cosa
comune, e domandava altresì il risarcimento dei danni conseguenti. I convenuti deducevano la legittimità dell’utilizzo delle aree contestate per fini di cantiere, giustificando l’intervento con la necessità di ristrutturare il fabbricato di loro proprietà. In via riconvenzionale, proponevano un’eccezione di acquisto per intervenuta usucapione relativamente alla porzione pavimentata del cortile.
Il Tribunale di Bergamo, con sentenza del 2016, rigettava le domande attoree e la domanda riconvenzionale di usucapione avanzata dai convenuti.
La Corte di appello di Brescia ha accolto invece il gravame dell’attore COGNOME, ritenendo che le recinzioni e la pavimentazione in beole alterassero la destinazione del cortile comune, in violazione del l’art. 1102 c.c. Ad avviso della Corte territoriale, tali opere rendevano inaccessibile una porzione del cortile agli altri comproprietari e le recinzioni, persistendo da un decennio, non potevano qualificarsi come temporanee. Inoltre, la Corte di merito ha rilevato che il permesso di costruire relativamente a ll’attività di cantiere era scaduto senza che alcuna opera edilizia fosse stata concretamente iniziata. Quanto alla pavimentazione, la Corte bresciana ha considerato che l’inibizione al transito veicolare costituisse un uso esclusivo della cosa comune in contrasto con i principi di comunione. Ha infine condannato gli appellati alla rimozione delle recinzioni e della pavimentazione in beole. Ha altresì rigettato la domanda di risarcimento danni avanzata dall’appellante, ritenendo non provata la sussistenza di un danno concreto.
Ricorrono in cassazione i convenuti con sei motivi, illustrati da memoria . L’attore è romasto intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. – Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 112 e 132 co. 2 n. 4 c.p.c. e 111 co. 6 Cost. per avere la Corte di appello omesso di pronunciarsi sulla specifica eccezione secondo cui la pavimentazione preesisteva al l’ acquisto da parte dei coniugi COGNOME e non
era stata creata durante la ristrutturazione. La Corte non ha preso in considerazione tale eccezione, né ha motivato sul profilo della domanda di accertamento proposta dal COGNOME relativo all’origine della pavimentazione. Più in particolare, l ‘attore chiedeva l’accertamento e la dichiarazione che la pavimentazione in beole fosse stata creata dai coniugi COGNOME durante la ristrutturazione, mentre questi affermavano che la pavimentazione era già presente dal 1980, come dimostrato da documentazione fotografica. Questa contestazione faceva leva anche sulla mancanza di pratiche edilizie da parte loro relative alla pavimentazione. La Corte d’appello, pur accogliendo la domanda di COGNOME e ordinando la rimozione della pavimentazione, non avrebbe analizzato adeguatamente l’eccezione dei COGNOME né fornito una motivazione sufficiente sul punto, limitandosi a considerare la pavimentazione come un uso esclusivo vietato della cosa comune.
Il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per aver la Corte erroneamente considerato come ammesso il fatto che la pavimentazione era stata realizzata dai coniugi COGNOME, in assenza di prova e in contrasto con le difese articolate e documentate. Si sostiene che così la Corte d’appello abbia violato l’art. 115 c.p.c., basando la propria decisione su fatti contestati e privi di prova, ignorando le eccezioni e i documenti prodotti dai convenuti, tra cui fotografie del 1980 che mostrerebbero la pavimentazione già esistente prima del loro acquisto. Si lamenta inoltre una violazione dell’art. 116 c.p.c., in quanto la Corte avrebbe effettuato una valutazione errata delle prove, attribuendo rilevanza ad asserzioni non supportate da riscontri concreti.
Il terzo motivo del ricorso denuncia violazione degli artt. 1102 e 1108 c.c. in relazione alla condanna alla rimozione della pavimentazione in beole. Si sostiene che tale rimozione costituisca una modifica strutturale della cosa comune, che può essere disposta solo previa
delibera a maggioranza dei comproprietari, ai sensi dell’art. 1108 c.c.
I primi tre motivi sono strettamente correlati e possono essere assoggettati ad una pronuncia contestuale.
Essi non sono fondati.
L’infondatezza della censura di violazione dell’art. 112 c.p.c. discende dal principio che « ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia » (così Cass. 2083/2021 con rinvio ad ulteriori precedenti conformi). Opportunamente adattato al caso di specie (quindi riferendolo all’eccezione di cui si discute, proposta dai convenuti ricorrenti) tale è il principio per cui la pronuncia impugnata resiste alla censura di violazione dell’art. 112 c.p.c.
Premesso infatti che è stata accertata come infondata l’eccezione di acquisto della proprietà esclusiva per usucapione della relativa area e che quindi è irrilevante l’epoca di creazione della pavimentazione, legittimamente la Corte di appello ha condannato i convenuti alla rimozione, essendo stato accertato in fatto (v. pag. 8 sentenza) che « gli autoveicoli non possono più transitare nella zona piastrellata ». Del resto, non è neppure contestata l’altra circostanza di fatto dedotta dall’attore e riportata in sentenza a pag. 6 – secondo cui l’area era adibita ad ampliamento della abitazione dei convenuti mediante utilizzo a zona pranzo, spazio da destinare a gioco dei bambini e ricovero per attrezzi da lavoro. Di conseguenza, soggetti all’ordine
di rimozione erano comunque i proprietari dell’abitazione che si avvantaggiavano di tale zona in via esclusiva e contrastante con il diritto ex art. 1102 c.c. degli altri comproprietari di farne parimenti uso, a prescindere dalla materiale installazione della pavimentazione . Pertanto, l’esito d i una pronuncia esplicita sul punto sarebbe stato di rigetto ovvero (il che è lo stesso) ci si trova dinanzi ad un rigetto implicito. Né quindi è stata violata la disciplina sulla motivazione.
Solo per completezza, anche in caso di omessa pronuncia su un motivo di appello, nel giudizio di legittimità, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito sempre che si tratti di questione di diritto che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (tra le tante, v. Sez. 3 – , Ordinanza n. 17416 del 16/06/2023).
Passando al secondo motivo, la censura di violazione dell’art. 115 c.p.c. è inammissibile poiché concerne fatti (gli autori della pavimentazione e l’età della sua installazione) che -come si è visto nel precedente capoverso -sono irrilevanti nella struttura della decisione. La censura di violazione dell’art. 116 c.p.c. è parimenti inammissibile per il costante principio « per il quale, in generale, l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata . Ne consegue che anche tale
accertamento è censurabile in sede di legittimità unicamente nel caso in cui la motivazione stessa risulti talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l’iter logico seguito dal giudice » (così, Cass. 38034 del 2021, con indicazione di ulteriori precedenti e specificazioni.
Quanto al terzo motivo, la censura di violazione degli artt. 1102 e 1108 c.c. (sul presupposto che la rimozione della pavimentazione comporterebbe alterazione vietata senza apposita delibera) è inammissibile perché non coglie la ratio decidend i. La Corte di merito ha accertato il contrario e cioè che la pavimentazione configura un uso illegittimo del bene comune. A pag. 8 della sentenza si legge: « Anche la pavimentazione in beole di parte del cortile, che è posta su un rialzo del fondo delimitato da un cordolo, non realizza un uso più intenso della cosa comune poiché gli autoveicoli non possono più transitare nella zona piastrellata che viene in tal modo ad essere inibita all’uso dei comproprietari » . Sulla inammissibilità del motivo che non coglie la ratio decidendi, vedi tra le molte Cass. 19989/2017.
Il primo, secondo il terzo motivo sono disattesi.
-Il quarto motivo denuncia falsa applicazione dell’art. 1102 c.c. Si critica la decisione di qualificare come illegittimo l’uso del cortile comune per recinzioni temporanee utilizzate durante i lavori di ristrutturazione degli edifici. Si afferma che tali recinzioni erano conformi all’art. 1102 c.c., essendo temporanee e non lesive del diritto degli altri comproprietari.
Il quinto motivo denuncia falsa applicazione dell’art. 1102 c.c. in relazione alla recinzione antistante il fabbricato di proprietà dei convenuti. Si afferma che la recinzione, realizzata con pannelli mobili, era giustificata dalla necessità di proteggere l’area da possibili crolli di materiali pericolanti e quindi costituiva un uso legittimo del bene comune.
Più in particolare, si sostiene che la Corte di appello abbia erroneamente applicato l’art. 1102 c.c. , considerandola preclusiva dell’uso temporaneo del cortile per il cantiere, necessario ai lavori di ristrutturazione del fabbricato. Si sostiene appunto che la recinzione era temporanea e funzionale ai lavori, in conformità ai permessi edilizi concessi. Si evidenzia che la recinzione consisteva in pannelli rimovibili, privi di effetti stabili e facilmente asportabili, e che non vi era stato alcun mutamento irreversibile della destinazione del cortile comune. Si richiama l’art. 1102 c.c., che non prevede un limite temporale per l’uso comune a fini di cantiere, purché non impedisca agli altri comproprietari di fare un uso analogo dell’area. La presenza della recinzione, funzionale alla protezione del cantiere e al deposito di materiali edili, è giustificata dalla necessità di evitare pericoli derivanti dal degrado del fabbricato e dal rischio di caduta di calcinacci. Infine, il ricorso critica l’applicazione della giurisprudenza richiamata dalla Corte di appello, sostenendo che i casi trattati in quelle sentenze fossero inapplicabili alla situazione in esame, poiché riguardavano usi permanenti e non situazioni temporanee legate a cantieri edili.
Sul quarto e il quinto motivo la pronuncia può essere contestuale, poiché essi sono connessi.
Essi sono inammissibili.
Nella parte censurata, la Corte di appello di Brescia ha fondato la propria decisione sul fatto che la recinzione delimitava uno spazio del cortile comune adibito a uso esclusivo degli appellati, impedendo agli altri comproprietari di accedervi. Tale situazione configura un’occupazione vietata dall’art. 1102 c.c., essendosi verificata un’alterazione della destinazione d’uso originaria del cortile, anche se l’area occupata consentiva l’accesso alla parte residua del cortile. La Corte ha richiamato giurisprudenza di questa Corte per affermare che l’uso esclusivo è vietato anche se l’occupazione è temporanea o limitata nello spazio. Inoltre, la Corte ha ritenuto che la recinzione non era
temporanea, considerando che non vi erano stati interventi concreti nonostante il permesso di costruire ottenuto nel 2016 e che il progetto di ristrutturazione non era stato avviato. La fotografia prodotta nel 2019 mostrava lo stesso stato rappresentato nelle immagini precedenti, evidenziando la mancata esecuzione dei lavori e la permanenza dell’area recintata. La Corte ha considerato il permesso di costruire scaduto, poiché rilasciato con validità triennale e non seguito dall’avvio dei lavori. Ha escluso c he gli appellati potessero giustificare l’uso del cortile con un’esigenza di cantiere, ritenendo la recinzione una forma di appropriazione vietata dalla normativa.
Dinanzi ad una motivazione così articolata, le censure di cui al quarto ed al quinto motivo sollecitano un’ alternativa ricostruzione dei fatti rispetto a quella che la Corte ha approntato ed espresso in una motivazione che si sottrae a rilievi valevoli in sede di giudizio di legittimità. Sotto questo profilo, si può rinviare a quanto già argomentato indietro nel rigettare la censura di violazione dell’art. 116 c.p.c.
-Il sesto motivo contesta la liquidazione delle spese effettuata dalla Corte d’appello. Si chiede la condanna dell’attore COGNOME alla rifusione delle spese per tutti i gradi di giudizio.
Il sesto motivo è inammissibile per rigetto dei precedenti motivi.
-In conclusione, il ricorso è rigettato.
Non vi è da pronunciare sulle spese del giudizio poiché la controparte non ha svolto attività difensiva in questa sede.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo uni ficato a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 15/01/2025.