Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2365 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2365 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1150/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME in persona del procuratore generale NOME COGNOME, domiciliata ex lege in Roma, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall ‘ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE.
– Ricorrente –
Contro
COGNOME NOME COGNOME NOME, domiciliati ex lege in Roma, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dall ‘ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE.
– Controricorrenti –
Avverso la sentenza della Corte d’ appello di Milano n. 2742/2020 depositata il 28/10/2020.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 15 gennaio 2025.
Comunione ereditaria
Rilevato che:
NOME COGNOME convenne in giudizio NOME COGNOME e NOME COGNOME chiedendone la condanna al risarcimento dei danni conseguenti all ‘ occupazione dell ‘ immobile in comproprietà fra le parti, sito in Bresso, tra le INDIRIZZO, durata dal 21/02/1992 fino allo scioglimento della comunione operato con contratto di divisione del 10/09/2003, occupazione ancora protratta nel periodo successivo dal settembre 2003 al maggio 2006.
Il Tribunale di Milano, nel contraddittorio dei convenuti, con sentenza n. 7852/2010, condannò questi ultimi a pagare all’attrice euro 201.000 (oltre interessi) e la Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 4325/2013, confermò la sentenza di primo grado.
Questa Corte, con sentenza n. 7019/2019, in accoglimento dei primi due motivi del ricorso di NOME COGNOME e di NOME COGNOME dichiarati assorbiti i restanti quattro motivi, ha cassato con rinvio la sentenza d’appello , sul rilievo che (vedi punto II, pag. 10 delle ‘Ragioni della decisione’) «on valgono a dimostrare automaticamente una illegittima sottrazione, da parte dei comproprietari NOME COGNOME e NOME COGNOME, delle concorrenti facoltà di godimento del bene comune appartenenti a NOME COGNOME, tali da giustificare la condanna risarcitoria per lucro cessante, né le circostanze della utilizzazione esclusiva del bene comune avuta da NOME o della mancata ‘ messa a disposizione ‘ della villetta o del mancato invito a ritirarne le chiavi, né tanto meno la mancata ‘ dissociazione ‘ di NOME dalla condotta del fratello, ove non sia acclarata una violazione dei limiti di liceità dell ‘ uso della cosa comune di cui all ‘ art. 1102 c.c. nei termini sopra ribaditi »;
riassunto il giudizio da parte di NOME COGNOME la Corte d’appello di Milano , nella resistenza dei convenuti, per quanto ancora
di rilievo, ha respinto la domanda dell’attrice in riassunzione, che ha condannato alle spese dei gradi di merito e del giudizio di cassazione, così motivando la propria decisione:
(i) la S.C. ha annullato con rinvio la sentenza della Corte distrettuale accogliendo sia il motivo di ricorso dei fratelli NOME e NOME COGNOME riguardante la mancanza di prova della volontà degli stessi convenuti di escludere NOME COGNOME dall’esercizio di utilizzare la villetta in comproprietà , sia il motivo attinente alla mancanza di prova della violazione dell’art. 1102 c.c. E ciò perché, ad avviso del giudice di legittimità, questa disposizione permette al comproprietario un uso e godimento del bene anche in modo particolare e più intenso, e perfino nella sua interezza, mentre il possesso della villetta da parte dei convenuti potrebbe essere ritenuto illecito e fondare il diritto dell’altro comproprietario all’indennità soltanto se risultassero superati i limiti fissati dalla stessa norma, cioè, se il comproprietario abusasse della cosa comune, alterandone la destinazione o impedendo il pari uso dell’al tro proprietario, aspetti, questi ultimi, che la Corte territoriale non ha appurato;
(ii) posto che l ‘art. 1102 c.c. consente anche l’uso turnario o frazionato della cosa comune, nella fattispecie concreta sarebbe stato possibile un uso frazionato della villetta da parte di NOME COGNOME e di NOME COGNOME perché il primo ne occupava soltanto una parte e sua sorella NOME COGNOME non vi abitava. Inoltre, l’attrice, cui spettava fornirne la prova, non ha dimostrato di avere manifestato l’intenzione di utilizzare la villetta in maniera diretta, avendo essa sempre insistito per conseguire un obiettivo diverso, ossia la divisione ereditaria come risulta dalla documentazione in atti;
(iii) quanto alla prova orale formulata da NOME COGNOME nell’atto di riassunzione, sono inammissibili i capitoli (3, 4, 5) sulla richiesta,
non accolta, direttamente o indirettamente rivolta dall’attrice ai propri cugini di avere libero accesso alla villetta e di riceverne le chiavi, a causa della loro genericità (vedi pag. 9 della sentenza) ‘con particolare riferimento alla correlazione del libero accesso nella villetta ed alle chiavi della medesima rispetto all’intenzione di un godimento diretto della medesima, simultaneamente seppur frazionatamente rispetto al convenuto NOME COGNOME ;
(iv) piuttosto, la missiva del 31/07/2001, in cui si dice che NOME COGNOME può accedere all’immobile ‘in qualunque momento’ , e, ‘previo appuntamento telefonico’ , anche all’appartamento abitato da NOME COGNOME, indica che i convenuti hanno riconosciuto all’attrice la possibilità di accedere all’immobile;
avverso la sentenza del giudice del rinvio, NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con
contro
ricorso, illustrato da una memoria.
Considerato che:
preliminarmente, sono prive di pregio le eccezioni procedurali svolte in controricorso.
In primo luogo, il ricorso per cassazione è ammissibile in quanto è in atti, ed è stata depositata il 27/04/2021, come consentito dall’ art. 372 c.p.c. e nel rispetto del termine decadenziale di cui al secondo comma dello stesso articolo, la procura generale rilasciata dalla parte NOME COGNOME al coniuge NOME COGNOME il quale ha proposto il ricorso per cassazione nella qualità di procuratore speciale della parte sostanziale.
In secondo luogo, il ricorso è -contrariamente a quanto si eccepisce – procedibile, in relazione all ‘art. 369 comma 2 n. 2 c.p.c., perché supera la cd. prova di resistenza (vedi, al riguardo, Sez. 6 – 3, Sentenza n. 17066 del 10/07/2013, Rv. 628540 -01; Sez. 6 – 3,
Ordinanza n. 11386 del 30/04/2019, Rv. 653711 – 01, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 15832 del 07/06/2021, Rv. 661874 – 01) poiché è stato notificato entro la scadenza del termine breve di sessanta giorni, decorrente dalla pubblicazione del provvedimento impugnato; infatti, l a sentenza d’appello è stata pubblicata il 28/10/2020 e il ricorso per cassazione è stato notificato, tramite PEC, in data 28/12/2020, ossia il sessantunesimo giorno perché il sessantesimo giorno -il 27/12/2020 – cadeva di domenica.
Da ultimo, la struttura del ricorso per cassazione soddisfa i requisiti della specificità e dell’autosufficienza (art. 366 comma 1, nn. 3 e 4 c.p.c.) poiché, da un lato, consente alla Corte di conoscere in maniera sufficientemente chiara e completa sia il fatto sostanziale sotteso alla controversia sia la dinamica processuale, senza necessità di ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata, dall’altro , mette la controparte nella condizione di difendersi, come risulta chiaramente dal controricorso, che sviluppa in trentuno pagine (pagg. 10-40) le repliche ai motivi di ricorso.
Passando quindi all’esame dei motivi di ricorso, col primo di essi si denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c. , violazione dell’art. 1102 c.c. , per non avere la sentenza di rinvio qui impugnata rilevato che i convenuti NOME e NOME COGNOME non avevano impugnato, prestando acquiescenza, il capo della sentenza del Tribunale di Milano n. 7852/2010 che li condannava a pagare all’attrice la somma di euro 30.000 a titolo di risarcimento del danno per la mancata riconsegna a quest’ultima della villetta con terreno, in violazione del contratto di divisione del 10/09/2003, sicché la relativa statuizione era passata in giudicato;
il motivo è manifestamente infondato;
è orientamento costante di questa Corte, ribadito anche di recente (Sez. 2, Sentenza n. 12065 del 03/05/2024, Rv. 671484 –
01), quello secondo cui, in tema di giudizio di rinvio prosecutorio (come nella specie), la riassunzione, ponendo le parti nella medesima posizione originaria, impone al giudice del rinvio di decidere la controversia sulla base delle conclusioni già formulate nelle precedenti fasi di merito, sicché, fatta salva l ‘ ipotesi di un eventuale giudicato interno, egli è chiamato a pronunciarsi su tutte le domande ed eccezioni di merito a suo tempo proposte, a prescindere dalla loro formale ed espressa riproposizione.
Nel caso in esame, la ricorrente fa valere un inesistente giudicato interno sul suo diritto al risarcimento del danno, nella misura di euro 30.000, per la violazione del contratto di divisione intercorso tra le parti, ma trascura la circostanza, decisiva, che essa stessa era consapevole che al giudice del rinvio era stata devoluta la cognizione d i tutto quanto l’originario petitum , come si evince con estrema chiarezza dalle conclusioni formulate dall’ attrice in riassunzione dinanzi alla Corte d ‘appello di Milano, riprodotte nella sentenza impugnata (pag. 2), dove , tra l’altro, si chiede di ‘condannare i convenuti al risarcimento ovvero comunque alla corresponsione in favore dell’attrice dell’importo di euro 30.000,00, ovvero quella diversa somma che dovesse essere dimostrata a titolo di indennità per l’occupazione ovvero di danno derivante dall’inadempimento de l contratto di divisione per effetto del ritardo, dal settembre 2003 al maggio 2006, nella consegna della villetta a NOME COGNOME .
Questo con riferimento al la fattispecie concreta all’attenzione del Collegio.
D’altra parte, in termini generali, sempre sul tema della (asserita) acquiescenza alla decisione di primo grado da parte dei convenuti, è indubitabile che, in presenza di un ipotetico ed eventuale giudicato interno derivante dalla sentenza del Tribunale di Milano n.
7852/2010, la SRAGIONE_SOCIALE, nella precedente decisione che ha dato origine al giudizio di rinvio, lo avrebbe sicuramente rilevato, evenienza, questa, che invece non si è verificata.
Si deve infine aggiungere che, nella specie, trova applicazione il seguente principio di diritto: « in tema di giudizio di rinvio, il principio della rilevabilità del giudicato (sia interno che esterno) in ogni stato e grado del giudizio deve essere coordinato con i principi che disciplinano il giudizio di rinvio e, segnatamente, con la prospettata efficacia preclusiva della sentenza di cassazione con rinvio, che riguarda non solo le questioni dedotte dalle parti o rilevate d ‘ ufficio nel giudizio di legittimità, ma anche quelle che costituiscono il necessario presupposto della sentenza, ancorché non dedotte o rilevate in quel giudizio, sicché il giudice di rinvio non può prendere in esame neppure la questione concernente l ‘ esistenza di un giudicato esterno o (come nella specie) interno, qualora l ‘ esistenza di quest ‘ ultimo, pur potendo essere allegata o rilevata, risulti tuttavia esclusa, quantomeno implicitamente, dalla sentenza di cassazione con rinvio » (vedi, in termini, Sez. 1, Sentenza n. 16171 del 30/07/2015, Rv. 636345 -01, Sez. 1, Sentenza n. 2411 del 08/02/2016, Rv. 638507 -01, Cass. n. 31810/2022, in motivazione );
il secondo motivo denuncia ‘sotto altro profilo’, ai sensi dell’art. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c., violazione dell’art. 1102 c.c. : la sentenza è viziata per non avere riconosciuto il diritto della ricorrente all’indennità per il periodo di comproprietà dell’intero compendio immobiliare.
Si ascrive alla CDA di Milano di avere erroneamente affermato che NOME COGNOME era rimasta inerte ed aveva acconsentito a che i convenuti utilizzassero in maniera esclusiva il compendio immobiliare, traendo dall’occupazione evidenti vantaggi, senza considerare che, in
realtà, nel giudizio di rinvio, l ‘attrice – oltre a proporre su tale aspetto della lite capitoli di prova per testi che non erano stati ammessi aveva depositato ampia documentazione idonea a dimostrare che essa stessa, nel corso degli anni (dal 1992 al 2006), direttamente o tramite il marito NOME COGNOME, aveva ripetutamente , ma senza risultato, chiesto ai cugini di potere accedere liberamente e comunque di avere le chiavi di accesso alla villetta, di avere la sua parte e di utilizzare in maniera diretta il bene comune, e che i suoi diritti erano sempre stati negati da NOME Paolo e da NOME COGNOME
il motivo, diviso in due distinte censure, è complessivamente inammissibile.
Innanzitutto, con riferimento al prospettato error in iudicando , è utile ricordare, in connessione con la giurisprudenza sezionale (vedi, tra le altre, Cass. 18/04/2023, n. 10263, e i precedenti ivi indicati), che il vizio di violazione di legge è integrato dalla deduzione di un ‘ erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l ‘ allegazione di un ‘ erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all ‘ esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità.
Inoltre, quanto al secondo profilo, va ribadito il principio affermato dalle Sezioni unite di questa Corte (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053), secondo cui l’art. 360 comma 1 n. 5, c.p.c., così come da ultimo riformulato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di
discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366 comma 1 n. 6, e 369 comma 2, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua «decisività».
Nella specie, la complessa censura sollecita questa Corte di legittimità, in maniera non consentita, a compiere un nuovo esame del merito della causa e offre una diversa interpretazione del materiale probatorio – già vagliato dal giudice del rinvio, il quale ha illustrato con motivazione coerente le ragioni del proprio convincimento -materiale che , nell’ottica della ricorrente, sarebbe idoneo a dimostrare che gli altri proprietari le hanno impedito l’uso dell’intero compendio immobiliare e, a far data dal contratto di divisione del settembre 2003, la disponibilità e il godimento della villetta della quale NOME COGNOME era divenuta proprietaria esclusiva;
in conclusione, il ricorso è rigettato e la ricorrente è condannata al pagamento delle spese processuali;
a i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 5.000,00, più euro 200,00, per esborsi, oltre alle spese generali, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dichiara che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 15 gennaio 2025, nella camera di