LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Uso aziendale: quando la prassi diventa obbligo

Un’azienda ha interrotto dopo quattro anni il pagamento di un’indennità a un gruppo di dipendenti. La Corte di Cassazione ha confermato che tale comportamento prolungato e generalizzato ha creato un ‘uso aziendale’, trasformando la prassi in un diritto acquisito per i lavoratori. L’indennità, quindi, non poteva essere unilateralmente revocata e deve essere considerata parte integrante della retribuzione.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 17 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Uso Aziendale: Quando un’Abitudine del Datore di Lavoro Diventa un Diritto del Lavoratore

Nel mondo del diritto del lavoro, non tutto ciò che regola il rapporto tra azienda e dipendente è scritto nero su bianco nel contratto. Esistono infatti le cosiddette “fonti sociali”, tra cui spicca l’uso aziendale: una prassi consolidata che può trasformarsi in un vero e proprio obbligo per il datore di lavoro. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce proprio quando una consuetudine aziendale smette di essere una liberalità e diventa un diritto acquisito per i lavoratori, analizzando il caso di un’indennità pagata per anni e poi improvvisamente revocata.

I Fatti del Caso: Dall’Indennità all’Azione Legale

La vicenda riguarda un dipendente di una società di gestione autostradale, inizialmente impiegato come esattore. In tale veste, percepiva una specifica “indennità di maneggio denaro”. Successivamente, il lavoratore, insieme ad altri colleghi, viene trasferito a nuove mansioni di monitoraggio centralizzato del traffico, che non prevedono più il contatto diretto con il denaro.

Nonostante il cambio di mansioni, l’azienda continua a corrispondergli l’indennità per circa quattro anni. Improvvisamente, il pagamento viene interrotto. Il dipendente decide quindi di agire in giudizio per ottenere il ripristino dell’emolumento, sostenendo che quella prassi fosse ormai diventata un suo diritto.

La Decisione della Corte e la Forza dell’Uso Aziendale

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello danno ragione al lavoratore. Secondo i giudici di merito, il pagamento costante, prolungato e generalizzato dell’indennità a tutti i dipendenti passati alle nuove mansioni aveva integrato gli estremi dell’uso aziendale. Questa prassi, sorta spontaneamente, aveva generato un obbligo collettivo per l’azienda, assimilabile a quello derivante da un contratto collettivo aziendale, e non poteva quindi essere revocato unilateralmente.

L’azienda, non soddisfatta, ricorre in Cassazione, basando la sua difesa su tre punti principali:
1. La mancata prova dell’elemento psicologico dell’uso (la convinzione che fosse obbligatorio).
2. L’esistenza di un semplice errore materiale nel continuare a pagare l’indennità.
3. La presenza di un documento aziendale che, per le nuove mansioni, non prevedeva affatto tale indennità.

La Difesa dell’Azienda: Errore Materiale o Prassi Consolidata?

La Corte di Cassazione ha respinto integralmente il ricorso dell’azienda. I giudici supremi hanno ribadito un principio fondamentale: per configurare un uso aziendale, è sufficiente la reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole da parte del datore di lavoro. Questo comportamento, di per sé, manifesta la volontà di creare una regola e fa sorgere il diritto in capo ai lavoratori, senza che sia necessaria un’indagine sulla “volontà interna” dell’imprenditore. Il fatto che l’azienda avesse pagato l’indennità per ben quattro anni a tutti gli ex esattori era una prova schiacciante della sua esistenza.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte ha specificato che l’argomento dell'”errore materiale” non era sostenibile. Un errore può essere corretto, ma un comportamento mantenuto per un periodo così lungo e applicato a una pluralità di dipendenti assume le caratteristiche di una scelta consolidata, che genera un legittimo affidamento nei beneficiari. La condotta dell’azienda, quindi, non era un mero sbaglio, ma una prassi che si era radicata nel tessuto aziendale.

Inoltre, la Cassazione ha sottolineato che il giudice di merito ha il compito esclusivo di valutare le prove e formare il proprio convincimento. In questo caso, la Corte d’Appello aveva correttamente ritenuto che la prassi del pagamento prolungato fosse una prova più forte del documento che escludeva l’indennità. L’uso aziendale, una volta formatosi, prevale e si integra nel contratto individuale di lavoro.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Aziende e Lavoratori

Questa ordinanza offre un’importante lezione sia per i datori di lavoro che per i dipendenti.

Per le aziende, emerge la necessità di gestire con attenzione le liberalità e i trattamenti di favore. Un beneficio concesso in modo sistematico e generalizzato può trasformarsi da concessione volontaria a obbligo legale, con significative conseguenze economiche e gestionali. È fondamentale formalizzare chiaramente la natura temporanea o eccezionale di eventuali bonus o indennità per evitare che si consolidino come diritti acquisiti.

Per i lavoratori, la decisione conferma che i diritti possono nascere non solo dal contratto scritto, ma anche dalle consuetudini virtuose messe in atto dall’azienda. Quando un trattamento favorevole viene erogato per un lungo periodo e a tutta una categoria di dipendenti, è legittimo ritenerlo parte integrante della propria retribuzione.

Quando una prassi aziendale diventa un obbligo per il datore di lavoro?
Una prassi aziendale diventa un obbligo giuridico quando consiste in un comportamento favorevole ai dipendenti che viene reiterato in modo costante, generalizzato (cioè applicato a tutti i lavoratori in una certa situazione) e spontaneo per un periodo di tempo significativo. In tal caso, si configura un ‘uso aziendale’ che integra il contratto individuale di lavoro.

Un’azienda può smettere di pagare un’indennità sostenendo che si è trattato di un errore?
No, se il pagamento si è protratto per un lungo periodo (in questo caso, quattro anni) e ha riguardato una pluralità di lavoratori. Secondo la Corte, una condotta così consolidata non può essere qualificata come un semplice ‘errore materiale’ revocabile, ma si consolida come un diritto acquisito per i dipendenti, che hanno fatto legittimo affidamento su quella componente della retribuzione.

Cosa prevale tra un documento aziendale che esclude un’indennità e una prassi costante che la concede?
Secondo la sentenza, una volta che l’uso aziendale si è formato attraverso un comportamento costante e generalizzato, esso acquista la stessa forza di un contratto collettivo aziendale. Pertanto, prevale su eventuali disposizioni contrarie non applicate, diventando parte integrante e vincolante del rapporto di lavoro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati