Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21117 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21117 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18350/2018 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME , che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME;
-ricorrenti- contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di FIRENZE n. 2760/2017 depositata il 07/12/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso articolato in otto motivi avverso la sentenza n. 2760/2017 della Corte d’appello di Firenze, depositata il 7 dicembre 2017.
Resiste con controricorso NOME COGNOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, 4 -quater , e 380 -bis .1, c.p.c.
I ricorrenti hanno depositato memoria, nella quale hanno anche riferito che in data 14 agosto 2020 è morto NOME COGNOME e che in data 8 aprile 2021 è stato stipulato ‘l’atto di avveramento di condizione sospensiva con ricognizione catastale’ tra NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME .
Pronunciando sulle reciproche domande proposte dall’attore NOME COGNOME e dai convenuti NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, relativi all’area in comproprietà tra i fratelli NOME e NOME sita in INDIRIZZO, INDIRIZZO, ove erano stati realizzati dei lavori in seguito alla ristrutturazione del fabbricato, demolito e ricostruito, di proprietà esclusiva di NOME COGNOME, l’adito Tribunale di Prato, con sentenza del 12 febbraio 2010, così dispose:
‘rigettata ogni altra domanda dell’attore, dichiara che il confine tra l’edificio ristrutturato di proprietà dei convenuti NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME ed il terreno di cui sono comproprietari NOME COGNOME e NOME COGNOME, è costituito dalla facciata dell’edificio (punti CDEF dell’allegato B della CTU); dichiara altresì l’insussistenza di una servitù di scolo delle acque rispettivamente a favore degli appartamenti dei convenuti e a carico del terreno di cui l’attore è comproprietario; condanna i convenuti, in solido, a ripristinare lo stato dei luoghi rimuovendo il marciapiede e le fosse biologiche insistenti sul terreno di cui l’attore è comproprietario
(foglio di mappa 101, mappali 651 e 135); dichiara inammissibile la domanda riconvenzionale di NOME COGNOME; compensa tra le parti le spese processuali e pone le spese di CTU per metà a carico dell’attore e per metà a carico solidale dei convenuti’ .
Pronunciando sui contrapposti gravami, la Corte d’appello di Firenze ha poi così deciso:
‘ in parziale riforma della sentenza n 231/2010 emessa dal Tribunale di Prato in data 12.2.2010 e depositata in pari data, così dispone: 1) Accerta e dichiara l’inesistenza di una servitù di veduta sul fondo comune, anche di proprietà dell’attore in primo grado, a vantaggio dell’edificio di proprietà dei convenuti in primo grado e, per l’effetto, condanna quest’ultimi, alla chiusura e/o alla regolarizzazione secondo le disposizioni vigenti in materia di “luci”, delle finestre e del terrazzo realizzate in occasione dei lavori di ristrutturazione dell’edificio di loro proprietà, meglio identificate e descritte a pag. 7 ella CTU in atti di causa; 2) Compensa tra le parti le spese legali, come sopra liquidate, nella misura di 1/4 e condanna i convenuti nel giudizio di primo grado al pagamento, in favore dell’attore nel giudizio di primo grado, al pagamento … dei restanti 3/4 pari…’.
4. Il primo motivo del ricorso di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME denuncia l’omesso esame ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. con riguardo alla identificazione del confine tra gli immobili di proprietà dei ricorrenti e il terreno comune fra le parti. La sentenza impugnata ha ritenuto di ‘dovere confermare la sentenza appellata laddove, sulla base delle condivisibili risultanze della CTU depositata in data 31.5.2005, ha statuito che il confine tra l’edificio ristrutturato (già di proprietà di NOME COGNOME e da questi alienato, con atto pubblico di compravendita datato 11.2.93 ad NOME COGNOME, il piano terra, nonché ai coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME, il primo piano) e il terreno a comune di proprietà di NOME COGNOME e
NOME COGNOME, è costituito dalla facciata dell’edificio ristrutturato -punti CDEF dell’allegato B della CTU … -‘, in quanto sarebbe risultato dall’istruttoria che ‘ l’edificio ristrutturato si trovava in aderenza al fabbricato poi demolito e che il primo non è stato oggetto, in occasione dei lavori di ristrutturazione, di arretramento ‘, né ‘ vi è prova, in atti, dell’esistenza di alcun valido documento e/o scrittura privata con le quali le parti si erano diversamente accordate in ordine alla linea di confine tra le loro rispettive proprietà dopo le demolizione del fabbricato in comproprietà ‘; aggiungendo che ‘ a nulla può valere, alla luce delle norme che regolano la materia dei diritti reali, la circostanza che tale linea di confine sia stata diversamente indicata nel progetto presentato al Comune in occasione dei lavori di ristrutturazione e per diversi anni, in merito all’utilizzo dell’area comune per la realizzazione delle fosse biologiche e del marciapiede e/o in merito della realizzazione delle aperture nella facciata dell’edificio ristrutturato ‘
Per i ricorrenti i giudici di appello non avrebbero così tenuto conto della volontà, espressa anche per facta concludentia , dei fratelli NOME e NOME nell’interpretare l’atto di divisione del 29 luglio 1974 da loro stipulato.
4.1. Il primo motivo di ricorso è infondato, in quanto, al fine del regolamento dei confini fra proprietà immobiliari, ove il giudice faccia riferimento, come nella specie, alla determinazione dell’oggetto nei titoli inerenti, in ossequio al principio della forma scritta ad substantiam per la costituzione, il trasferimento e la modifica di diritti reali, rileva unicamente ciò che emerge dal testo dei contratti, sulla base di apprezzamento di fatto spettante al giudice del merito.
5. Il secondo motivo del ricorso di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME denuncia l’omesso esame ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. con riguardo al fatto che il fabbricato rurale in
comproprietà fra NOME e NOME COGNOME, poi demolito, fosse originariamente dotato di servizio igienico, nonché al fatto che ‘in quel punto c’era, e c’è sempre stato’ un marciapiede, come documentato dalle fotografie prodotte.
Ed invece, la Corte d’appello di Firenze, nel confermare la decisione di primo grado anche nel capo che aveva ordinato la rimozione del marciapiede e delle fosse biologiche insistenti sul terreno in comproprietà fra NOME e NOME COGNOME, ha sostenuto che tali opere realizzate da NOME COGNOME sull’area comune ‘ma a vantaggio del confinante immobile di sua proprietà esclusiva’, fossero contrarie al disposto dell’art. 1102 c.c.
5.1. Il terzo motivo del ricorso di NOME COGNOME, NOME COGNOME, falsa applicazione dell’art. 1102 c.c. quando alla ritenuta illegittimità della
NOME COGNOME e NOME COGNOME denuncia la violazione e realizzazione del marciapiede e alla installazione delle fosse biologiche.
5.2. Il quarto motivo del ricorso di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1102 e 905 c.c. in relazione alla ritenuta illegittimità della apertura di vedute e della realizzazione del terrazzo nella facciata del fabbricato di proprietà dei ricorrenti.
Al riguardo, la sentenza impugnata ha affermato:
‘ vanno accolte le censure mosse alla sentenza appellata laddove il giudice di primo grado ha ritenuto di qualificare l’area di risulta come cortile comune il cui uso andava assoggettato alle norme sulla comunione in generale e, in particolare, alla disciplina di cui all’art 1102, primo comma, cod. civ. Invero, alla luce degli atti e della compiuta istruttoria, risulta certa l’autonomia delle due confinanti proprietà: l’edificio ristrutturato, già di proprietà esclusiva del sig. NOME COGNOME e oggi dei di lui figli e della nuora, e l’edificio, poi demolito, in comproprietà tra i due fratelli, NOME e NOME COGNOME, in forza
dell’atto di divisione del 1974. Ne consegue che non è possibile configurare l’area di risulta dell’edificio demolito come area condominiale …. Né può applicarsi alla fattispecie la invocata disposizione di cui all’art 1102 cod. civ. … Nella fattispecie, pertanto, il fondo a comune deve considerarsi, per le sue caratteristiche, alla stregua di un fondo altrui e, conseguentemente, va applicata la disciplina di cui all’art 905, primo e secondo comma, cod. civ., con il conseguente riconoscimento, stante che risulta certa e incontestata l’inesistenza di una servitù di veduta a carico del fondo a comune e a vantaggio dell’edificio di proprietà esclusiva, dell’illegittimità delle opere eseguite e meglio descritte a pag. 8 della CTU, in atti, ove si legge “dopo l’avvenuta demolizione del fabbricato in comproprietà fra attore e convenuti, sono state aperte, sulla facciata prospettante l’area di risulta de/fabbricato demolito (vedi foto n 9), due finestre al piano terreno di cui una munita di grata fissa, una finestra al primo piano ed un terrazzo aggettante sull’area comune al quale si accede tramite porta -finestra dell’appartamento a primo piano”.
I ricorrenti evidenziano come ‘del tutto incontestata tra le parti è la circostanza che il terreno di cui si discute, area di risulta derivante dalla demolizione del precedente fabbricato in comproprietà dei Sigg.ri NOME e NOME COGNOME, sia, a sua volta, in comproprietà dei medesimi e come non corrisponda affatto a quanto è emerso nel corso dei due giudizi di merito l’ulteriore deduzione contenuta nella motivazione della gravata sentenza secondo cui risulterebbe certa l’autonomia delle due confinanti proprietà (id est: l’edificio ristrutturato del Sig. NOME COGNOME ed il terreno risultante dalla demolizione del diruto fabbricato rurale prima ivi esistente)’.
5.3. Il quinto motivo del ricorso di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME denuncia nuovamente un omesso esame ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., stavolta con riguardo alla
comproprietà tra NOME e NOME COGNOME del terreno risultante dalla demolizione, avente ‘natura cortilizia’.
5.4. Il secondo, il terzo, il quarto e il quinto motivo di ricorso vanno esaminati congiuntamente e si rivelano non fondati, in quanto consistono in censure che denotano una carenza di diretta riferibilità alla ratio decidendi della sentenza impugnata e perciò si rivelano inidonei a giustificarne la cassazione.
5.5. Appare accertato in fatto che con l’atto di divisione del 29 luglio 1974 NOME e NOME COGNOME divennero comproprietari del fabbricato pericolante esistente sui luoghi di causa. Tale fabbricato venne demolito, facendo estinguere il condominio edilizio preesistente, e rimase quindi in comunione ordinaria pro -indiviso l’area di risulta.
Che prima della demolizione il fabbricato in comproprietà fosse dotato di servizio igienico e attorniato da un marciapiede non rileva, in quanto non era comunque concepibile la costituzione di servitù fra parti della proprietà comune, ostandovi il principio ” nemini res sua servit “.
Il regime di comunione dell’area di risulta comporta, dunque, l’applicabilità dell’art. 1102 c.c., come correttamente ritenuto nella sentenza impugnata, sicché ciascun comproprietario ha diritto di trarre da essa un’utilità più intensa o anche semplicemente diversa da quella ricavata eventualmente in concreto dagli altri comproprietari, purché non ne venga alterata la destinazione o compromesso il diritto al pari uso, e sempre che l’utilità che il comproprietario intenda ricavare dall’uso dell’area comune non sia in contrasto con la specifica destinazione della medesima.
Costituisce accertamento di fatto spettante ai giudici del merito, non sindacabile in sede di legittimità per violazione di norme di diritto, né invocando un diverso esame di circostanze comunque considerate nella sentenza impugnata, verificare se la realizzazione di un
marciapiede o la installazione di fosse biologiche nell’area di risulta dove insisteva il fabbricato demolito ecceda dai limiti posti dall’art. 1102 c.c.
Parimenti, n el caso di comunione di un cortile adiacente ad edificio appartenente alla proprietà esclusiva di uno dei comproprietari del medesimo cortile, l’apertura di vedute da parete di proprietà individuale verso lo spazio comune rimane soggetta alle prescrizioni contenute nell’art. 905 c.c., finendo altrimenti per imporre di fatto una servitù a carico della cosa comune, senza che operi, al riguardo, il principio di cui all’art. 1102 c.c., in quanto i rapporti tra proprietà individuali e beni comuni finitimi sono disciplinati dalle norme che regolano i rapporti tra proprietà contigue o asservite (Cass. n. 26807 del 2019; n. 7971 del 2022).
6. Il sesto motivo del ricorso di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME deduce la nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., per l’omessa pronuncia e l’omessa motivazione sulla domanda ‘volta ad accertare e dichiarare che il sig. NOME COGNOME fosse tenuto a farsi carico, almeno parzialmente, ex art. 1227, primo comma, c.c. e/o per violazione del canone della buona fede, dei costi che si fossero resi necessari -in denegata ipotesi -per il ripristino dello status quo ante’.
Il settimo motivo di ricorso denuncia la mancata applicazione dell’art. 1227 c.c. (Concorso del fatto colposo del creditore), dovendosi condannare NOME COGNOME, ‘totalmente o parzialmente, a farsi carico delle spese necessarie per il ripristino dello stato dei luoghi’, in quanto quest’ultimo ‘assunse e mantenne, durante tutta la durata dei lavori all’esito dei quali vennero realizzati, tra le altre cose, anche il nuovo marciapiede e la fossa biologica per cui è causa, un contegno di tacito (e non solo) consenso, contegno che fa apparire il revirement
occorso a distanza di anni dettato, più che da motivazioni di tutela del proprio asserito diritto di (com)proprietà, dal mero intento di creare un danno al fratello, Sig. NOME COGNOME, con il quale medio tempore, i rapporti si erano incrinati’.
6.1. Sesto e settimo motivo di ricorso possono esaminarsi congiuntamente, perché connessi, e devono essere respinti.
La mancanza di pronuncia e di motivazione sulla dedotta questione di diritto rimane priva di rilievo ai fini della cassazione della sentenza impugnata, apparendo manifesta la infondatezza del problema giuridico sollevato, senza che neppure siano richiesti ulteriori accertamenti in fatto (Cass. Sez. Un., n. 2731 del 2017).
La domanda azionata da un comproprietario in base al disposto dell’art. 1102 c.c., così come l’ actio negatoria servitutis , avente quale fine -nella specie -il ripristino dello ” status quo ante ” di una cosa comune illegittimamente alterata da altro comunista e la eliminazione delle opere lesive del diritto di proprietà, hanno natura reale, in quanto si fondano, rispettivamente, sull’accertamento dei limiti del diritto di comproprietà su un bene e sull’accertamento dell’inesistenza della pretesa servitù, allo scopo di ottenere la effettiva libertà del fondo. Non trattandosi di azioni di natura personale risarcitoria, non trova ad esse applicazione la disciplina del concorso del fatto colposo del creditore di cui all’art. 1227 c.c., che concerne il rapporto tra causa ed evento e il rapporto tra evento e danno ai fini della misura e del contenuto dell’obbligazione di risarcimento.
D’altro canto, alcun rilievo può accordarsi pure al consenso tacito o per facta concludentia espresso dal comproprietario o dal proprietario esclusivo alla costituzione di servitù sul fondo comune o di proprietà individuale, essendo a tal fine prescritta la forma scritta ad substantiam (art. 1350 n. 4 c.c.).
L’ottavo motivo del ricorso di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME deduce la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. I ricorrenti assumono che, avendo la Corte d’appello rigettato in parte anche alcune delle doglianze avanzate da NOME COGNOME, la regolamentazione delle spese che li ha visti gravare dell’obbligo di rimborsare ¾ delle stesse contrasta con le citate norme.
7.1. Anche questo motivo non è fondato.
La riforma, anche parziale, della sentenza di primo grado, come avvenuto nel caso in esame, comporta per il giudice di appello il potere-dovere di rinnovare totalmente, anche d’ufficio, il regolamento di tali spese, alla stregua dell’esito finale della causa.
L’esito finale della lite ha visto accolte le domande di NOME COGNOME relative alla individuazione del confine, alla inesistenza delle servitù di scolo e di veduta ed alla condanna alla riduzione in pristino.
Non vi sono state, quindi, violazioni del principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c., il quale va inteso nel senso che la parte vittoriosa non può essere condannata, neppure per una minima quota, al pagamento delle spese stesse, salvo il caso di accoglimento della domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa.
La valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c., rientrano, infine, nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (tra le tante, Cass. n. 2149 del 2014).
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato, regolandosi secondo soccombenza le spese processuali, liquidate in dispositivo, in favore del controricorrente.
Al rigetto del ricorso consegue altresì la infondatezza della domanda di restituzione ex art. 389 c.p.c. proposta dai ricorrenti nella memoria depositata il 10 maggio 2024.
Sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare le spese sostenute nel giudizio di cassazione dal controricorrente, che liquida in complessivi € 6.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2 Sezione civile