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Usi civici: l’esproprio non basta senza sdemanializzazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di due società energetiche che avevano realizzato un bacino idroelettrico su terreni di proprietà collettiva. La Corte ha stabilito che un decreto di esproprio per pubblica utilità non è sufficiente a estinguere i diritti di usi civici gravanti su un bene, poiché è necessario un preventivo e formale provvedimento di sdemanializzazione. L’assenza di tale atto rende invalido l’esproprio su questi beni, assimilabili al demanio pubblico.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Civile, Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

Usi civici e pubblica utilità: l’esproprio non prevale senza sdemanializzazione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale a tutela delle proprietà collettive: i terreni gravati da usi civici non possono essere oggetto di esproprio per pubblica utilità se non preceduto da un formale atto di sdemanializzazione. Questa decisione consolida la natura demaniale di tali beni e ne rafforza la protezione, anche di fronte a esigenze di pubblica utilità.

I Fatti di Causa

La controversia nasce dalla pretesa di un Comune di accertare la natura demaniale di alcuni terreni, gravati da usi civici, sui quali era stato realizzato un bacino idroelettrico da parte di due importanti società del settore energetico. Queste ultime si opponevano, sostenendo di aver legittimamente acquisito i terreni, in parte tramite compravendita dal Comune stesso e da privati, e in parte a seguito di un decreto di espropriazione per pubblica utilità emesso decenni prima. Inoltre, le società sostenevano che gli eventuali diritti di usi civici si fossero estinti per mancata denuncia entro i termini previsti dalla legge del 1927.

Sia il Commissario per la liquidazione degli usi civici che la Corte d’Appello avevano dato ragione al Comune, riconoscendo la natura demaniale dei terreni e l’illegittimità dell’occupazione. Le società energetiche hanno quindi proposto ricorso in Cassazione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte, nel rigettare i ricorsi, ha affrontato e chiarito due questioni giuridiche centrali, consolidando l’orientamento delle Sezioni Unite.

L’estinzione dei diritti di usi civici per mancata denuncia

Il primo argomento delle ricorrenti riguardava l’applicazione dell’art. 3 della legge n. 1766 del 1927, che prevedeva l’estinzione dei diritti di usi civici non denunciati entro sei mesi dalla sua entrata in vigore. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: tale norma si applica esclusivamente ai diritti di usi civici che gravano su terreni di proprietà di privati (iura in re aliena). Non si applica, invece, ai diritti esercitati dalla collettività su terreni che già le appartengono, come il demanio comunale o universale (iura in re propria). In questo secondo caso, non sorge alcun problema di certificare l’esistenza del diritto, poiché il bene è già intrinsecamente destinato a soddisfare le esigenze della comunità. La norma del 1927 mirava a risolvere i conflitti tra proprietari privati e collettività, non a mettere in discussione la natura pubblica dei beni demaniali.

La prevalenza degli usi civici sull’espropriazione

Il punto cruciale della sentenza, già affrontato dalle Sezioni Unite, riguarda il rapporto tra espropriazione per pubblica utilità e usi civici. Le società sostenevano che il decreto di esproprio avesse sanato ogni situazione, trasferendo la proprietà libera da vincoli. La Corte ha affermato il principio opposto: “i diritti di uso civico gravanti su beni collettivi non possono essere posti nel nulla (…) per effetto di un decreto di espropriazione per pubblica utilità”.

La natura giuridica di questi beni è assimilabile a quella del demanio. Pertanto, per poterli legittimamente espropriare, è indispensabile un atto formale e preventivo di sdemanializzazione. Questo provvedimento amministrativo è l’unico strumento idoneo a sottrarre il bene alla sua destinazione pubblica e a renderlo disponibile per altre finalità, inclusa la realizzazione di un’opera pubblica. La mancanza di tale atto rende invalido il decreto espropriativo, che non può implicitamente cancellare la natura demaniale del bene e i diritti collettivi ad esso connessi.

La Corte ha inoltre dichiarato inammissibili le censure relative alla ricostruzione dei fatti e alla valutazione delle prove storiche, ribadendo che il giudizio di legittimità non consente un riesame del merito, ma solo un controllo sulla corretta applicazione del diritto e sulla logicità della motivazione.

Le Conclusioni

La sentenza conferma la solida protezione accordata dall’ordinamento ai beni di proprietà collettiva e agli usi civici. Viene stabilito in modo inequivocabile che le procedure di esproprio non possono prevalere automaticamente sulla natura demaniale di questi terreni. La Pubblica Amministrazione, anche quando persegue un interesse pubblico, deve seguire l’iter corretto, che include, come passaggio obbligato, la sdemanializzazione del bene. Questa decisione rappresenta una garanzia fondamentale per la conservazione del patrimonio collettivo e un monito a rispettare le procedure a tutela di beni che appartengono alla comunità.

Un terreno gravato da usi civici può essere espropriato per pubblica utilità?
No, non direttamente. La Corte di Cassazione, richiamando le Sezioni Unite, ha stabilito che un decreto di esproprio è invalido se non è preceduto da un formale provvedimento amministrativo di sdemanializzazione, che sottragga il bene alla sua destinazione pubblica.

L’obbligo di denunciare i diritti di uso civico, previsto dalla legge del 1927, si applica anche ai terreni appartenenti a un Comune?
No. La Corte ha chiarito che tale obbligo, la cui omissione comportava l’estinzione del diritto, riguardava solo i diritti di uso civico gravanti su fondi di proprietà privata. Non si applica ai terreni già appartenenti al demanio comunale o universale, poiché in quel caso il diritto della collettività è insito nella proprietà stessa del bene.

La Corte di Cassazione può riesaminare le prove per stabilire se un terreno ha natura demaniale?
No. La Corte ha ribadito che il suo ruolo è quello di giudice di legittimità, non di merito. Pertanto, non può effettuare una nuova valutazione dei documenti o delle prove per rivedere la ricostruzione dei fatti operata dai giudici dei gradi precedenti, a meno che la motivazione della sentenza impugnata non sia palesemente illogica o del tutto assente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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