Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18741 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 18741 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 29123-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
Contratti collettivi aziendali Uso aziendale
R.G.N. 29123/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 15/05/2024
CC
avverso la sentenza n. 630/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 04/03/2020 R.G.N. 764/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/05/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Venezia così provvedeva: – dichiarava cessata la materia del contendere nei confronti dell’appellato COGNOME NOME (nulla disponendo sulle spese nei suoi confronti); rigettava l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza del Tribunale di Verona n. 664/2017 nei confronti degli altri lavoratori appellati, tra i quali l’attuale controricorrente COGNOME NOME, condannando l’appellante a rimborsare a detti appellati costituiti le spese del secondo grado come liquidate e poneva a suo carico il c.d. raddoppio del contributo unificato.
Con la sentenza di primo grado il Tribunale di Verona, previa riunione dei relativi procedimenti, aveva rigettato le distinte opposizioni della suddetta società ai decreti ingiuntivi ottenuti dai lavoratori, poi appellati, per il pagamento di emolumenti economici disciplinati da accordi aziendali che, nonostante la durata a tempo determinato della fonte contrattuale, la RAGIONE_SOCIALE aveva continuato ad erogare ai dipendenti sino al 22.9.2014, data in cui aveva comunicato la volontà di recedere dai contratti aziendali tacitamente prorogati con effetto dal 28.2.2015.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale rigettava il primo motivo di appello della RAGIONE_SOCIALE con il quale
quest’ultima criticava la sentenza del Tribunale nel punto in cui aveva ritenuto che la società non avesse provato che l’accordo relativo al premio di produzione (del 1973) fosse proseguito nel tempo per volontà comune delle parti contraenti, anche dopo la scadenza, avendo l’azienda applicato integralmente tutte le disposizioni contrattuali ed essendo sempre stato oggetto di accordo nell’ an con le organizzazioni sindacali.
3.1. Riteneva la Corte infondato anche il secondo motivo con il quale l’appellante aveva criticato la decisione del Tribunale che aveva qualificato come uso aziendale la condotta della società che, a fronte della scadenza dei contratti integrativi aziendali, aveva continuato, con riferimento agli emolumenti retributivi per cui è causa, ad erogarli in via generale agli operai fino alla scadenza.
Avverso tale decisione RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, nei confronti soltanto di COGNOME NOME, avendo precisato la ricorrente che rispetto agli altri lavoratori era intervenuto un accordo.
Ha resistito l’intimato con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ‘Nullità della sentenza per omessa pronuncia con palese violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.’. Trascritto integralmente il testo dei motivi d’appello sottoposti all’esame della Corte territoriale, deduce che la motivazione di quest’ultima ‘non consente di comprendere l’iter logico perseguito dai giudici di secondo grado per giungere al rigetto
dell’appello’. Secondo la ricorrente ‘il raffronto tra lo svolgimento dei motivi di appello e il contenuto della motivazione della sentenza impugnata … consente subito di avvedersi che la pronuncia oggetto del presente gravame non ha speso effettivamente una parola sulle reali e ben descritte doglianze svolte dalla difesa di RAGIONE_SOCIALE‘. Per la stessa, emerge la violazione del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., ed individuabile nelle ipotesi che si convertono in violazio ne dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza -di ‘mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale’, di ‘motivazione apparente’, di ‘manifesta ed irriducibile contraddittorietà’ e di ‘motivazione perplessa ed incomprensibile’.
Con un secondo motivo denuncia ‘Violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché degli artt. 2697 c.c. e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.’. Secondo la ricorrente, la sentenza impugnata merita di essere cassata in quanto ha dato erronea applicazione delle norme in materia di ripartizione dell’onere della prova, di valutazione delle prove, e di presunzioni.
Con un terzo motivo denuncia ‘Violazione degli artt. 24 e 111 Cost., 2697 e ss. c.c. e 356 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.’. Per la ricorrente, dall’esame dell’impugnata sentenza emerge la manifesta violazione delle norme costituzionali sul giusto processo e sul diritto di difesa, oltre che delle disposizioni civilistiche, sostanziali e processuali, sull’onere della prova. Sia in primo, sia in secondo grado, essa società aveva formulato specifiche istanze istruttorie volte a corroborare quanto già emergente ex actis , e lamenta allora
che anche in sede di appello l’organo giudicante non ha ritenuto opportuno ammettere alcuna richiesta istruttoria, nonostante la convinzione che l’onere della prova ricadesse proprio su RAGIONE_SOCIALE.
Con un quarto motivo denuncia ‘Nullità della sentenza per omessa pronuncia con palese violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.’. La ricorrente si riferisce alla manifesta contraddittorietà della pronuncia la quale, come esposto anche nel primo motivo, inficia la validità della decisione in relazione a quanto previsto dall’art . 132, comma 2, n. 4) c.p.c. Secondo la stessa, l’innegabile illogicità della sentenza emerge con estrema evidenza sol se si consideri la scelta iniziale di rigettare ovvero non pronunciarsi sulle istanze istruttorie formulate dall’appellante, e quella successiva di dichiarare la sua domanda non provata.
Con un quinto motivo denuncia ‘Violazione degli artt. 1362 e ss. cod. civ. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.’. Lamenta che della maggior parte di quei pochi emolumenti retributivi esaminati nella sentenza impugnata è stata completamente travista l’interpretazione.
Possono essere congiuntamente esaminati il primo ed il quarto motivo, all’evidenza connessi. E’ la stessa ricorrente, infatti, a far presente che la manifesta contraddittorietà motivazionale, denunciata nel quarto motivo, era stata già fatta valere nell ‘ambito del primo motivo.
Tali due motivi sono infondati.
In entrambi la ricorrente in rubrica indica il vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., vizio che concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa
(e, quindi, nel caso di motivo d’appello, uno dei fatti costitutivi della ‘domanda’ di appello) (cfr., ad es., Cass. n. 1539/2018), e che si configura quando il giudice investito della domanda o della impugnazione abbia totalmente omesso, sulla questione, qualsiasi decisione (cfr., tra le altre, Cass. n. 21277/2007).
8.1. In realtà, come meglio si trae dallo svolgimento di ambo le censure, la ricorrente deduce talune anomalie motivazionali.
In particolare, nel primo motivo prospetta che si sarebbe in presenza di una ‘motivazione apparente’, perché nell’impugnata sentenza vi sarebbe ‘mero rinvio’ alla sentenza di primo grado, ma anche una palese incomprensibilità e contraddittorietà della pronuncia, che, come già notato, è denunciata anche nel quarto motivo.
Occorre, allora, ricordare che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (così, tra le altre, Cass., sez. un., 9.10.2019, n. 25392).
10.1. Inoltre, secondo questa Corte, il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132, n. 4, c.p.c., che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto e in diritto posti a fondamento della sua decisione, e dovendo
ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito (cfr. Cass. n. 12652/2020).
Ciò premesso, nella motivazione resa dalla Corte distrettuale non sono assolutamente riscontrabili i vizi denunciati dalla ricorrente.
11.1. In particolare, l’impugnata sentenza, oltre a riportare testualmente le conclusioni rassegnate dalle parti in secondo grado (cfr. pagg. 2-4), ha anzitutto dato sinteticamente conto di quanto ritenuto e deciso dal primo giudice e delle posizioni assunte dalle parti in prime cure (cfr. pagg. 4-5); quindi, ha illustrato quale fosse la questione oggetto di causa (cfr. § 4. a pag. 6).
11.2. Inoltre, nella specie, la sentenza d’appello non è motivata meramente per relationem alla sentenza di primo grado.
La Corte di merito, piuttosto, ha trascritto nella sua sentenza ampia parte della motivazione del Tribunale di Verona, in base alla quale erano state rigettate le opposizioni dell’attuale ricorrente per cassazione (cfr. § 5. dalla pag. 6 alla pag. 7).
Indi, ha dato conto del contenuto sia del primo motivo d’appello (cfr. § 6 a pag. 9) che del secondo motivo (cfr. § 7 a pag. 10).
E’ di tutta evidenza, allora, che la decisione gravata non reca una motivazione ‘apparente’, né per relationem alla sentenza di primo grado.
12.1. Ed è altrettanto evidente che non è riscontrabile la benché minima contraddizione tra il passo motivazionale in cui la Corte ha giudicato irrilevanti deduzioni e difese dell’appellante e quello in cui ha concluso che quest’ultima non aveva provato la ‘volontà dei contraenti di prorogare oltre la scadenza naturale i contratti collettivi aziendali nella loro integralità’.
Infatti, la Corte distrettuale ha considerato che quelle deduzioni e prove documentali (comprese quelle già dichiarate inammissibili e ‘anche a volerne ammettere la produzione’) erano irrilevanti ‘poiché disciplinavano istituti diversi da quelli da quelli per cui è causa’, e, come tali, in ogni caso estranee al thema probandum , come individuato dalla medesima Corte.
13. Inammissibile è il secondo motivo.
14. Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, infatti, la violazione dell’art. 2697 c.c. è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (così, di recente, tra le tante, Cass. n. 6374/2023).
14.1. Inoltre, in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua
iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrete al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (in tal senso, tra le altre, Cass. n. 13796).
14.2. Ancora, in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’articolo 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce a una differente risultanza probatoria (quale, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato articolo 360, comma 1, n. 5, c.p.c. solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (così, ex plurimis , Cass. n. 31510/2021).
14.3. Infine, secondo altro consolidato indirizzo di legittimità, spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico, verificare la loro rispondenza ai requisiti di legge, e apprezzare in concreto l’efficacia sintomatica dei singoli fatti noti, non solo
analiticamente ma anche nella loro convergenza globale, accertandone la pregnanza conclusiva, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità (così, tra le altre, Cass., sez. I, 26.4.2023, n. 10908).
Ebbene, la ricorrente, nel denunciare cumulativamente la violazione degli artt. 115, 116 c.p.c., 2697 e 2729 c.c. nel secondo motivo, non deduce la violazione di ognuna di tali previsioni in nessuno dei modi consentiti in questa sede di legittimità.
15.1. Piuttosto la ricorrente propone una propria rivisitazione delle risultanze processuali (cfr. pagg. 35-46 del ricorso), in base alla quale ‘la Corte d’appello avrebbe dovuto concludere che vi erano tutti i presupposti di fatto e di diritto per la trasformazione dei contratti collettivi aziendali in negozi a tempo indeterminato, da cui è pacificamente ammesso il recesso, stante la dimostrata volontà di entrambi i contraenti di continuare ad applicare le previsioni retributive e normative in essi contenu te’.
Parimenti inammissibile è il terzo motivo.
A prescindere dalla considerazione che tale censura andava proposta ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c. (cfr., ad es., Cass. n. 23660/2020), secondo un consolidato orientamento di questa Corte, il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di
certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi risulti priva di fondamento (cfr., ex multis , Cass. n. 16271/2022). Inoltre, il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente i mezzi istruttori, trascrivendo le circostanze che costituiscono oggetto di prova (cfr. Cass. n. 36388/2022).
Nel motivo in esame si accenna a ‘richieste istruttorie orali’ non meglio specificate, mentre a pag. 12 del ricorso, in sede di sommaria esposizione dei fatti di causa, si fa riferimento ad una richiesta di ‘ammissione della prova per testi, con i soggetti peraltro già indicati in primo grado (non sentiti, poiché ritenuto superfluo), sulle circostanze riportate nel relativo ricorso, volte tutte ad avvalorare, semmai ve ne fosse bisogno, la documentazione versata in atti’.
Rileva, allora, il Collegio che la ricorrente, non solo non ha trascritto in nessun punto del ricorso i capitoli di tale prova testimoniale, ma neanche ne delinea l’oggetto. Neppure, soprattutto, ne prospetta la decisività nei termini dianzi specificati, in caso di ammissione, perché assume piuttosto che tali richieste istruttorie erano volte solo ‘a corroborare quanto già emergente ex actis ‘.
20. E’ infine inammissibile il quinto motivo.
Secondo la ricorrente, ‘dalla corretta applicazione dei canoni ermeneutici ricompresi nell’art. 1362 c.c., nel primo, e soprattutto nel secondo comma’, ‘il Tribunale di Verona, prima, e la Corte d’Appello di Venezia, poi, avrebbero dovuto ricavare la volontà delle parti sottoscriventi i contratti collettivi aziendali, di cui si discute, di prorogare a tempo indeterminato,
tacitamente, fino a nuova revisione ovvero fino al recesso manifestato da una delle due, le previsioni in essi contenute’.
Nota, tuttavia, il Collegio che nella censura in esame, e in realtà nell’intero ricorso, manca qualsiasi trascrizione del testo di tali contratti collettivi aziendali, dei quali non viene riportato il contenuto neanche con riferimento agli ‘emolumenti retributivi’ oggetto di controversia.
Inoltre, come si trae chiaramente dallo sviluppo della doglianza, essa consta essenzialmente di un’ulteriore critica dell’apprezzamento probatorio operato dai giudici di merito, tornando a sostenersi un’ ‘omessa valutazione di moltissime prove documentali dalle quali si desumeva senza ombra di dubbio la volontà anche delle RAGIONE_SOCIALE di riconoscere la fonte degli emolumenti retributivi proprio nei precedenti accordi aziendali la cui vigenza era ritenuta attuale sino al recesso del datore di lavoro’.
La ricorrente, in quanto soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi e in € 2.000,00
per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del