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Uso esclusivo bene comune: quando spetta il risarcimento

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 2365/2025, ha rigettato il ricorso di una comproprietaria che chiedeva un risarcimento per l’uso esclusivo di un immobile ereditario da parte degli altri coeredi. La Corte ha stabilito che l’uso esclusivo del bene comune non genera automaticamente un diritto all’indennità. È necessario che il comproprietario escluso dimostri di aver manifestato una concreta intenzione di utilizzare il bene e che tale utilizzo gli sia stato attivamente impedito dagli altri. In assenza di questa prova, la domanda risarcitoria non può essere accolta.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Civile, Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

Uso esclusivo del bene comune: quando scatta il risarcimento?

La gestione dei beni in comproprietà, specialmente in un contesto di comunione ereditaria, è spesso fonte di complesse controversie legali. Una delle questioni più dibattute riguarda l’uso esclusivo del bene comune da parte di uno o più comproprietari. Quando questo comportamento dà diritto a un risarcimento per coloro che non ne hanno goduto? La recente ordinanza della Corte di Cassazione fornisce chiarimenti decisivi, sottolineando l’importanza della prova a carico di chi si ritiene danneggiato.

I Fatti del Caso

La vicenda giudiziaria ha origine dalla richiesta di una comproprietaria di essere risarcita per i danni derivanti dall’occupazione esclusiva di una villetta, facente parte di una comunione ereditaria, da parte di altri due coeredi. L’occupazione si era protratta per un lungo periodo, dal 1992 fino al 2006. La ricorrente sosteneva che tale utilizzo le avesse impedito di godere del proprio diritto di proprietà, causandole un danno patrimoniale (lucro cessante).

Il Lungo Percorso Giudiziario

Il caso ha avuto un iter processuale particolarmente travagliato. Inizialmente, il Tribunale e la Corte d’Appello avevano dato ragione alla comproprietaria, condannando gli altri eredi al pagamento di una cospicua somma a titolo di risarcimento. Tuttavia, la Corte di Cassazione, con una prima sentenza, aveva annullato la decisione, rinviando il caso alla Corte d’Appello. Il principio stabilito era cruciale: l’utilizzo esclusivo del bene da parte di un comproprietario non è di per sé sufficiente a giustificare una condanna risarcitoria. È necessario dimostrare una violazione dei limiti imposti dall’articolo 1102 del codice civile.

Uso esclusivo del bene comune: la prova dell’impedimento

Nel giudizio di rinvio, la Corte d’Appello ha respinto la domanda della ricorrente, conformandosi ai principi della Cassazione. I giudici hanno evidenziato che la comproprietaria non aveva fornito la prova di una volontà concreta di utilizzare direttamente l’immobile. Anzi, le sue azioni erano principalmente finalizzate a ottenere la divisione ereditaria. Inoltre, non era stato dimostrato un effettivo impedimento da parte degli altri coeredi, i quali, in una missiva, avevano persino manifestato la disponibilità a consentirle l’accesso all’immobile. Contro questa nuova decisione, la comproprietaria ha proposto un ulteriore ricorso in Cassazione, che è stato definitivamente rigettato.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione del giudice di rinvio, ritenendo il ricorso inammissibile. I giudici hanno ribadito che, per ottenere un risarcimento, il comproprietario che non ha goduto del bene deve provare due elementi fondamentali:
1. La propria intenzione di utilizzare il bene: Deve dimostrare di aver manifestato un interesse concreto e attuale a fare uso diretto della cosa comune.
2. L’impedimento da parte degli altri: Deve provare che gli altri comproprietari hanno posto in essere un comportamento attivo volto a impedirgli il pari uso del bene, alterandone la destinazione o negandogli l’accesso.

Nel caso specifico, la ricorrente non ha superato questo onere probatorio. La sua richiesta di risarcimento si basava su una presunta esclusione, ma le prove raccolte indicavano piuttosto un suo interesse primario alla divisione e alla liquidazione della sua quota, piuttosto che al godimento diretto dell’immobile. L’uso più intenso da parte degli altri coeredi, in assenza di un comprovato impedimento, rientra nei limiti di liceità previsti dall’art. 1102 c.c.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida un principio fondamentale in materia di comunione: la tolleranza verso l’uso esclusivo da parte di un comproprietario non può essere successivamente convertita in una richiesta di risarcimento se non si dimostra di essere stati attivamente e illegittimamente esclusi dal godimento del bene. Per i comproprietari, la lezione è chiara: chi intende utilizzare un bene comune deve manifestare tale volontà in modo chiaro e inequivocabile. Solo di fronte a un rifiuto documentato si aprirà la strada per un’eventuale azione risarcitoria. La semplice inerzia non è sufficiente a fondare una pretesa economica.

L’uso esclusivo di un immobile in comproprietà da parte di un solo erede dà automaticamente diritto al risarcimento per gli altri?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’uso esclusivo non è di per sé illecito. Diventa tale e fonda il diritto al risarcimento solo se impedisce attivamente agli altri comproprietari di fare parimenti uso del bene, e tale impedimento deve essere provato.

Cosa deve dimostrare il comproprietario che chiede il risarcimento per non aver potuto utilizzare il bene comune?
Deve dimostrare non solo che gli altri hanno usato il bene in via esclusiva, ma anche di aver manifestato una concreta intenzione di utilizzare il bene e che tale utilizzo gli è stato effettivamente impedito. La semplice astensione dall’uso non è sufficiente.

In questo caso, perché la richiesta di risarcimento è stata respinta in via definitiva?
È stata respinta perché la ricorrente non ha fornito la prova di una volontà effettiva di utilizzare direttamente la villetta, né di un rifiuto concreto da parte degli altri comproprietari. Le sue azioni sono state interpretate come finalizzate principalmente a ottenere la divisione dell’eredità, non a godere del bene in comune.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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