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Uso cosa comune: limiti alla modifica della domanda

Un’ordinanza della Cassazione affronta il caso di una lite tra fratelli per un muretto su area comune. La Corte chiarisce i limiti alla modifica della domanda in appello, dichiarando inammissibile il passaggio da una richiesta di tutela di una servitù di passaggio a una basata sulla violazione delle norme sull’uso cosa comune (art. 1102 c.c.). Inoltre, ribadisce che per il risarcimento danni da infiltrazioni è onere di chi agisce provare la situazione dei luoghi prima della modifica contestata.

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Pubblicato il 12 dicembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Uso Cosa Comune: Quando Cambiare Domanda in Appello è Inammissibile

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre importanti spunti sulla corretta gestione delle liti in materia di diritti reali, con particolare riferimento all’uso cosa comune e alla tutela delle servitù. Il caso, nato da una disputa tra fratelli per la costruzione di un muretto, evidenzia un principio processuale fondamentale: la domanda giudiziale, una volta formulata, non può essere radicalmente modificata nei gradi di giudizio successivi. Vediamo nel dettaglio la vicenda e le conclusioni dei giudici.

I Fatti: Un Muretto Conteso tra Fratelli

La controversia ha origine quando un proprietario cita in giudizio la sorella, lamentando che alcuni muretti in calcestruzzo da lei edificati su un’area comune e su una di sua proprietà esclusiva gli impedivano l’accesso alla sua abitazione. Oltre a ostacolare il passaggio, l’attore sosteneva che le opere avessero alterato il naturale deflusso delle acque piovane, causando infiltrazioni e danni al suo fabbricato.

La sua richiesta iniziale era chiara: la rimozione dei muretti per ripristinare il suo diritto di passaggio e il risarcimento dei danni subiti.

Il Percorso Giudiziario: Dal Tribunale alla Cassazione

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno respinto le richieste dell’attore. I giudici di merito hanno accertato che, se da un lato esisteva un diritto di comproprietà su una delle particelle interessate, non esisteva una servitù di passaggio sulla proprietà esclusiva della sorella. Hanno inoltre ritenuto che il passaggio sulla parte comune non fosse stato di fatto impedito e che non fosse stata fornita la prova del nesso causale tra la costruzione del muretto e i danni da infiltrazione.

È in appello che la questione si complica: l’appellante tenta di modificare l’impostazione della sua difesa, incentrandola non più sulla lesione del diritto di passaggio, ma sulla violazione dell’art. 1102 del codice civile, che disciplina appunto l’uso cosa comune, sostenendo che la sorella avesse costruito sulla particella comune senza il suo consenso.

Le Motivazioni della Cassazione: L’Importanza della Coerenza Processuale

La Corte di Cassazione, investita della questione, ha rigettato il ricorso, confermando la decisione della Corte d’Appello e fornendo chiarimenti cruciali su due aspetti: la modifica della domanda in appello e l’onere della prova in materia di risarcimento danni.

La Domanda Non Si Può Cambiare in Appello

Il motivo principale della decisione riguarda l’inammissibilità del primo motivo d’appello. La Cassazione ha spiegato che passare da una domanda basata sulla tutela di una servitù di passaggio (un diritto su cosa altrui) a una fondata sulla violazione delle regole sull’uso cosa comune (un diritto di comproprietà) non è una semplice precisazione, ma una mutatio libelli, ovvero una trasformazione radicale della domanda. Si tratta di due azioni legali distinte, che si basano su presupposti di fatto e di diritto completamente diversi. Permettere una simile modifica in appello violerebbe il principio del doppio grado di giudizio e i diritti di difesa della controparte. Di conseguenza, la Corte d’Appello ha agito correttamente nel dichiarare inammissibile questo nuovo profilo di contestazione.

La Prova del Danno e il Relativo Onere

Anche la richiesta di risarcimento danni è stata definitivamente respinta. La Cassazione ha ribadito un principio cardine del nostro ordinamento: l’onere della prova (art. 2697 c.c.) spetta a chi agisce in giudizio. Nel caso specifico, l’attore avrebbe dovuto dimostrare non solo che dopo la costruzione del muretto si verificavano allagamenti, ma soprattutto quale fosse la situazione prima dei lavori. Era necessario provare che, in precedenza, le acque piovane defluivano naturalmente senza causare ristagni. Senza questa prova fondamentale sulla condizione preesistente, è impossibile stabilire un nesso di causalità tra l’opera della sorella e i danni lamentati.

Inoltre, la Corte ha specificato che una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) non può essere utilizzata per sopperire a una carenza probatoria della parte. La CTU serve per valutare tecnicamente fatti già provati, non per ricercare prove che la parte non è stata in grado di fornire.

Le Conclusioni: Lezioni Pratiche dalla Sentenza

Questa ordinanza offre due lezioni pratiche di grande importanza. La prima è di natura processuale: è essenziale definire con precisione e fin dal primo atto del giudizio la causa petendi (la ragione della domanda) e il petitum (ciò che si chiede), poiché i margini per modificare la strategia in corso di causa, e soprattutto in appello, sono estremamente ridotti. La seconda lezione riguarda il merito delle questioni di danno: per ottenere un risarcimento, non basta dimostrare di aver subito un pregiudizio, ma è cruciale provare ogni elemento della fattispecie, a partire dal nesso di causalità, che spesso richiede la dimostrazione dello stato dei luoghi prima che si verificasse l’evento lesivo.

È possibile modificare in appello la base giuridica della propria richiesta, passando dalla tutela di una servitù a quella sull’uso cosa comune?
No, la Corte di Cassazione ha confermato che si tratta di una domanda nuova e diversa, basata su presupposti di fatto e di diritto differenti. Tale modifica è considerata inammissibile in appello.

Per ottenere il risarcimento per danni da infiltrazioni causate da un’opera del vicino, cosa è indispensabile provare?
È indispensabile provare la situazione preesistente, ovvero dimostrare come le acque defluivano naturalmente prima della costruzione dell’opera. Senza questa prova, non è possibile stabilire un nesso di causalità tra l’opera e il danno lamentato.

Una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) può sostituire la mancata prova dei fatti da parte di chi agisce in giudizio?
No, la CTU non ha una funzione sostitutiva dell’onere probatorio che grava sulla parte. Serve a valutare tecnicamente i fatti già allegati e provati, ma non può essere utilizzata per ricercare fatti che la parte non ha dimostrato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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