Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 26598 Anno 2024
Civile Ord. Sez. U Num. 26598 Anno 2024
Presidente: COGNOME PASQUALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso 34906-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e domiciliata presso la cancelleria della Corte di Cassazione
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’RAGIONE_SOCIALE, in sostituzione del precedente difensore, e domiciliato presso in ROMA alla INDIRIZZO
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 200/2019 della CORTE D’APPELLO di RAGIONE_SOCIALE, depositata il 05/08/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/09/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO, il quale chiede che la Corte di Cassazione a Sezioni Unite voglia dichiarare inammissibile il primo motivo di ricorso e rigettare il sesto e l’ottavo, rimettendo alla sezione semplice per la decisione RAGIONE_SOCIALE altri motivi;
lette le memorie delle parti;
RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Con atto di citazione notificato il 16.10.2015 l’RAGIONE_SOCIALE evocava in giudizio il RAGIONE_SOCIALE ed il RAGIONE_SOCIALE innanzi il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, invocando l’accertamento dell’occupazione senza titolo, da parte dei convenuti, di alcuni terreni gravati da uso civico in favore RAGIONE_SOCIALE abitanti della frazione, e la loro condanna al rilascio dei detti beni, alla remissione in pristino ed al risarcimento del danno.
A fondamento della domanda l’attrice poneva la sentenza della Corte di Appello di Roma n. 20/2013, passata in giudicato, con la quale era stata rigettata la domanda del RAGIONE_SOCIALE di accertamento dell’intervenuta estinzione del diritto di uso civico sui terreni di cui è causa, a fronte della loro irreversibile trasformazione derivata dall’edificazione sugli stessi di un centro sportivo.
Si costituiva il RAGIONE_SOCIALE, resistendo alla domanda ed invocando, in via riconvenzionale, la condanna del RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di € 738.157,85 spesa per la costruzione del centro sportivo. Si costituiva anche il RAGIONE_SOCIALE, resistendo a sua volta alla domanda e chiedendo in via riconvenzionale subordinata la condanna dell’attrice alla refusione dei contributi spesi dal RAGIONE_SOCIALE per la valorizzazione del diritto di uso civico, pari ad € 716.135,03.
Con sentenza n. 611/2017 il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda, condannando il RAGIONE_SOCIALE alla restituzione dei terreni oggetto della domanda, dichiarando il difetto di giurisdizione relativamente alla domanda di remissione in pristino RAGIONE_SOCIALE stessi, e rigettando ogni altra richiesta.
Con la sentenza impugnata, n. 200/2019, la Corte di Appello di RAGIONE_SOCIALE rigettava tanto il gravame principale interposto dall’originaria parte attrice, che quelli incidentali proposti dai convenuti, confermando la decisione di prime cure, salva la correzione di un errore materiale nell’identificazione catastale dei beni oggetto della controversia.
In particolare, dopo avere superato alcune eccezioni di carattere processuale, rilevava che, in base alla legge della Provincia di RAGIONE_SOCIALE n. 6/2005, i beni frazionali di uso civico sono amministrati dall’RAGIONE_SOCIALE, ove costituita, e nella fattispecie l’appellante era stata istituita solo nel 2007.
La Corte d’Appello di Roma sezione speciale usi RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza n. 20/2013 aveva confermato che i terreni oggetto di causa erano gravati da uso civico in favore RAGIONE_SOCIALE abitanti delle frazioni di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, senza che potesse sostenersi la loro estinzione a seguito della realizzazione del centro sportivo, posto che, essendo esclusa una sdemanializzazione di fatto, vi era stata una semplice compressione dell’uso civico insistente.
La sentenza di primo grado aveva riconosciuto il diritto dell’RAGIONE_SOCIALE alla riconsegna del bene e ciò era stato tentato anche dal comune di RAGIONE_SOCIALE, che si era appunto reso disponibile al rilascio, in favore del soggetto che, a seguito anche della pronuncia appellata, era stato riconosciuto come unico legittimato a disporre dei beni, nei limiti e nel rispetto della citata legge provinciale.
Doveva però reputarsi che il RAGIONE_SOCIALE avesse amministrato in passato i beni ai sensi dell’art. 78 del DPR n. 616/1977, che attribuiva ai Comuni funzioni amministrative in materia di vigilanza dei beni di uso civico.
In tale ambito aveva perciò valorizzato il patrimonio d’uso civico, affidando all’altra convenuta la gestione del centro sportivo edificato.
Non era pertanto censurabile l’assunto del Tribunale secondo cui il RAGIONE_SOCIALE aveva agito in passato in virtù di una detenzione legittimata prima dal DPR n. 616/77 e poi dalla legge provinciale n. 6/2005.
Il potere di amministrazione era poi passato all’RAGIONE_SOCIALE per il periodo successivo alla sua istituzione, essendo però subentrato al RAGIONE_SOCIALE in tutti i rapporti attivi e passivi, ai sensi di quanto previsto dall’art. 5 della detta legge provinciale.
Tale ricostruzione permetteva anche di escludere la fondatezza della richiesta dell’appellante di addivenire alla condanna dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE alla restituzione del centro, atteso che questa era nel possesso del bene per effetto della convenzione conclusa con il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e che prevedeva la concessione in affidamento del servizio pubblico fino alla data del 2020, e ciò in quanto la convenzione risaliva al 2003, ancor prima della costituzione dell’RAGIONE_SOCIALE.
Le eventuali controversie relative alla validità ed all’applicazione della concessione rientrano peraltro nella giurisdizione del GA ex art. 133 co. 1, lett. b) c.p.a., in quanto il carattere pubblico del bene radica la giurisdizione del giudice amministrativo ove siano poste in discussione le clausole del disciplinare annesso alla concessione.
Doveva altresì essere disattesa la richiesta di risarcimento del danno avanzata nei confronti del RAGIONE_SOCIALE, per l’attività di gestione dei beni gravati da uso civico, occorrendo tenere conto di quella che era l’originaria condizione dei fondi (terreni paludosi ed
abbandonati), privi di ogni utilità per gli abitanti della frazione e nella sostanza nemmeno utilizzati per le esigenze silvo-pastorali, come peraltro si evinceva anche dalla documentazione oggetto di accurata disamina da parte del Tribunale.
Inoltre, nemmeno poteva configurarsi un pregiudizio per il ritardo nella riconsegna, essendo emerso che il RAGIONE_SOCIALE non aveva tratto alcun vantaggio economico dal bene, avendo piuttosto sostenuto oneri per la sua manutenzione, conservazione e gestione.
Circa, infine la richiesta di rimessione in pristino, la Corte d’Appello confermava la declaratoria di difetto di giurisdizione, in quanto la legge provinciale attribuisce alla Provincia il compito di verificare le occupazioni e la destinazione delle terre di uso civico. Una volta escluso che tali compiti possano farsi rientrare tra quelli dei Commissari per la liquidazione RAGIONE_SOCIALE usi RAGIONE_SOCIALE, i quali a seguito delle varie modifiche normative, sono rimasti operanti solo come organi di giurisdizione speciale ai sensi dell’art. 13 della legge principale, compete alla Provincia l’autorizzazione ad ogni modificazione della consistenza e destinazione delle terre gravate, così che ogni contestazione in ordine al merito dei suoi provvedimenti, ovvero circa la sua inerzia resta devoluta alla cognizione del GA.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, affidandosi ad otto motivi.
Resistono con separati controricorsi il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE ed il RAGIONE_SOCIALE
Con ordinanza interlocutoria n. 8475 del 28 marzo 2024, la Seconda Sezione civile ha rimesso il ricorso alla Prima Presidente
per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, vertendo alcuni motivi su questioni di giurisdizione.
Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte.
Le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza
2. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 2909 c.c., quanto alla sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 20/2013, nonché difetto di giurisdizione in relazione al disposto di cui all’art. 29 della legge n. 1766/1927, quanto alle affermazioni del giudice di appello secondo cui il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE avrebbe avuto una detenzione legittimata dei beni oggetto di causa, escludendo quindi l’illegittimità della condotta dell’ente convenuto, quanto all’utilizzazione dei beni stessi.
In tal modo non si sarebbe tenuto conto del fatto che con la citata sentenza, passata in giudicato, si era appurato che i diritti di uso RAGIONE_SOCIALE vantati dagli abitanti delle frazioni non si erano estinti e che la convenzione era intervenuta tra soggetti terzi rispetto all’RAGIONE_SOCIALE. Viceversa, deve ritenersi che l’attività comunale si connoti come
del tutto illegittima.
Inoltre, la valutazione di tale condotta esula dal novero di quelle riservate al GO, trattandosi di accertamento riservato al Commissario speciale.
Il secondo motivo lamenta la falsa applicazione dell’art. 78 del DPR n. 616/1977, nella parte in cui la Corte distrettuale sostiene che l’utilizzazione dei beni sarebbe avvenuta in forza di detenzione legittimata dalla detta norma, che invece si limita solo a prevedere la vigilanza sull’amministrazione dei beni di uso civico, il che esclude che il RAGIONE_SOCIALE ne avesse una detenzione legittimata.
Il terzo motivo denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione al fatto che il RAGIONE_SOCIALE ha goduto e disposto del bene uti dominus , anziché amministrarlo, quale bene appartenente al demanio civico delle frazioni di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE.
Si sostiene che vi sarebbe una diversa ricostruzione del fatto da parte del Tribunale rispetto a quanto accertato dalla Corte d’Appello, così che appare trascurato proprio il fatto che il RAGIONE_SOCIALE non aveva alcuna legittimazione a disporre dei beni uti dominus , né a porre in essere una serie di attività illegittime, quali la concessione del bene all’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ovvero il tentativo di far estinguere il diritto mediante intavolazione dei beni a proprio nome.
La diversa qualificazione del godimento del bene in termini di possesso avrebbe, quindi, evidenziato l’assoluta illegittimità della condotta del convenuto.
3. I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono in parte inammissibili ed in parte infondati. E’ inammissibile il motivo che denuncia il vizio di cui al n. 1 dell’art. 360, co. 1, c.p.c., in quanto è stata la stessa ricorrente ad adire il Tribunale al fine di far accertare l’illegittimità della condotta del RAGIONE_SOCIALE, che aveva realizzato sul bene un centro sportivo, e ciò proprio partendo da quanto appurato in precedenza dalla Corte d’Appello, che aveva reputato, a seguito di decisione di primo grado del Commissario per la liquidazione RAGIONE_SOCIALE usi RAGIONE_SOCIALE, che in realtà la condotta posta in essere dal RAGIONE_SOCIALE non avesse determinato la soppressione ovvero l’estinzione del diritto vantato dall’RAGIONE_SOCIALE, ma la sola compressione. Il giudice adito in questa sede, in primo grado, ha rigettato la domanda volta a far
accertare l’illegittimità dell’attività gestionale da parte del RAGIONE_SOCIALE e la sentenza è stata appellata dall’originaria parte attrice, senza che fosse stata messa in discussione la giurisdizione del giudice adito, con la conseguenza che sul punto deve reputarsi essere intervenuto un giudicato interno che preclude la deduzione della relativa questione in questa sede.
I motivi, come detto, appaiono altresì manifestamente infondati.
Già la legge n. 1766 del 1927, quanto all’individuazione del soggetto cui affidare la rappresentanza RAGIONE_SOCIALE interessi della collettività, nonché l’amministrazione dei beni interessati da uso civico, optò a favore del comune, in quanto individuato come ente particolarmente vicino ai fruitori del diritto. Ancorché, secondo la prevalente opinione della giurisprudenza, la proprietà dei beni resti in capo alla collettività dei cittadini (trattandosi di un’entità che di norma preesiste alla stessa istituzione dell’ente locale), la citata legge, accanto ai Comuni ha altresì previsto, nel caso in cui i diritti di uso civico siano riferibili agli abitanti di una frazione, e non all’intero territorio comunale, che vengano costituite le amministrazioni separate, le quali, pur senza acquisire una personalità giuridica (nella legge statale), sono munite di una soggettività giuridica, in quanto centro di imputazione RAGIONE_SOCIALE interessi della collettività installata nella frazione.
Risulta però pacifico che, nella vicenda in esame, l’istituzione della ricorrente è avvenuta solo di recente, e precisamente in epoca successiva all’emanazione della legge provinciale n. 6 del 2005, così che deve pervenirsi alla conclusione che, proprio alla luce della legislazione provinciale succedutasi nel tempo, il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE abbia legittimamente amministrato e gestito, ancorché in
vista della tutela RAGIONE_SOCIALE interessi RAGIONE_SOCIALE abitanti della frazione, i terreni per cui è causa.
L’art. 2 della legge provinciale n. 6 del 1956, rimasta in vigore fino all’emanazione della legge provinciale n. 6 del 2005, all’art. 1 comma 2, disponeva che: ‘All’amministrazione dei beni comunali di uso civico provvede direttamente il Consiglio comunale’, mentre all’articolo 3 specificava che: ‘I beni di uso civico di originaria appartenenza alle frazioni e quelli che ad esse passeranno in seguito ad affrancazione, sono amministrati separatamente, a profitto dei frazionisti, per mezzo di un comitato di tre membri per le frazioni con popolazione fino a 200 abitanti, e di 5 per quelle con popolazione superiore. Tuttavia, qualora la maggioranza dei capifamiglia di una frazione ne faccia richiesta, l’amministrazione sarà affidata al consiglio comunale, che dovrà attenersi alle norme di cui all’articolo precedente, al fine di assicurare che i beni vengano amministrati, separatamente da qualsiasi altro, ad esclusivo profitto dei frazionisti interessati, salvo in ogni caso il disposto dell’art. 8′.
E’ poi intervenuta la legge provinciale n. 6 del 2005 che all’art. 1 co. 2, dispone che: ‘Per i fini di questa legge si considerano beni di uso civico i demani collettivi e le rispettive pertinenze nonché gli altri beni gravati di uso civico appartenenti alla generalità dei cittadini residenti nel territorio frazionale o comunale, quali individuati ai sensi della legge 16 giugno 1927, n. 1766, sul riordino della disciplina RAGIONE_SOCIALE usi RAGIONE_SOCIALE, e del relativo regolamento di attuazione approvato con regio decreto 26 febbraio 1928, n. 332. Si considerano diritti di uso civico i diritti appartenenti ad una comunità di abitanti comunali o frazionali e quelli risultanti
dai rispettivi titoli di acquisto, formali o consuetudinari, prescindendo dall’esercizio in atto dei diritti RAGIONE_SOCIALE stessi.’
Mentre l’art. 3 bis prevede il subentro dell’RAGIONE_SOCIALE al RAGIONE_SOCIALE, una volta che la prima sia stata costituita, l’art. 4, al comma 2, conferma che l’amministrazione dei beni di uso civico comunale sia affidata al RAGIONE_SOCIALE, ma il terzo comma dispone che all’amministrazione dei beni frazionali di uso civico provvede il comune in assenza dell’RAGIONE_SOCIALE o del soggetto previsto dalla lettera a bis).
Ancora, il comma 3 bis prevede espressamente che le RAGIONE_SOCIALE possano acquisire la personalità giuridica di diritto privato, secondo quanto previsto dall’articolo 3 bis, comma 2, ed il comma 5 dello stesso articolo 4 dispone che l’amministrazione competente ai sensi di questo articolo (e quindi anche il RAGIONE_SOCIALE, in assenza dell’RAGIONE_SOCIALE) provvede all’effettuazione dei lavori ed alla manutenzione delle opere dirette a migliorare e valorizzare il patrimonio di uso civico che siano funzionali e compatibili con la destinazione dei beni, nell’ambito delle proprie competenze e finalità istituzionali.
Alla luce dell’evoluzione normativa riferita, che ha visto confermato nella legislazione provinciale l’assetto normativo già previsto nella legge statale fondamentale del 1927, deve perciò ritenersi che il RAGIONE_SOCIALE fosse attributario del potere di gestione ed amministrazione dei beni gravati da uso civico, ubicati all’interno del proprio territorio, ed anche per quanto concerne quelli di spettanza delle frazioni (in assenza dell’istituzione dell’amministrazione separata), il che gli permetteva di poter addivenire alla scelta in ordine alla migliore gestione ed utilizzazione dei beni stessi.
Non appare a tal fine decisivo il richiamo all’art. 78 del DPR n. 616/1977, come del pari risulta privo di decisività accertare se il RAGIONE_SOCIALE fosse possessore ovvero detentore legittimato dei beni, in quanto ciò che rileva ai fini della decisione della controversia è che il RAGIONE_SOCIALE fosse il soggetto chiamato ad amministrare i beni gravati da uso civico frazionale.
Peraltro, deve anche escludersi che la sentenza impugnata abbia omesso di considerare se la gestione da parte del RAGIONE_SOCIALE fosse idonea a pregiudicare gli interessi RAGIONE_SOCIALE abitanti della frazione, emergendo piuttosto che tale valutazione, ancorché non decisiva ai fini del riscontro dell’opponibilità della convenzione conclusa nei confronti della ricorrente, sia stata operata e si sia risolta in senso negativo.
Rileva a tal fine il richiamo che la Corte d’Appello compie, alla pag. 21, a quanto accertato dal giudice di primo grado alle pagg. 10 ed 11 della sentenza appellata.
Come si ricava dalla trascrizione di tali pagine, puntualmente operata nel controricorso del RAGIONE_SOCIALE, il giudice di primo grado, con valutazione condivisa in appello, ha appurato che i terreni interessati alla realizzazione del centro sportivo erano anteriormente privi di concreta utilizzazione secondo le destinazioni cui sono funzionali gli usi RAGIONE_SOCIALE, presentandosi di carattere paludoso.
La sentenza del Tribunale aggiunge poi che furono gli stessi abitanti della frazione di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE a sollecitare al RAGIONE_SOCIALE la costruzione dell’impianto sportivo, essendosi fatta menzione della comunicazione del 23/9/1970, nella quale si segnalava che la consulta frazionale aveva rappresentato l’esigenza di creare un campo sportivo, esigenza nuovamente reiterata con le successive
comunicazioni del 26 aprile 1976 e del 3 giugno 1976, nella quali si dava atto RAGIONE_SOCIALE incontri avvenuti con la consulta della frazione ed il delegato di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
La sentenza di primo grado prosegue affermando che era stata la stessa popolazione della frazione (e cioè i titolari del diritto di uso civico) a ravvisare l’utilità della trasformazione dei terreni (che, secondo quanto accertato dalla Corte d’Appello di Roma, ha determinato, non già l’estinzione, ma la sola compressione dei diritti di uso civico) sul presupposto che la destinazione ad attività sportive e ricreative soddisfacesse in maniera più appagante gli interessi della collettività.
Trattasi di affermazioni univoche ed ampiamente argomentate, con il richiamo a significativi elementi probatori, anche di carattere documentale, che inducono a reputare che i giudici di merito, con soluzione conforme nei due gradi, abbiano ritenuto che il RAGIONE_SOCIALE, in quanto soggetto legittimato per legge a gestire i beni per cui è causa, ha compiuto una serie di attività, e precisamente la realizzazione del centro sportivo e la sua successiva concessione all’RAGIONE_SOCIALE, assecondando quelle che erano le aspirazioni dei titolari del diritto di uso civico, e senza che possa quindi configurarsi né un conflitto di interessi né un vizio idoneo a riverberarsi sulla legittimità RAGIONE_SOCIALE atti di gestione.
E’ pur vero che poi il RAGIONE_SOCIALE ha inteso far risultare la sua proprietà sui beni con l’intavolazione, ovvero ha resistito alla domanda svolta dinanzi al giudice commissariale volta a far accertare la persistenza del diritto di uso civico, ma l’illegittimità di tale condotta è stata già sanzionata con la menzionata sentenza della Corte d’Appello di Roma, ma senza che possa però
influire sulla diversa valutazione in merito alla corrispondenza tra l’attività di realizzazione del centro sportivo e la sua assegnazione in gestione all’RAGIONE_SOCIALE convenuta, con il soddisfacimento delle esigenze dei titolari del diritto di uso civico, e soprattutto senza che possa incidere sul fatto che all’epoca era il RAGIONE_SOCIALE il soggetto per lege abilitato ad agire per l’amministrazione dei beni gravati da uso civico.
Il quarto motivo di ricorso lamenta l’omessa pronuncia sull’eccezione di invalidità e di inefficacia della convenzione del 21 marzo 2003, con la quale è stata affidata all’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE la gestione del centro sportivo.
Il giudice di appello ha sostenuto che la questione circa la validità della convezione sarebbe riservata alla cognizione del GA, trattandosi di atto con il quale era stata disposta una concessione di pubblico servizio in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, ma in tal modo si è trascurato che l’inefficacia della convenzione nei confronti della ricorrente era stata già ribadita nella sentenza della Corte d’Appello di Roma, che aveva sottolineato come l’RAGIONE_SOCIALE fosse estranea alla convenzione stessa.
Il quinto motivo denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione al mancato esame dell’eccezione di nullità/inefficacia della convenzione del 21/3/2003.
Il sesto motivo denuncia ex art. 360 co. 1, n. 1, c.p.c., nonché ex art. 360 co. 1, n. 4, c.p.c., l’omessa pronuncia sull’eccezione di nullità ed inefficacia dei rapporti contrattuali intervenuti con il RAGIONE_SOCIALE, in quanto il profilo relativo alla giurisdizione del GA ex art. 133 co. 1, lett. b) cpa è relativo ad una controversia del tutto eventuale, nel mentre le ragioni fatte valere dalla ricorrente
afferivano alla illegittimità dell’atto con il quale il RAGIONE_SOCIALE aveva disposto in pregiudizio del diritto di uso civico frazionale.
Il settimo motivo denuncia ex art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. l’erronea affermazione del giudice di appello circa la successione della ricorrente al RAGIONE_SOCIALE ai sensi della legge provinciale n. 6 del 2005, non potendosi far ricorso a tale istituto.
Se di successione si tratta, la stessa riguarda solo la proprietà dei beni, ma non è possibile invece sostenere il subentro anche negli obblighi scaturenti dalla concessione; inoltre deve tenersi conto del fatto che il fenomeno della successione a titolo universale non è configurabile allorché, come nel caso in esame, non si verifichi l’estinzione dell’ente succeduto.
5. I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono del pari infondati.
La premessa di tale conclusione è peraltro comune a quella che regge il rigetto dei motivi già esaminati, e cioè la piena legittimazione da parte del RAGIONE_SOCIALE alla gestione dei diritti di uso civico frazionale sin quando non è stata costituita l’RAGIONE_SOCIALE, e la valutazione di corrispondenza di siffatta gestione a quelli che erano gli interessi RAGIONE_SOCIALE abitanti e titolari dei diritti
La sentenza di appello, dopo aver ricordato che correttamente il Tribunale aveva condannato il RAGIONE_SOCIALE al rilascio del bene in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, e ciò proprio sul presupposto che fossero stati conservati i diritti di uso civico esistenti sui beni, sebbene compressi (o meglio modificati), ha ritento che con la convenzione intervenuta con l’RAGIONE_SOCIALE si fosse inteso valorizzare l’interesse pubblico, così come soddisfatto tramite la realizzazione del centro sportivo, con l’affidamento ad un soggetto che agiva senza scopo di lucro ed all’evidente fine di assicurare la corretta e
soddisfacente fruizione proprio di quell’impianto che, secondo le istanze della stessa collettività frazionale, era in grado di assicurare la migliore utilizzazione dei beni de quibus.
Il potere di amministrazione e gestione che sia la legge statale che le successive leggi provinciali riservavano al RAGIONE_SOCIALE, fin quando non è stata poi istituita la ricorrente, permette altresì di affermare come la convenzione sia pienamente efficace ed opponibile anche alla ricorrente, proprio in quanto successore del RAGIONE_SOCIALE nell’esercizio del detto potere.
Come ricordato in controricorso, la soppressione del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE e la sua aggregazione al RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE risale agli anni sessanta dello scorso secolo, il che consente di richiamare il principio per cui, nel caso di aggregazione di una frazione da un comune ad un altro comune preesistente, sorge un rapporto successorio parziale che non va inquadrato nella sfera della successione individuale caratteristica del diritto privato ma si adegua piuttosto alla disciplina della successione delle persone giuridiche con la conseguenza che debbano essere trasferiti al comune aggregante tutti i rapporti inerenti alle funzioni e alle strutture radicate nel territorio distaccato, che non siano strettamente collegati a specifiche peculiarità dell’ordinamento smembrato ovvero che non siano conseguenza di un potere direttamente conferito all’ordinamento medesimo.
Nell’ambito del predetto rapporto successorio, il regolamento specifico dello ‘ status’ dei beni assume, a seconda che si tratti di beni demaniali, di beni patrimoniali indisponibili o di beni patrimoniali disponibili, profili ed effetti diversi; i beni demaniali, che sono situati nel territorio oggetto del provvedimento, seguono necessariamente le sorti delle strutture e dei complessi territoriali
cui ineriscono e, per i beni disponibili ha esclusivo e decisivo valore l’accertamento di uno speciale titolo di pertinenza che li ponga in rapporto di connessione diretta ed immediata con la frazione in funzione della loro destinazione a soddisfare esigenze ad essa proprie; per quanto riguarda i beni disponibili, la frazione ha diritto a vedersi attribuiti – oltre a quei beni destinati, in natura o nel reddito, a soddisfare bisogni esclusivamente particolari ai frazionisti ed alla separazione di ciò che è già suo proprio in virtù del regime di separazione ovvero è soggetto ad un particolare diritto di uso civico a norma dell’art 26 della legge n 1776 del 1927 – quella parte di beni patrimoniali che sia sostanzialmente proporzionata (in natura, o, quando ciò non sia possibile, nel corrispondente valore, alla stregua, per gli immobili, della base dell’imponibile di imposta fondiaria) alla parte di territorio e di strutture organizzative ed all’entità numerica della popolazione, che formano oggetto del distacco (Cass. S.U. n. 975 del 28/04/1961).
In tale prospettiva si inquadra proprio la sentenza che ha accertato la permanenza del diritto di uso civico in favore dell’RAGIONE_SOCIALE sulle particelle oggetto di causa, e la loro intavolazione a nome della stessa ricorrente, una volta avvenuta la sua istituzione.
Tuttavia, essendo stata riservata al RAGIONE_SOCIALE l’attività gestoria ed amministrativa, va qui richiamato il principio per cui, con la costituzione dell’amministrazione dei beni separati della frazione, in ottemperanza alla legge 17 aprile 1957, n. 278, la rappresentanza RAGIONE_SOCIALE interessi dei frazionisti riguardo ai beni di uso civico della frazione passa alla amministrazione medesima e cessa nel comune, nel quale viene completamente meno la
rappresentanza dei frazionisti in ordine ai beni di uso civico rientranti nell’ambito territoriale della frazione. Si tratta però di fenomeno che la giurisprudenza di questa Corte ha inquadrato, attuandosi una successione di un ente ad un altro, nella previsione di cui all’art. 110 cod.proc.civ., affermandosi che il processo pendente deve essere proseguito dal successore universale o nei suoi confronti (Cass. n. 345 del 28/01/1966).
Inoltre, è stato affermato che in materia di usi RAGIONE_SOCIALE, la sentenza pronunciata nei confronti dell’ente rappresentante la collettività RAGIONE_SOCIALE utenti (comune, frazione) fa stato nel successivo giudizio, in cui siano presenti in proprio alcuni RAGIONE_SOCIALE utenti (Cass. S.U. n. 2712 del 23/08/1972).
Infatti, in tema di usi RAGIONE_SOCIALE, la qualità dei Comuni di enti esponenziali RAGIONE_SOCIALE interessi delle popolazioni amministrate nell’ambito dei rispettivi territori, e quindi anche delle frazioni, conferisce ai medesimi enti territoriali la legittimazione sostanziale e processuale a fare valere i diritti appartenenti a dette collettività, a nulla rilevando che gli stessi competano non a tutti i cittadini ma soltanto a quelli residenti in particolari zone del territorio; infatti, soltanto in caso di effettivo e concreto conflitto fra gli interessi delle comunità frazionali e quelli della rimanente popolazione comunale o di contrasto RAGIONE_SOCIALE stessi con specifici provvedimenti dei Comuni, si pone la necessità di una separata gestione processuale delle rispettive pretese, che giustifica – ai sensi dell’art. 78 cod. proc. civ.- la nomina di un curatore speciale (Cass. n. 6165 del 16/03/2007; Cass. n. 21488/2012).
Una volta ribadito che i diritti di uso civico gravanti su beni collettivi non possono essere posti nel nulla (ovvero considerati implicitamente estinti) per effetto di un decreto di espropriazione
per pubblica utilità, poiché la loro natura giuridica assimilabile a quella demaniale lo impedisce, essendo, perciò, necessario, per l’attuazione di una siffatta forma di espropriazione, un formale provvedimento di sdemanializzazione, la cui mancanza rende invalido il citato decreto espropriativo che implichi l’estinzione di eventuali usi RAGIONE_SOCIALE di questo tipo ed il correlato trasferimento dei relativi diritti sull’indennità di espropriazione (Cass. S.U. n. 12570 del 10/05/2023), deve ritenersi siano affetti da nullità solo i contratti con i quali il comune alieni un terreno incluso nel demanio di uso civico, per impossibilità giuridica dell’oggetto, ove non sia stato in precedenza reso formale atto di determinazione della categoria di appartenenza del bene, secondo le previsioni della legge 16 giugno 1927 n. 1766 (cfr. Cass. n. 11265 del 22/11/1990; Cass. n. 6017 del 10/11/1980).
Le considerazioni che precedono permettono perciò di affermare che sia incensurabile la conclusione del giudice di appello che ha ritenuto che la ricorrente fosse subentrata anche nella convenzione conclusa dal RAGIONE_SOCIALE con l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, e ciò in ragione del regime successorio che connota i rapporti tra colui che abbia provveduto a gestire i beni gravati da uso civico frazionale sino al momento in cui sia costituito il soggetto chiamato a dare immediata rappresentanza alla frazione stessa, così che il subentro della ricorrente nei rapporti insorti dalla precedente gestione non può che includere anche quello di cui alla convenzione de qua, senza che possa invocarsi una pretesa inopponibilità
Né in senso contrario possono deporre le affermazioni contenute nella sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 20/2013, che ha ribadito la persistenza del diritto di uso civico frazionale, atteso
che il riferimento alla terzietà dell’RAGIONE_SOCIALE rispetto alla convenzione appare funzionale all’esigenza di affermare l’inidoneità della stessa a determinare l’estinzione del diritto di uso civico e l’acquisto della proprietà in capo al RAGIONE_SOCIALE, trattandosi di atto che non poteva in alcun modo implicare una sdemanializzazione tacita.
La strumentalità dell’affermazione contenuta in sentenza rispetto all’esigenza di ribadire l’esistenza del diritto di uso civico non contrasta però con la doverosa valutazione in punto di opponibilità della convenzione alla ricorrente, una volta intervenuta la successione al RAGIONE_SOCIALE nelle funzioni di amministrazione dei diritti stessi.
Inoltre, proprio il riconoscimento del subentro dell’RAGIONE_SOCIALE nel rapporto scaturente dalla convenzione (in quanto reputata funzionale ad assicurare le utilità derivanti dai beni in oggetto) nonché le valutazioni svolte già dal giudice di primo grado circa la idoneità della realizzazione del centro sportivo ad offrire il soddisfacimento delle aspettative della collettività titolare dei diritti in esame (essendo conseguenza di una sollecitazione proprio proveniente dagli abitanti di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE) inducono ad affermare che la questione relativa all’inefficacia ed alla inopponibilità della convenzione alla ricorrente sia stata esaminata e decisa dalla Corte d’Appello nella parte in cui si è sostenuto che la ricorrente fosse subentrata nella qualità di parte concedente, e che per l’effetto non potesse reclamare il rilascio dei beni da parte della concessionaria, in ragione della data prevista per la cessazione del rapporto concessorio.
Una volta, poi, affermata la piena opponibilità della convenzione alla ricorrente, in quanto subentrata ai sensi dell’art. 5, co. 4,
della legge provinciale n. 6 del 2005, con subentro in tutti i rapporti passivi ed attivi, risulta infondata anche la censura che deduce il vizio di cui all’art. 360 co. 1, n. 1, c.p.c., avendo la Corte d’Appello correttamente evidenziato che, stante la qualificazione della convenzione come idonea a determinare l’affidamento in concessione di un servizio pubblico all’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, le eventuali contestazioni relative alla validità ed all’applicazione della concessione (che la stessa ricorrente riferisce non avere posto, avendo invece sostenuto l’inefficacia della convenzione per non esserle opponibile), sarebbero rientrate nella giurisdizione esclusiva del GA.
6. L’ottavo motivo di ricorso denuncia l’erroneità dell’affermazione circa il difetto di giurisdizione in ordine alle domande di riduzione in pristino delle aree, con violazione dell’art. 2909 c.c., e RAGIONE_SOCIALE artt. 1, 13, 14, 15 e 16 della legge provinciale di RAGIONE_SOCIALE n. 6/2005. Nel richiamare anche in questo caso quanto statuito dalla Corte d’Appello di Roma nella sentenza n. 20 del 2013, si sostiene che l’avere negato la possibilità di ottenere la riduzione in pristino equivale a negare il diritto riconosciuto nella citata sentenza.
Risulta quindi erroneo il richiamo alla detta legge provinciale, quanto alla necessità che intervenga l’approvazione della Provincia di RAGIONE_SOCIALE per la riduzione in pristino, palesandosi anche erronea la declaratoria del difetto di giurisdizione in favore del GA. Anche tale motivo è privo di fondamento.
Nel richiamare le considerazioni svolte in occasione della disamina dei precedenti motivi di ricorso, la sentenza, senza entrare in contraddizione con quanto affermato dal precedente richiamato dalla ricorrente, ha reputato che la compressione del diritto di uso civico fosse stata legittimamente operata dal RAGIONE_SOCIALE, essendo la
scelta di realizzare il centro sportivo funzionale agli interessi della collettività ed idonea ad assicurare utilità maggiori di quelle che ormai i terreni non erano più in grado di offrire per le loro condizioni paludose.
La conclusione in punto di legittimità della gestione comunale (cfr. pag. 20, righi 10 e ss., della sentenza impugnata) e l’ulteriore asserzione circa la successione dell’RAGIONE_SOCIALE al RAGIONE_SOCIALE sottendono evidentemente che il subentro in tutti i rapporti attivi o passivi imponga per la ricorrente anche l’accettazione della realizzazione del centro sportivo.
Il carattere vincolante per l’attrice della destinazione che è stata impressa ai terreni gravati da uso civico, con la costruzione del centro sportivo, ha perciò indotto alla conseguente affermazione circa il difetto di giurisdizione in ordine alla pretesa di conseguire la riduzione in pristino, essendo la stessa correlata ad una variazione della destinazione d’uso attuale (cfr. art. 14 della legge provinciale n. 6/2005, che precisa che per variazione d’uso dei beni in oggetto si intende il cambiamento dell’utilizzazione economica dei beni effettuata nel rispetto delle previsioni RAGIONE_SOCIALE strumenti urbanistici), che l’art. 13 della stessa legge provinciale subordina all’autorizzazione della Provincia.
Tale autorizzazione, avuto riguardo alla necessità di rispettare le procedure contemplate dalla stessa legge, che prevedono anche una comparazione con gli interessi pubblici concorrenti, costituisce all’evidenza espressione di discrezionalità amministrativa, così che si palesa incensurabile l’affermazione della Corte d’Appello secondo cui anche la riduzione in pristino passa per una manifestazione di potestà provvedimentale, la cui verifica è devoluta alla giurisdizione amministrativa.
Il ricorso è pertanto rigettato e per l’effetto la ricorrente deve essere condannata al rimborso delle spese in favore dei controricorrenti, come liquidate in dispositivo.
Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese in favore dei controricorrenti, che liquida, per ognuno, in complessivi € 6.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi ed accessori di legge;
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater , del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore somma pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso, in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 settembre