Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1158 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1158 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 11/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 2716-2018 proposto da:
COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOMECOGNOME
– ricorrente –
contro
NOME, domiciliati ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrenti – avverso la sentenza n. 1234/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 06/06/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/12/2022 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME evocava in giudizio innanzi al Tribunale di Aosta NOME COGNOME ed NOME COGNOME, inquilini di uno stabile sito in un complesso immobiliare del quale è proprietario di unità abitativa anche
l’attore. Lamentava l’attore che gli inquilini, di propria iniziativa e senza il consenso dell’altro comproprietario, avrebbero alterato la parte comune in violazione dell’art. 1102 cod. civ., del diritto di proprietà dell’attore e delle norme che regolano l’utilizzo ed il godimento delle parti comuni degli immobili. Costituitisi, i convenuti chiedevano, in via riconvenzionale, di accertare e dichiarare che la realizzazione di un nuovo balcone ad opera del Rodà era stata eseguita in violazione del disposto dell’art. 1102 cod. civ.
Il Tribunale di Aosta accoglieva parzialmente la domanda dell’attore, condannando i convenuti al risarcimento di €300,00 in favore del Rodà per l’illegittimo taglio di un albero da frutta posto sul terreno comune. In accoglimento della domanda riconvenzionale, giudicava illegittimamente realizzata la porzione di balconata costruita dall’attore, condannandolo alla sua eliminazione e al ripristino della facciata nello stato in cui si trovava precedentemente.
Avverso tale decisione proponeva appello NOME COGNOME dinanzi alla Corte d’Appello di Torino che, con sentenza n. 1234/2017 qui impugnata, rigettava interamente il gravame, osservando che:
la copertura del piazzale erboso con piastrelle, per la natura dello stato del luogo, deve essere qualificata come miglioria, senza perciò assurgere a modifica di destinazione d’uso;
dall’esame delle risultanze processuali emerge che la sostituzione della preesistente porta di accesso al locale dei convenuti con altra differente dagli infissi dell’immobile non altera il suo decoro architettonico;
per ciò che attiene alla disattivazione dell’impianto citofonico dell’attore da marzo 2006 a giugno 2009, non è stata fornita alcuna prova circa la riferibilità ai convenuti di tale intervento;
-in merito al capo della decisione impugnato, relativo all’accoglimento della domanda riconvenzionale dei convenuti di eliminazione del balcone edificato dal ricorrente, alla luce delle risultanze istruttorie l’edificazione del nuovo balcone deve ritenersi contraria a quanto disposto dall’art. 1102 cod. civ., con condanna dell’attore a rimuovere lo stesso e a ricondurre il muro perimetrale allo stato quo ante .
NOME COGNOME impugnava la pronuncia del giudice di seconde cure per la sua cassazione, affidando il ricorso a cinque motivi.
Resistevano NOME COGNOME ed NOME COGNOME depositando controricorso.
Si dà atto che, con delibera del 18 gennaio 2018 disponibile agli atti, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torino ammetteva NOME COGNOME al patrocinio a spese dello Stato.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo deduce il ricorrente violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., con riferimento agli artt. 112, 115, 116 e 117 cod. proc. civ., in relazione all’art. 2697, comma 2, e all’art. 1102 cod. civ. Lamenta il ricorrente che la piastrellatura della zona erbosa da parte degli odierni resistenti (al fine di creare un déhors del bar-ristorante gestito dagli inquilini dei Blanc-Durand) non rappresenta miglioria, soprattutto in considerazione del fatto che non sia stata ammessa C.T.U., né costituisce «uso più intenso» della cosa comune da parte di uno dei comproprietari, poiché di fatto impedisce lo stesso uso agli altri comproprietari.
1.1. Il motivo è inammissibile, poiché attiene alla valutazione delle prove, non sindacabile in questa sede. Quanto alla mancata ammissione della CTU, la Corte d’Appello ha dato atto di essersi avvalsa
di altre emergenze processuali (rappresentazione fotografica, sentenza p. 4, 4° capoverso): come è noto, invero, in tema di procedimento civile sono riservate al giudice del merito oltreché l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, anche la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento ( ex multis , di recente: Cass. Cass. sez. 2, n. 19717 del 17.06.2022; Cass. Sez. 2, n. 21127 dell’08.08.2019 ). Del resto, il giudice di seconde cure ha fatto buon governo dei principi espressi da questa Corte in tema di utilizzo di aree cortilizie in comproprietà nel rispetto dell’art. 1102 cod. civ.: quando un cortile è comune a distinti corpi di fabbrica e manca una disciplina contrattuale vincolante per i comproprietari al riguardo, il relativo uso è assoggettato alle norme sulla comunione in generale, e in particolare alla disciplina di cui all’art. 1102 cod. civ., comma 1, in base al quale ciascun partecipante alla comunione può servirsi della cosa comune, sempre che non ne alteri la destinazione e non ne impedisca il pari uso agli altri comunisti (Cass. Sez. 2, 14/06/2019, n. 16069; Cass. Sez. 2, 26/02/2007, n. 4386; Cass. Sez. 2, 19/10/2005, n. 20200). La non alterazione e il non impedimento dell’uso comune si risolve in un apprezzamento di fatto, che esula dal sindacato di legittimità della Corte di cassazione quando sia sorretto da motivazione logica ed immune da errori di diritto. Nel caso di specie, la Corte torinese, valutato lo stato del luogo, ha confermato le conclusioni cui era giunto il giudice di prime cure, qualificando la piastrellatura come miglioria sia perché consente un miglior uso del bene, sia perché consente di evitare la stagnazione di acque meteoriche (v. sentenza p. 4, 5° capoverso). Quanto all’alterazione della destinazione d’uso dell’aerea cortilizia a scapito del
comproprietario, la Corte distrettuale ha rilevato che l’originaria destinazione a campo di bocce rivendicata dal Rodà è risultata da tempo non più in uso, oltre al fatto che l’intervento di piastrellatura non comprometterebbe la medesima fruibilità (v. sentenza p. 4, 6° capoverso).
Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., con riferimento agli artt. 115, 116 e 167 cod. proc. civ., in relazione all’art. 2697, comma 2, e all’art. 1102 cod. civ. Il ricorrente lamenta l’apparenza della motivazione nella valutazione del pregiudizio al decoro architettonico, nonché l’inversione dell’onere della prova a carico del ricorrente nel dimostrarlo.
2.1. Il motivo è inammissibile, in quanto anche questa doglianza si traduce in un ‘ istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito. Inconferente il riferimento a Cass. n. 3927/1988 per affermare la sussistenza di una presunzione di violazione del decoro architettonico derivante dalla sostituzione di un infisso (la porta di accesso all’unità immobiliare dei convenuti): nella pronuncia citata , infatti, le modifiche apportate agli infissi necessitavano di previa delibera dell’as semblea secondo regolamento, sicché la violazione del regolamento condominiale giustificherebbe la presunzione di un pregiudizio al decoro architettonico tale da configurare l’interesse processuale ad agire in capo al condomino. Nel caso di specie, al contrario, in assenza di edificio condominiale e relativo regolamento, la valutazione del decoro architettonico della modifica spetta al giudice di merito (e risulta compiuta alla p. 6, 4° capoverso, della sentenza impugnata, avendo riguardo alle caratteristiche specifiche dell’edificio, dei materiali utilizzati per la realizzazione della nuova porta di accesso e della sicurezza di essa, alla luce delle risultanze processuali),
rimanendo insindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc civ. (Cass. Sez. 2, 31/07/2013, n. 18350; Cass. Sez. 2, 23/02/2012, n. 2741; Cass. Sez. 2, 11/05/2011, n. 10350; Cass. Sez. 2, 10/05/2004, n. 8852; Cass. Sez. 2, 16/05/2000, n. 6341; Cass. Sez. 2, 05/10/1976, n. 3256). E’ opportuno ricordare, con riferimento al vizio di motivazione apparente, che la costante giurisprudenza di legittimità ritiene che il vizio ricorre quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante: Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639 -01; Cass. Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526; Cass. Sez. U, Sentenza n. 16599 del 2016; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022, Rv. 664061; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019, Rv. 654145; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 23123 del 28/07/2023, Rv. 668609 – 01).
Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., con riferimento agli artt. 115, 116 e 167 cod. proc. civ., in relazione all’art. 2697, comma 2, e all’art. 2043 cod. civ. Il ricorrente si duole dell’errata valutazione dei fatti e delle prove con riferimento alla disattivazione dei citofoni.
3.1. Il motivo è inammissibile, in quanto attinge unicamente alla valutazione delle prove, palesando un irrimediabile difetto di specificità: «L’onere di specificità dei motivi, di cui all’art. 366, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., impone al ricorrente, a pena
d’inammissibilità della censura, di indicare puntualmente le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente ad indicare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa officiosa che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa» (Cass. Sez. U, Sentenza n. 23745 del 28/10/2020, Rv. 659448 -01; conf. da: Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 18998 del 06/07/2021, Rv. 661805 – 01). Il ricorrente, in seno al presente motivo, non deduce né la violazione delle norme elencate nel mezzo di gravame, né la mancanza o manifesta illogicità della motivazione sul punto, limitandosi a dichiarare errata la decisione quanto alla valutazione dei fatti e delle prove acquisite, elencando capi di prova, testimonianze, per giunta riferiti alla valutazione del giudice di prime cure successivamente confermata dalla Corte territoriale. In definitiva, la censura si risolve nella sollecitazione di una lettura alternativa degli elementi istruttori, che -come sopra ricordato – non può trovare ingresso in sede di legittimità.
Con il quarto motivo si deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 5), cod. proc. civ., con riferimento agli artt. 115, 116, 132 (comma 2, n. 4) e 167 cod. proc. civ., in relazione all’art. 2697, comma 2, e all’art. 1102 cod. civ. Lamenta il ricorrente l’omessa motivazione in merito alla quali fica delle numerose innovazioni (modificazione di una finestra, trasformata in porta finestra, e realizzazione di una nuova porta con scala metallica che dà accesso al l’area cortilizia) apportate all’immobile dagli odierni
resistenti come modalità di utilizzo dei beni comuni non conforme all’art. 1102 cod. civ.
4.1. Il motivo è inammissibile per le medesime ragioni espresse al punto 2.1. con riferimento alla motivazione carente o apparente. Mentre con riguardo alla scala metallica la Corte rileva come questa risulti essere stata rimossa da tempo (v. sentenza p. 7, 5° capoverso), per ciò che attiene alla modificazione di una finestra, oltre ad enunciare il principio di diritto espresso da questa Corte riferito all’art. 1102 cod. civ. applicato agli interventi sul muro comune, la Corte d’Appello ha ritenuto che esso sia pertinente alla fattispecie in esame, valutandolo quale espressione del legittimo uso di parte comune ai sensi della norma citata (v. sentenza p. 7, 5° capoverso).
Con il quinto motivo, relativo alla domanda riconvenzionale dei convenuti di eliminazione del balcone edificato dal ricorrente, si deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 5), cod. proc. civ., con riferimento agli artt. 115, 116 e 167 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 1102, 2697, comma 1, cod. civ., Il ricorrente lamenta che, in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dagli originari convenuti, egli sia stato condannato da entrambi i giudici di merito a rimuovere il balcone in costruzione e ripristinare lo status quo ante , con una valutazione erronea ed incompleta degli elementi di fatto, della situazione dei luoghi e dei documenti agli atti.
5.1. Il motivo è inammissibile: la Corte d’Appello, sulla base delle risultanze istruttorie dei documenti fotografici attestanti lo stato dei luoghi, ricordati i principi espressi da questa Corte in tema di esercizio delle facoltà disciplinate dagli artt. 1102 e 1122 del cod. civ., ha ritenuto – con ragionamento scevro da vizi logico giuridici – che il manufatto in corso di edificazione a cura del Rodà, in quanto posto
lungo il lato nord della facciata dell’immobile, era idoneo a ridurre ulteriormente la luce in favore delle finestre sottostanti, e quindi a danno della proprietà dei convenuti. E ‘ utile, quindi, ricordare che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame dei punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico- giuridico posto a base della decisione (v. supra , punto 2.1.); non già quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati; risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione.
6. In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso, liquida le spese secondo soccombenza come da dispositivo. Non ricorrono ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del D.P.R. n. 115 del 2002 – i presupposti processuali per il raddoppio del contributo, per essere il ricorrente ammesso al patrocinio a spese dello Stato.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso, condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore dei controricorrenti, che liquida in €4.000,00 per compensi, oltre ad €200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda