Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5989 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 5989 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 06/03/2024
SENTENZA
sul ricorso 18257-2017 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, ed RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, INDIRIZZO, nello studio dell’AVV_NOTAIO, che le rapprese nta e difende
– ricorrente e ricorrente successivo-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMAINDIRIZZO, nello studio dell ‘AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso da ll’AVV_NOTAIO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 6/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 04/04/2017;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME;
udito il P.G., nella persona della dott. ssa NOME COGNOME ; uditi l’AVV_NOTAIO, per le società ricorrent i, e l’AVV_NOTAIO, per la parte controricorrente
FATTI DI CAUSA
Con delibera n. 126 del 2001 della Giunta comunale di Alfedena e ordinanza dirigenziale della Regione Abruzzo n. DH-16/61 del 2002 veniva affidato ad un tecnico l’incarico di procedere alla verifica demaniale del territorio del Comune di Alfedena. A seguito del deposito della relazione del tecnico incaricato, la Regione Abruzzo approvava la verifica con determina DH-16/49/Usi civici del 2006 ed il Comune di Alfedena notificava ad RAGIONE_SOCIALE, il 20.6.2007, l’avviso di deposito della verifica predetta, che comprendeva anche alcuni terreni inclusi nel bacino idroelettrico denominato ‘Montagna Spaccata’.
Il 23.7.2007 RAGIONE_SOCIALE depositava presso la Regione Abruzzo atto di opposizione alla verifica di cui anzidetto, allegando, nell’ordine: di aver acquistato il compendio interessato dal bacino idroelettrico sopra menzionato in parte dal Comune di Alfedena, con atto a rogito del AVV_NOTAIO in Isernia del 23.5.1956, in parte da privati a seguito di cessioni bonarie; di aver realizzato il bacino nel
1958; che i diritti di uso civico erano decaduti a seguito della loro mancata denuncia nel termine di sei mesi previsto dall’art. 3 della legge n. 1766 del 1927; che era intervenuta espropriazione per pubblica utilità giusta decreto del Prefetto de L’Aquila del 10.9.1960.
A seguito di richiesta di reintegra del Comune di Alfedena, la Regione Abruzzo fissava la data dell’8.11.2007, ed in quella occasione veniva stilato verbale negativo, a seguito dell’opposizione sia di RAGIONE_SOCIALE che di RAGIONE_SOCIALE
Con nota del 12.11.2007 la Regione Abruzzo segnalava al Commissario per la liquidazione degli usi civici la mancata reintegra dei terreni oggetto dell’opposizione, per l’adozione dei provvedimenti di sua competenza.
Con successiva nota del 13.8.2008 il Comune di Alfedena chiedeva la fissazione dell’udienza di trattazione dell’opposizione alla reintegra, che veniva poi effettivamente fissata per il 12.1.2009, giusta decreto del 15.11.2008.
Si costituivano in giudizio RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE, eccependo il difetto di giurisdizione del Commissario a favore del Tribunale delle Acque Pubbliche di Roma, la carenza di prova sulla natura demaniale dei terreni oggetto di causa e comunque la loro intervenuta espropriazione giusta il decreto prefettizio del 10.9.1960, già in precedenza menzionato.
Si costituiva il Comune di Alfedena, invocando la declaratoria della natura demaniale, per destinazione ad uso civico, dell’area oggetto di causa, della nullità di tutti gli atti e provvedimenti dispositivi ad essa relativi, e la condanna dell’occupante abusivo al suo rilascio ed al pagamento dei frutti maturati a fronte dell’occupazione, sia per il passato che per il futuro.
Dopo aver rigettato, con provvedimento non definitivo, l’eccezione preliminare di difetto di giurisdizione, il Commissario rigettava l’opposizione, con sentenza n. 15/2015, riconoscendo la natura demaniale dei terreni oggetto di causa, assoggettati ad uso civico.
Con la sentenza impugnata, n. 6/2017, la Corte di Appello di Roma rigettava il reclamo interposto da RAGIONE_SOCIALE e dichiarava inammissibile quello proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la decisione di prima istanza, confermando quest’ultima e condannando le due parti reclamanti alle spese del grado.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a tre motivi.
Propone successivo ricorso anche RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a quattro motivi.
Resiste con separati controricorsi, ad ambedue le predette impugnazioni, il Comune di Alfedena.
La Regione Abruzzo, intimata, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
Il ricorso è stato chiamato dapprima in adunanza camerale, in prossimità della quale le parti hanno depositato memoria, e poi all’udienza pubblica del 13.9.2022, in prossimità della quale il Comune di Alfedena ha depositato ulteriore memoria.
Con ordinanza interlocutoria n. 34460/2022, questa sezione ha rimesso alle Sezioni Unite di questa Corte la questione di particolare importanza, posta sia dal secondo motivo di ricorso di RAGIONE_SOCIALE che dal terzo motivo di ricorso di RAGIONE_SOCIALE, concernente la possibilità di espropriare per scopi di pubblica utilità terreni soggetti ad uso civico, in assenza di precedente provvedimento di loro sdemanializzazione.
Il ricorso è stato quindi chiamato nuovamente dinanzi le Sezioni Unite, all’udienza pubblica del 4.4.2023, in prossimità della quale le parti hanno depositato ulteriori memorie.
Con sentenza n. 12570/2023 le Sezioni Unite hanno rigettato il secondo motivo del ricorso di RAGIONE_SOCIALE ed il terzo motivo del ricorso di RAGIONE_SOCIALE, affermando il principio secondo cui ‘… i diritti di uso civico gravanti su beni collettivi non possono essere posti nel nulla (ovvero considerati implicitamente estinti) per effetto di un decreto di espropriazione per pubblica utilità, poiché la loro natura giuridica assimilabile a quella demaniale lo impedisce essendo, perciò, necessario, per l’attuazione di una siffatta forma di espropriazione, un formale provvedimento di sdemanializzazione, la cui mancanza rende invalido il citato decreto espropriativo che implichi l’estinzione di eventuali usi civici di questo tipo ed il correlato trasferimento dei relativi diritti sull’indennità di espropriazione’ e rimettendo a questa sezione l’esame degli ulteriori motivi di impugnazione proposti dalle due parti ricorrenti.
Per lo scrutinio dei predetti restanti motivi, quindi, il ricorso è stato chiamato nuovamente all’odierna udienza pubblica, in prossimità della quale hanno depositato memoria RAGIONE_SOCIALE ed il Comune di Alfedena.
Sono comparsi all’udienza pubblica del 27.2.2024 l’AVV_NOTAIO, per entrambe le società ricorrenti, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, l’AVV_NOTAIO, per il Comune controricorrente, il quale ha concluso per il rigetto, ed il P.G., che ha concluso per il rigetto.
RAGIONI COGNOMEA DECISIONE
Poiché i motivi proposti dai due ricorsi di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE sono in larga parte sovrapponibili, gli stessi
possono essere esaminati congiuntamente, in relazione al loro contenuto.
In particolare, con il primo motivo del ricorso di RAGIONE_SOCIALE ed il secondo motivo del ricorso di RAGIONE_SOCIALE viene denunziata la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 della legge n. 1766 del 1927, 1 e 12 delle disposizioni sulla legge in generale e 948 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente affermato l’inapplicabilità della disposizione di cui all’art. 3 della legge n. 1766 del 1927 -che prevede l’estinzione dei diritti di uso civico non denunziati entro sei mesi dalla sua entrata in vigore- al caso di specie, sul presupposto che la norma si riferisca soltanto ai diritti gravanti su terreni privati, e non anche a quelli inerenti i terreni appartenenti al demanio civico universale o comunale. Ad avviso della società ricorrente, la norma non prevederebbe alcuna distinzione tra i diritti di uso civico incidenti su terreni privati e pubblici, e sarebbe stata ispirata alla finalità generale di realizzare un accertamento definitivo e globale degli usi civici ancora esistenti, al fine di superare ogni indugio dei soggetti interessati.
Le due censure, suscettibili di esame congiunto in quanto perfettamente coincidenti, sono infondate.
Questa Corte ha a più riprese affermato il principio secondo cui ‘In tema di usi civici, la dichiarazione prevista dall’art. 3 della legge 16 giugno 1927 n. 1766, secondo cui chiunque pretenda di esercitare diritti di uso civico di ‘promiscuo godimento” è tenuto a farne dichiarazione al commissario liquidatore entro sei mesi dalla pubblicazione della legge, pena l’estinzione dei relativi diritti, non riguarda i diritti sui terreni che, appartenendo al demanio universale o comunale, siano propri della stessa collettività degli utenti; infatti, allo scopo di evitare contrasti o incertezze fra le popolazioni agrarie, il
legislatore, nel prevedere l’obbligo della denuncia esclusivamente per i diritti di promiscuo godimento, ha inteso riferirsi ai diritti di uso civico su beni altrui, non potendosi tale ipotesi configurare nel caso di titolarità dei beni spettanti alla stessa universitas di appartenenza degli utenti, anche quando i diritti siano esercitati da collettività residenti in parti limitate del territorio comunale .Tale normativa non è in contrasto con gli art. 3 e 42 Cost., giacché la profonda diversità dei contenuti dei diritti di uso civico, su beni privati o appartenenti ad enti territoriali distinti da quelli di residenza degli utenti, rispetto a quelli aventi ad oggetto beni della propria universitas, giustifica la diversa disciplina, senza incontrare alcuna controindicazione nell’esigenza della libera circolazione dei beni; quest’ultima, infatti, non può considerarsi un connotato necessario dei beni oggetto di proprietà pubblica che, ai sensi del primo comma dell’art. 42 Cost., sono tenuti distinti da quelli oggetto di proprietà privata’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. del 16/03/2007, Rv. 595528; nei medesimi termini, cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. del 09/02/2001, Rv. 543760; Cass. Sez. 2, Sentenza n. del 26/10/1993, Rv. 484076; nonché Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1663 del 05/07/1967, Rv. 328479, secondo la quale la norma di cui all’art. 3 della legge n. 1766 del 1927 è inapplicabile anche agli usi civici gravanti sulle acque del demanio, tra i quali quelli di pesca, espressamente esclusi dal procedimento di liquidazione giusta l’art. 10 del regolamento n. 332 del 1928).
Il presupposto dal quale muove il richiamato orientamento, al quale è opportuno dare continuità, è che le terre e le acque appartenenti al demanio universale, comunale o statale, gravate di uso civico, appartengano già di per sé alla comunità degli utenti. In relazione a detti beni, dunque, non si pone alcun problema di certificare l’esistenza dei diritti di uso civico, poiché essi sono destinati alla soddisfazione
delle esigenze della comunità in funzione della loro natura demaniale. Il procedimento di accertamento previsto dall’art. 3 della legge n. 1766 del 1927, mediante la denuncia dell’esistenza del diritto di uso civico nel termine semestrale previsto dalla norma, si applica dunque solo in relazione ai terreni privati, poiché solo in relazione a questi ultimi si pone il problema della certificazione dell’esistenza dei diritti di uso civico. Detti diritti, del resto, implicano un peso gravante sul bene sul quale insistono, analogamente a quanto accade con gli iura in re aliena, onde per essi la procedura di accertamento, mediante la tempestiva denuncia prevista dalla norma di cui si discute, è giustificata. Al contrario, i diritti di uso civico incidenti su terreni demaniali si risolvono in un peso gravante in re propria, e dunque per essi non si pone alcuna esigenza di certificarne l’esistenza, mediante la procedura di denuncia di cui all’art. 3 sopra richiamato, alla luce del peculiare statuto della proprietà pubblica, differenziato da quello della proprietà privata, che implica l’inusucapibilità e l’inalienabilità dei beni che ne fanno parte, nonché l’impossibilità di destinarli a finalità diverse da quelle di interesse pubblico e generale.
Con il terzo motivo del ricorso di RAGIONE_SOCIALE ed il quarto motivo del ricorso di RAGIONE_SOCIALE viene invece denunziata la violazione o falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 29 della legge n. 1766 del 1927, 15 e 30 del R.D. n. 332 del 1928, 61 e 191 c.p.c., 9 della legge 1.9.1806, 4 del decreto 8.6.1807, 31 del decreto 3.12.1808 e 182 della legge 12.12.1986 del Regno di Napoli, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ravvisato la natura demaniale dei terreni oggetto di causa, in quanto compresi in parte nell’ex feudo ‘Roccasecca e Biscurri’ ed in parte nel demanio ‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘, trascurando il fatto che nel 1814 sarebbe stata ordinata, e realizzata, l’operazione di
quotizzazione ed assegnazione ai cittadini delle terre comprese nel feudo sopra indicato. Poiché tale operazione si sarebbe svolta nella vigenza dell’art. 9 della legge 1.9.1806 del Regno di Napoli, secondo cui ‘Le terre divise in forza della presente legge saranno proprietà libere dei cittadini, sotto il peso del canone’ , le stesse avrebbero conseguito natura allodiale. La C.T.U. non avrebbe adeguatamente considerato tale decisiva circostanza ed avrebbe invece valorizzato documenti di per sé irrilevanti ai fini della individuazione del regime di proprietà, pubblica o privata, dei suoli oggetto di causa.
Le due censure, suscettibili di esame congiunto in quanto perfettamente coincidenti, sono inammissibili.
La Corte di Appello ha confermato, sul punto, la statuizione del Commissario, che aveva rilevato l’appartenenza dei terreni oggetto di causa al demanio in virtù della loro originaria appartenenza al feudo ‘Roccasecca e Biscurri’ e (in minima parte) al demanio ‘RAGIONE_SOCIALE‘ e del fatto che, al momento dell’occupazione, da parte dell’RAGIONE_SOCIALE, dante causa dell’RAGIONE_SOCIALE, una quota di ha 9.29.02 apparteneva a demanio oggetto di occupazione abusiva da parte di privati (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata). La Corte distrettuale ha condiviso le conclusioni cui era pervenuto il Commissario per la liquidazione degli usi civici, dando atto che queste ultime erano fondate su una serie di documenti, richiamati dal C.T.U., confermativi della natura demaniale dei suoli di cui è causa (cfr. pag. 8 della sentenza). Le due società ricorrenti contrappongono, alla ricostruzione del fatto e delle prove prescelta dal giudice di merito, una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura
ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. del 13/06/2014, Rv. 631330).
Nel caso di specie, infine, la motivazione della sentenza impugnata non risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico-argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
Infine, con il primo motivo del ricorso di RAGIONE_SOCIALE viene denunziata la violazione e falsa applicazione degli artt. 343, 166 c.p.c., nonché della legge n. 1078 del 1930, ed inapplicabilità del D. Lgs. n. 150 del 2011, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3,
c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente dichiarato inammissibile l’impugnazione proposta, avverso la decisione di prime cure, da RAGIONE_SOCIALE
La censura è inammissibile per carenza di interesse all’impugnazione, posta l’esatta coincidenza tra le censure ulteriori, proposte rispettivamente da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE Peraltro, tutte dette censure sono infondate, in parte giusta le statuizioni contenute nella sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 12570/2023, ed in parte alla luce di quanto sin qui esposto nella presente decisione. La censura residua, dunque, si risolve nella deduzione di un vizio processuale il cui eventuale accoglimento non implicherebbe alcun effetto favorevole per la parte che lo ha dedotto. Sul punto, va data continuità al principio secondo cui ‘L’interesse ad agire richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica ma anche che la parte prospetti l’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice poiché il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per l’attore senza che siano ammissibili questioni di interpretazioni di norme, se non in via incidentale e strumentale alla pronuncia sulla domanda principale di tutela del diritto ed alla prospettazione del risultato utile e concreto che la parte in tal modo intende perseguire’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n.
del 28/11/2008; Rv. 605612; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. del 28/06/2010, Rv. 613874; Cass. Sez. 6-L, Ordinanza n. del 27/01/2011, Rv. 616029; Cass. Sez. L, Sentenza n. del 04/05/2012, Rv. 622515). Infatti ‘… il processo non può essere utilizzato solo in previsione della soluzione in via di massima o accademica di una questione di diritto in vista di situazioni future o
meramente ipotetiche’ (Cass. Sez. L, Sentenza n. del 23/12/2009, Rv. 611498).
Infine, va evidenziato che, solo con la memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica del 27.2.2024, la parte ricorrente ha sollevato la questione concernente l’applicabilità, allo scrutinio di legittimità dell’atto amministrativo, del principio generale del tempus regit actum . In particolare, poiché la categoria della nullità sarebbe stata introdotta, nel diritto amministrativo, soltanto a seguito della entrata in vigore della legge n. 205 del 2005, la legittimità dell’atto con il quale sarebbe stato realizzato l’esproprio dei terreni di cui è causa, ai fini della realizzazione del bacino oggi gestito dalle due società ricorrenti, dovrebbe essere valutata con riferimento alla disciplina all’epoca vigente, e dunque i suoi effetti dovrebbero essere ritenuti inoppugnabili, a fronte della sua mancata impugnazione nel termine generale previsto, all’epoca della sua adozione, per la contestazione della legittimità degli atti promananti dalla pubblica amministrazione.
La questione, oltre ad essere nuova, perché non proposta con i motivi di ricorso, è coperta dalla statuizione delle Sezioni Unite, le quali, con la già richiamata sentenza n. 12570/2023, hanno affrontato la tematica inerente la stabilità degli effetti prodotti dal decreto di esproprio sui terreni appartenenti al demanio di uso civico, affermando l’inidoneità del predetto provvedimento a porre nel nulla diritti di natura sostanzialmente demaniale, in assenza di un atto idoneo a causare la cessazione di detta destinazione (cd. sdemanializzazione).
In sede di discussione, infine, la parte ricorrente ha evidenziato la problematicità dell’opzione interpretativa fatta propria dalle Sezioni Unite di questa Corte, poiché essa trascurerebbe di rilevare che, poiché la sdemanializzazione di un terreno consegue ad una procedura ad istanza di parte, l’effetto ablativo dell’atto di esproprio finirebbe per
essere condizionato al consenso dell’espropriato. Anche questa tematica, oltre ad essere nuova, perché non proposta con gli originari motivi di ricorso, è comunque infondata, in quanto nel caso di specie non si discute di aree private, ma di terreni appartenenti al cd. demanio di uso civico. La cessazione della natura sostanzialmente demaniale di dette aree, dunque, e la loro destinazione a diverse finalità, quali quelle dipendenti o connesse alla realizzazione di un’opera pubblica del genere di quella oggetto di causa, ed al perseguimento di un correlato interesse generale, va dunque prevista e regolata nell’ambito del procedimento amministrativo finalizzato al conseguimento di tutte le autorizzazioni ed i consensi richiesti dalla legge, se del caso mediante il ricorso agli strumenti di amministrazione partecipativa disciplinati dalla normativa sul procedimento amministrativo.
In definitiva, vanno rigettati anche i residui motivi il cui esame è stato rimesso dalle Sezioni Unite a questa Sezione. Il ricorso va quindi rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, regolate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P .R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
PQM
la Corte rigetta il ricorso e condanna le società ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 8.200, di cui € 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali in ragione del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di entrambe le società ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda