LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Uso aziendale: quando impedisce l’assorbimento

La Corte di Cassazione ha stabilito che un “uso aziendale”, consolidatosi nel tempo, che esclude l’assorbimento del superminimo individuale negli aumenti contrattuali, acquista forza di legge tra le parti. Una nota società di telecomunicazioni aveva illegittimamente ridotto le retribuzioni dei dipendenti assorbendo i loro superminimi, violando tale prassi. La Corte ha confermato che l’uso aziendale, una volta formatosi, non può essere interrotto unilateralmente e implicitamente, ma richiede una “disdetta” formale, chiara e giustificata, comunicata a tutti i lavoratori, cosa che nel caso di specie non era avvenuta.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 6 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Uso Aziendale e Superminimo: Quando la Prassi Diventa Diritto

Nel complesso mondo del diritto del lavoro, non sono solo i contratti scritti a definire i diritti e i doveri. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito la forza vincolante dell’uso aziendale, una prassi consolidata che può impedire al datore di lavoro di assorbire il cosiddetto “superminimo” individuale. Questa decisione offre importanti chiarimenti su come un comportamento ripetuto nel tempo possa trasformarsi in un vero e proprio diritto per i lavoratori.

I Fatti: La Controversia sull’Assorbimento del Superminimo

Il caso ha origine dalla decisione di una grande società di telecomunicazioni di assorbire i superminimi individuali dei propri dipendenti a partire da gennaio 2018. In pratica, gli aumenti retributivi derivanti dal rinnovo del contratto collettivo nazionale venivano compensati con una riduzione del superminimo, lasciando di fatto invariato lo stipendio netto di molti lavoratori. Un gruppo di dipendenti ha impugnato questa decisione, sostenendo che l’azienda avesse violato una prassi consolidata di non assorbimento, seguita per anni in occasione dei precedenti rinnovi contrattuali.

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno dato ragione ai lavoratori, dichiarando illegittima la condotta della società. I giudici hanno riconosciuto l’esistenza di un uso aziendale che garantiva la non assorbibilità del superminimo, condannando l’azienda a ripristinare la voce retributiva e a restituire le somme indebitamente trattenute.

La Decisione della Cassazione: La Forza dell’Uso Aziendale

La società ha presentato ricorso in Cassazione, ma la Suprema Corte ha rigettato le sue argomentazioni, confermando le decisioni dei gradi precedenti. L’ordinanza analizza in profondità la natura e gli effetti dell’uso aziendale nel rapporto di lavoro.

L’Uso Aziendale come Fonte del Diritto

La Corte ribadisce un principio fondamentale: l’uso aziendale è una fonte del diritto del lavoro. Esso si forma non sulla base della volontà esplicita del datore di lavoro, ma sul fatto oggettivo di un comportamento reiterato, costante e generalizzato, favorevole ai dipendenti. Questo comportamento, una volta consolidato, acquisisce la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale, integrando i contratti individuali di lavoro.

Come l’Uso Aziendale Blocca l’Assorbimento del Superminimo

Di norma, il superminimo è considerato “assorbibile”, a meno che un accordo individuale o collettivo non preveda diversamente. Tuttavia, la Cassazione chiarisce che anche un uso aziendale può derogare a questa regola. Se per anni il datore di lavoro, in occasione di vari rinnovi contrattuali, ha costantemente erogato gli aumenti senza intaccare i superminimi, crea una legittima aspettativa nei lavoratori. Questa prassi diventa un diritto acquisito che impedisce il futuro assorbimento.

La Disdetta dell’Uso Aziendale: Regole e Limiti

Uno dei punti più interessanti della decisione riguarda la possibilità per il datore di lavoro di porre fine a un uso aziendale. La Corte ammette questa possibilità, affermando che la prassi non può vincolare l’azienda “sine die” (per sempre). Tuttavia, la cessazione non può essere arbitraria o implicita. Per essere legittima, la “disdetta” dell’uso deve rispettare precise condizioni:
1. Motivazione: Deve essere giustificata da un sopravvenuto e sostanziale mutamento delle circostanze (es. una profonda riorganizzazione o un nuovo accordo collettivo che disciplina diversamente la materia).
2. Formalizzazione: Deve essere comunicata attraverso una dichiarazione esplicita, chiara e univoca.
3. Generalità: Deve essere diretta a tutta la collettività dei lavoratori interessati.

Nel caso specifico, la Corte ha rilevato che l’azienda non aveva seguito questa procedura. Non vi era alcuna prova di una comunicazione formale di voler interrompere la prassi e il nuovo accordo collettivo non conteneva alcuna clausola che autorizzasse il superamento dell’uso esistente.

Le Motivazioni della Corte

La motivazione della Suprema Corte si fonda sulla natura dell’uso aziendale come “fonte sociale” del diritto, assimilabile a un contratto collettivo. Essendo una regola che disciplina la generalità dei rapporti di lavoro, la sua modifica o cessazione deve seguire percorsi trasparenti e controllabili, analoghi a quelli della contrattazione. La condotta unilaterale e non formalizzata dell’azienda è stata quindi ritenuta illegittima perché viola il principio di correttezza e buona fede e lede i diritti ormai consolidati dei lavoratori. L’accertamento di fatto, compiuto dai giudici di merito e coperto dalla “doppia conforme”, sull’esistenza della prassi e sull’assenza di una valida disdetta, è stato decisivo per escludere in radice la legittimità dell’assorbimento operato dalla società.

Conclusioni

Questa ordinanza della Cassazione rappresenta un’importante tutela per i lavoratori. Conferma che i diritti possono nascere non solo da leggi e contratti, ma anche da comportamenti consolidati nel tempo. Per i datori di lavoro, la decisione è un monito: le prassi aziendali favorevoli ai dipendenti, una volta stabilite, creano obblighi giuridici precisi. Per modificarle, non basta una semplice decisione interna, ma è necessario un atto formale, motivato e trasparente, che rispetti i principi di buona fede e correttezza che devono sempre governare il rapporto di lavoro.

Un datore di lavoro può assorbire il superminimo individuale con gli aumenti contrattuali?
In linea di principio sì, il superminimo è normalmente soggetto al principio dell’assorbimento. Tuttavia, questa regola non si applica se una pattuizione individuale o collettiva dispone diversamente, o se si è formato un “uso aziendale” costante e generalizzato di non procedere all’assorbimento, che prevale sulla regola generale.

Cos’è un “uso aziendale” e come si forma?
È un comportamento del datore di lavoro, reiterato in modo costante e generalizzato, che si traduce in un trattamento economico o normativo di maggior favore per i dipendenti. Si forma sulla base del fatto oggettivo della ripetizione della prassi, senza che sia necessaria un’indagine sulla volontà del datore di lavoro di vincolarsi, e acquista la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale.

Un’azienda può cambiare o eliminare un “uso aziendale” una volta che si è formato?
Sì, l’uso aziendale non è vincolante per sempre. Tuttavia, l’azienda può porvi fine (“disdettarlo”) solo nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede. La disdetta deve essere giustificata da un mutamento sostanziale delle circostanze, formalizzata con una dichiarazione chiara, univoca e diretta a tutta la collettività dei lavoratori, esplicitandone le ragioni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati