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Unificazione fondi: illegittima senza accordo collettivo

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un istituto pubblico, confermando l’illegittimità della decisione di procedere alla unificazione dei fondi per la retribuzione accessoria del personale dirigente e non dirigente. La Corte ha stabilito che tale operazione, alterando le regole di ripartizione previste da distinti contratti collettivi, lede un diritto soggettivo dei lavoratori e rientra nella giurisdizione del giudice ordinario. La condotta del datore di lavoro è stata ritenuta illegittima poiché ha unificato risorse destinate a categorie di personale diverse, disciplinate da contrattazioni separate.

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Unificazione Fondi Retributivi: La Cassazione Fissa i Paletti per la P.A.

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è intervenuta su una questione di grande rilevanza per il pubblico impiego: la legittimità della unificazione fondi destinati alla retribuzione accessoria di diverse categorie di personale. La decisione chiarisce i confini del potere datoriale della Pubblica Amministrazione, riaffermando il primato della contrattazione collettiva e la tutela dei diritti soggettivi dei lavoratori.

I Fatti del Caso: La Decisione Unilaterale dell’Ente

Un ente pubblico sanitario decideva di incrementare i fondi per la retribuzione di posizione e di risultato del personale dirigente a seguito dell’attivazione di nuovi servizi. Parallelamente, si impegnava ad aumentare anche i fondi per il personale non dirigente con risorse separate. Successivamente, con una nuova delibera, l’ente procedeva a far confluire le risorse destinate a entrambe le categorie in un unico fondo, ripartendo poi la somma complessiva tra tutti i lavoratori.

I dirigenti, ritenendo tale operazione illegittima e lesiva dei loro diritti, poiché comportava una diminuzione dei compensi accessori, adivano il giudice del lavoro. La Corte d’Appello, riformando la sentenza di primo grado, dava loro ragione, condannando l’ente a corrispondere le differenze retributive.

La Questione di Giurisdizione sulla unificazione fondi

L’ente datore di lavoro ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo in primo luogo che la controversia dovesse essere decisa dal Giudice Amministrativo (G.A.) e non dal Giudice Ordinario (G.O.). A suo avviso, la scelta di regolare le dotazioni dei fondi rientrava nel potere discrezionale della Pubblica Amministrazione.

La Suprema Corte ha respinto questa tesi, chiarendo un principio fondamentale: il riparto di giurisdizione si basa sul petitum sostanziale, ovvero sulla reale natura del diritto fatto valere. In questo caso, i lavoratori non contestavano la decisione a monte di stanziare le risorse, ma la successiva scelta datoriale di ripartirle in modo difforme da quanto previsto dalla contrattazione collettiva. La controversia attiene quindi alla corretta liquidazione della retribuzione, un diritto soggettivo che rientra a pieno titolo nella giurisdizione del Giudice Ordinario del Lavoro.

Le Motivazioni della Decisione

La Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, entrando nel merito della questione. L’errore dell’ente non è stato nella quantificazione delle risorse, ma nell’aver proceduto a una unificazione fondi che la contrattazione collettiva non prevedeva. I giudici hanno sottolineato come la condotta datoriale abbia unito risorse facenti capo a due fondi completamente diversi: quello per la dirigenza sanitaria, veterinaria e tecnica, e quello per il personale non dirigente.

Queste due categorie di personale sono disciplinate da contratti collettivi differenti. Unificare i loro fondi retributivi significa alterare i meccanismi di riparto e i criteri di distribuzione concordati dalle parti sociali, ledendo così i diritti acquisiti dei lavoratori. La Corte ha richiamato un suo recente precedente (Cass. n. 19948/2024) in cui aveva già ritenuto illegittima l’unificazione di fondi destinati a diverse categorie dirigenziali (medici e veterinari). A maggior ragione, tale principio vale quando si fondono le risorse di personale dirigente e non dirigente, soggetti a discipline contrattuali distinte. La decisione unilaterale del datore di lavoro è stata pertanto disapplicata, confermando il diritto dei dirigenti a percepire quanto loro spettante sulla base della corretta ripartizione del fondo originariamente destinato alla loro categoria.

Le Conclusioni

Questa ordinanza riafferma un principio cruciale: il potere gestionale della Pubblica Amministrazione nel rapporto di lavoro privatizzato trova un limite invalicabile nelle norme di legge e, soprattutto, nella contrattazione collettiva. La unificazione fondi retributivi di categorie diverse di personale non è una scelta discrezionale dell’ente, ma un’operazione che incide direttamente sui diritti patrimoniali dei lavoratori e che deve trovare il suo fondamento in un accordo sindacale. La sentenza offre una tutela importante ai dipendenti pubblici, garantendo che le regole sulla retribuzione accessoria, frutto di negoziazione, non possano essere unilateralmente modificate dal datore di lavoro.

A quale giudice spetta decidere sulla legittimità della ripartizione dei fondi per la retribuzione accessoria nel pubblico impiego?
Spetta al Giudice Ordinario, in funzione di giudice del lavoro. La controversia non riguarda le scelte amministrative di stanziamento delle risorse, ma la corretta applicazione della contrattazione collettiva e la liquidazione della retribuzione, che costituisce un diritto soggettivo del lavoratore.

È legittima la decisione di un ente pubblico di procedere alla unificazione dei fondi destinati a categorie diverse di personale (dirigente e non)?
No, secondo la Corte di Cassazione tale decisione è illegittima. L’unificazione di fondi disciplinati da contratti collettivi differenti altera i meccanismi di riparto concordati tra le parti sociali e lede il diritto dei lavoratori a una corretta liquidazione della retribuzione accessoria.

La partecipazione di un giudice alla fase istruttoria del primo grado ne determina l’incompatibilità nel giudizio d’appello?
No. L’orientamento consolidato della Cassazione stabilisce che il giudice che ha partecipato solo all’attività istruttoria in primo grado, senza prendere parte alla decisione finale della causa, non ha alcuna incompatibilità a comporre il collegio giudicante in secondo grado.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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