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Uso cosa comune: no a cancelli che escludono altri

La Corte di Cassazione conferma la decisione di merito che ordinava la rimozione di un cancello installato da un comproprietario su un’area comune. L’ordinanza ribadisce che l’uso cosa comune, tutelato dall’art. 1102 c.c., non può essere impedito nemmeno se gli altri titolari non utilizzano di fatto l’area, in quanto viene leso il loro diritto potenziale. L’apposizione di una chiusura che esclude gli altri costituisce un’illegittima appropriazione del bene.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Civile, Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

Uso cosa comune: il cancello che esclude gli altri comproprietari è illegittimo

L’installazione di un cancello su un’area condivisa è una questione che genera spesso conflitti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un principio fondamentale in materia di uso cosa comune: nessun comproprietario può appropriarsi di una parte comune escludendo gli altri, anche se questi ultimi non la utilizzano abitualmente. Vediamo nel dettaglio la vicenda e le conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti di Causa: Il Cancello della Discordia

La controversia nasce tra proprietari di immobili confinanti. Uno di essi aveva installato due cancelli: il primo su una striscia di terreno comune che separava le rispettive proprietà, impedendo di fatto l’accesso ai vicini; il secondo tra un cortile, anch’esso comune, e la via pubblica, chiudendolo con un lucchetto le cui chiavi non erano state fornite agli altri comproprietari.

I proprietari esclusi si sono rivolti al tribunale per ottenere la rimozione degli ostacoli e il ripristino del loro diritto di accesso e passaggio. La Corte d’Appello, riformando la decisione di primo grado, ha dato loro ragione, ordinando la rimozione di entrambe le chiusure.

I Motivi del Ricorso e l’interpretazione dell’uso cosa comune

Il comproprietario che aveva installato i cancelli ha presentato ricorso in Cassazione, basandolo su tre argomentazioni principali:

1. Violazione dell’art. 1102 c.c.: Sosteneva che l’area comune fosse utile solo per l’accesso alla sua proprietà e che, di conseguenza, gli altri non avessero un reale interesse al suo utilizzo.
2. Vizio di ultra petizione: Affermava che i vicini avevano chiesto la rimozione di generici “ostacoli”, senza menzionare specificamente il cancello, e che quindi il giudice d’appello fosse andato oltre la domanda.
3. Motivazione illogica e falsa applicazione di legge: Riteneva che la Corte d’Appello avesse errato nel considerare la chiusura con lucchetto come una violazione del pari uso, introducendo anche questioni relative a presunti diritti di passo su altre sue proprietà esclusive.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, fornendo importanti chiarimenti sull’applicazione delle norme in materia di comunione.

Sull’Uso Potenziale della Cosa Comune

Il punto centrale della decisione riguarda l’interpretazione del concetto di “pari uso” sancito dall’art. 1102 c.c. La Corte ha stabilito che impedire a un comproprietario l’accesso a un’area comune è sempre illegittimo, perché lede il suo diritto potenziale di goderne. Non ha alcuna importanza se, in quel momento, il comproprietario escluso stia effettivamente utilizzando o meno l’area. L’installazione di un cancello che preclude l’accesso non costituisce un “uso più intenso” della cosa comune, ma una vera e propria appropriazione a danno degli altri, ed è quindi vietata.

Sulla Presunta Ultra Petizione

Anche il secondo motivo è stato respinto. La domanda degli attori era finalizzata a “riaprire l’accesso” e a “rimuovere quanto impedisce il passaggio”. Un cancello chiuso a chiave è, per sua natura, un ostacolo che impedisce il passaggio. Pertanto, ordinarne la rimozione rientra perfettamente nell’oggetto della domanda, senza configurare alcun vizio di ultra petizione.

Sulla Corretta Applicazione della Legge

Infine, la Corte ha giudicato la motivazione della sentenza d’appello chiara e coerente. L’applicazione dell’art. 1102 c.c. è stata ritenuta corretta: di fronte a un fatto pacifico come l’impedimento all’accesso al fondo comune, la condanna alla rimozione del cancello è una conseguenza diretta e logica della violazione del diritto degli altri comproprietari.

Le Conclusioni

L’ordinanza riafferma un principio cardine della comunione: il diritto di ciascun partecipante sulla cosa comune è pieno e deve essere sempre garantito. Qualsiasi atto che miri a escludere gli altri dal godimento del bene, anche se solo potenziale, è illegittimo. L’installazione di cancelli, barriere o altre chiusure a chiave su aree comuni, senza il consenso di tutti e senza fornire a tutti gli strumenti per l’accesso, si traduce in un’appropriazione indebita che la legge non consente.

È possibile installare un cancello su un’area comune se gli altri comproprietari non la usano?
No. Secondo la Corte, l’impedimento all’accesso è illegittimo perché lede il diritto potenziale degli altri comproprietari di utilizzare il bene comune, anche se non lo fanno abitualmente. Escluderli equivale a un’appropriazione del bene.

Se un comproprietario chiede in giudizio la rimozione di generici ‘ostacoli’ al passaggio, il giudice può ordinare la rimozione di un cancello non menzionato esplicitamente?
Sì. La Corte ha stabilito che non si tratta di una decisione ‘ultra petita’ (oltre la domanda), in quanto un cancello che impedisce il passaggio è pacificamente un ‘ostacolo’. L’ordine di rimozione rientra quindi pienamente nell’oggetto della richiesta di ripristinare l’accesso.

L’uso più intenso della cosa comune è sempre consentito?
No. L’uso più intenso è consentito solo a condizione che non alteri la destinazione del bene e, soprattutto, non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. La chiusura di un’area non è un uso più intenso, ma un’esclusione degli altri.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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