Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4879 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 4879 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15876/2022 R.G. proposto da : COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME
-ricorrente-
contro
COGNOME rappresentati e dife si dall’avvocato NOME COGNOME
-controricorrenti-
nonché contro
COGNOME
ASSUNTA,
COGNOME
COGNOME
-intimati-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 1081/2022 depositata il 30/03/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che:
1.Nel giudizio promosso da NOME e NOME COGNOME nonché da NOME COGNOME contro NOME, NOME e COGNOME, la Corte di Appello di Milano, con sentenza n.1081 del 2022, ribaltando la pronuncia di primo grado, ha accolto le domande originarie proposte dai COGNOME e dalla COGNOME ai sensi dell’art. 1102 c.c., per ottenere la condanna dei COGNOMEa rilasciare ai comproprietari la superficie di terreno della larghezza di 2,50 metri compresa tra il mappale 7581 di proprietà COGNOME e l’immobile di proprietà Sanna, … di proprietà comune, libero da cose, ordinando ai convenuti la rimozione di tutto quanto vi hanno posato’ e per sentire ‘dichiarare il diritto degli attori a riaprire l’accesso alla INDIRIZZO dal cortile di cui al mappale 7854, con condanna dei convenuti alla rimozione di quanto impedisce il passaggio e l’accesso al confine tra la proprietà e la via pubblica’.
Per giungere a tale conclusione, la Corte di Appello ha accertato che i COGNOME avevano apposto un ‘cancelletto’ sullo spazio comune, di m.2, 50, compreso tra la loro proprietà esclusiva e la proprietà COGNOME, impedendo a questi ultimi di accedere a tale spazio; ha altresì accertato che i COGNOME avevano apposto un altro cancello tra il mappale 7854 e la INDIRIZZO, con la conseguenza che ai COGNOME era impedito di accedere dalla via pubblica al cortile comune. La Corte di Appello ha precisato che <>. La Corte di Appello ha altresì precisato che il cancello
tra il mappale 7854 e INDIRIZZO insiste ‘per una porzione sul mappale 7854 dal momento che è posizionato anche oltre il sedime del mappale 7584 ricadente per più della metà della sua lunghezza su area di altra proprietà privata’ dei Sanna. ‘Tuttavia la collocazione del cancello anche su una porzione di proprietà comune e la sua chiusura con lucchetto le cui chiavi non sono in possesso di tutti i comproprietari, impedisce il pari uso della cosa comune, dal momento che non consente l’accesso dal cortile comune alla INDIRIZZO anche INDIRIZZO;
NOME COGNOME ricorre, per la cassazione della sentenza della Corte di Appello, con tre motivi contrastati con controricorso da NOME e NOME COGNOME e da NOME COGNOME;
NOME e COGNOME sono rimasti intimati;
il ricorrente ha depositato memoria;
considerato che:
1.con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3 c.p.c., la violazione dell’art.1102 c.c. ‘in relazione al capo di condanna a rimuovere il cancelletto posto nella striscia di terreno di 2,5, metri compresa tra il mappale 7581 e l’immobile di proprietà Sanna’.
Si deduce che la striscia in questione è utile solo per l’accesso all’immobile di proprietà del ricorrente cosicché la Corte di Appello avrebbe errato nel ritenere applicabile l’art.1102 c.c. e nel riconoscere in favore degli attuali controricorrenti ‘un diritto di uso identico e contemporaneo dell’area che non ha ragion d’essere’. Si richiama, a sostegno la sentenza di questa Corte n.8808 del 2003;
il motivo è infondato.
L’art. 1102 c.c. dispone che ‘ ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine, può apportare a proprie spese le modificazioni
necessarie per il miglior godimento della cosa. Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso ‘.
La Corte di Appello ha correttamente applicato la norma avendo accertato in fatto che il ricorrente e NOME e COGNOME, mediante l’apposizione del cancello sull’area comune anche ai Capogreco e alla COGNOME hanno privato questi ultimi della possibilità di godere dell’area medesima.
Né può darsi credito alla tesi difensiva sostenuta dai ricorrenti peraltro legata ad allegazioni in fatto non ammissibili in questa sede di legittimità – secondo cui l’area ‘servirebbe esclusivamente ad unità adibite a deposito di esclusiva proprietà Sanna’ con la conseguenza che, non essendovi un uso dell’area anche da parte dei COGNOME e della COGNOME, l’art. 1102 c.c. sarebbe inapplicabile. Avallare questa tesi significherebbe in definitiva legittimare l’appropriazione della cosa comune da parte di alcuni comunisti in forza della circostanza che la cosa comune è utilizzata solo da alcuni di essi.
Se, per un verso, l’uso più intenso o anche esclusivo della cosa comune da parte di un comunista non è di per sé necessariamente illegittimo, ex art. 1102 cod. civ. tale uso non può però alterare il rapporto di equilibrio tra i partecipanti valutato in relazione all’uso potenziale spettante agli altri comunisti.
Questa Corte, (ordinanza n.9278 del 16/04/2018) ha affermato che in tema di comunione, ciascun comproprietario ha diritto di trarre dal bene comune una utilità maggiore e più intensa di quella degli altri comproprietari, purché non venga alterata la destinazione del bene o compromesso il diritto al pari uso da parte di questi ultimi. In particolare, per stabilire se l’utilizzo più intenso del singolo sia consentito ai sensi dell’art. 1102 c.c., deve aversi riguardo non all’uso concreto fatto dagli altri condomini in un determinato
momento, ma a quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno; l’uso deve in ogni caso ritenersi permesso se l’utilità aggiuntiva ricavata dal singolo comproprietario non sia diversa da quella derivante dalla destinazione originaria del bene, sempre che tale uso non dia luogo ad una servitù a carico del suddetto bene comune.
Non è conferente rispetto alla tesi del ricorrente il richiamo alla sentenza di questa Corte n.8808/2003 con cui è stato statuito che la nozione di pari uso della cosa comune cui fa riferimento l’art. 1102 cod. civ. – che in virtù del richiamo contenuto nell’art. 1139 cod. civ. è applicabile anche in materia di condominio negli edificinon va intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà che richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione. Ne consegue che, qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, dal momento che, in una materia in cui è prevista la massima espansione dell’uso, il limite al godimento di ciascuno dei condomini è dato dagli interessi altrui i quali, pertanto, costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano voler accrescere il pari uso cui hanno diritto. Pertanto, raffigura un uso più ampio della cosa comune – ricompreso nelle facoltà attribuite ai condomini dall’art. 1102, primo comma, cod. civ. – l’apertura di un varco nella recinzione comune (con apposizione di un cancello) effettuata per mettere in comunicazione uno spazio condominiale con una strada aperta al passaggio pubblico, sia pedonale che meccanizzato.
Questo principio non si attaglia infatti alla fattispecie che ci occupa, del tutto diversa da quella in relazione alla quale il principio è stato affermato, di apposizione sulla cosa comune di un cancello che impedisce ad altri partecipanti di accedere alla cosa comune e che determina non un uso più intenso della cosa da parte del comproprietario ma la appropriazione della cosa da parte del comproprietario con esclusione degli altri;
3. con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., ‘ nullità della sentenza in relazione al capo di condanna a rimuovere il cancello che impedisce l’accesso alla INDIRIZZO per la porzione esistente sul mappale 7584 che impedirebbe il pari uso della cosa comune ‘. Il ricorrente deduce che la controparte aveva chiesto di ripristinare il passaggio dall’area comune alla via pubblica rimuovendo ostacoli, quali ‘materiali inerti, legna o lamiere in ferro’, ma non specificamente il cancello e che pertanto la Corte di Appello, ordinando la rimozione del cancello, sarebbe incorsa nel vizio di ultra-petizione;
4. il motivo è infondato.
Il contenuto della domanda degli attori è riportato nella sentenza impugnata: ‘dichiarare il diritto degli attori a riaprire l’accesso alla INDIRIZZO dal cortile di cui al mappale 7854, con condanna dei convenuti alla rimozione di quanto impedisce il passaggio e l’accesso al confine tra la proprietà e la via pubblica’. È pacifico che il cancello è al confine tra la proprietà comune e la via pubblica e che il cancello impedisce il passaggio. La Corte di Appello non ha violato l’art. 112 c.p.c., non è incorsa nel denunciato vizio di ultra -petizione avendo invece avuto riguardo a quanto l’attuale parte controricorrente aveva domandato ossia all’utilità concreta che essa aveva inteso conseguire;
5. con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., ‘falsa applicazione di norme di diritto con riferimento agli att. 1102 e 2697 c.c. in relazione al capo
di condanna a rimuovere il cancello di accesso dalla INDIRIZZO al mappale 7584 nonché per gli stessi motivi, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.4, c.p.c. per motivazione perplessa ed inesistente’. Il ricorrente ricollega il dedotto vizio di motivazione a ciò che la Corte di Appello avrebbe, da un lato, ‘accertato che il cancello non è nemmeno utilizzabile come cancello comune in quanto ricade per più della metà della sua lunghezza sulla proprietà privata Sanna e, dall’altro lato, assunto che il semplice fatto che il cancello sia chiuso da un lucchetto impedisca il pari uso delle cosa comune e non consenta l’accesso da INDIRIZZO ai INDIRIZZO –INDIRIZZO‘. Il ricorrente sostiene poi che la Corte avrebbe male applicato l’art. 1102 c.c. ‘dal momento che la comproprietà del mappale 7584 non consente ex se l’attribuzione ai comunisti del diritto di oltrepassare il cancello in quanto ciò implicherebbe l’asservimento della proprietà altrui, ossia il mappale 7583 di proprietà esclusiva Sanna ad un diritto di passo non essendo possibile fruire del cancello in altro modo e quindi invadere il mappale 7583’;
il motivo è infondato, al pari dei precedenti.
Come è noto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione’ ( tra le tante, v. cass. SSUU n. 8053/2014).
La sentenza impugnata si sottrae al vizio denunziato: essa è motivata in modo chiaro e lineare: la Corte di Appello ha dato
conto del fatto che il cancello di cui trattasi insiste anche sul mappale 7854, di proprietà comune, che il cancello è chiuso a chiave ed impedisce ai Capogreco l’accesso al suddetto mappale, dalla INDIRIZZO
Il motivo è altresì infondato per la parte in cui si prospetta ‘falsa applicazione degli artt. 1102 e 2697 c.c.’
Il vizio ricompreso nell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., di falsa applicazione della legge consiste nella sussunzione della fattispecie concreta in una qualificazione giuridica che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista non è idonea a regolarla, oppure nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che ne contraddicono la pur corretta interpretazione (Cass. Cass. n. 23851 del 25/09/2019).
La falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. è solo evocata nella rubrica del motivo senza che la doglianza sia in alcun modo argomentata.
La falsa applicazione dell’art. 1102 c.c. non sussiste: la Corte di Appello, a fronte del fatto pacifico che il cancello in questione impedisce ai COGNOME e alla COGNOME di accedere al fondo comune e quindi di farne uso, ha correttamente applicato l’art. 1102 c.c., accogliendo la domanda di questi ultimi per la rimozione del cancello stesso.
L’allegazione con cui il ricorrente cerca di sostenere la doglianza ( ‘ l’attribuzione ai comunisti del diritto di oltrepassare il cancello … implicherebbe l’asservimento della proprietà altrui, ossia il mappale 7583 di proprietà esclusiva Sanna ad un diritto di passo non essendo possibile fruire del cancello in altro modo e quindi invadere il mappale 7583 ‘ ) è inidonea allo scopo in quanto, sotto l’apparente deduzione del vizio di falsa applicazione dell’art. 1102 c.c., mira ad introdurre questioni – per di più basate su circostanze fattuali diverse da quelle a cui hanno fatto riferimento i giudici di merito e non prospettabili in questa sede di legittimità – nuove e del tutto scollegate dal suddetto articolo;
in conclusione il ricorso deve essere rigettato;
le spese seguono la soccombenza; sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato.
PQM
la Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio che liquida in € . 3.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2025.