Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23517 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23517 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 19/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 24154-2021 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE
– intimate – avverso la sentenza n. 188/2021 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 01/04/2021 R.G.N. 227/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
RAPPORTO LAVORO PRIVATO UNICITA’ CENTRO IMPUTAZIONE
R.G.N.24154/2021
Cron. Rep. Ud 20/05/2025 CC
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Palermo ha confermato, con motivazione parzialmente diversa, la sentenza di primo grado con la quale era stata respinta la domanda di NOME COGNOME intesa alla condanna di RAGIONE_SOCIALE, formale datrice di lavoro, di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE – che si asserivano configurare, con la prima un unico centro di imputazione- e anche ai sensi dell’art. 2112 c.c., al pagamento di somme a titolo di differenze retributive (per straordinario, mensilità aggiuntive, indennità sostitutiva delle ferie ecc.) .
La Corte distrettuale ha osservato che, a differenza di quanto ritenuto dal primo giudice, la quietanza a saldo rilasciata dal Ragona RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE – società che nelle more del giudizio di primo grado si era estinta per cancellazione dal Registro delle Imprese – per la genericità del suo contenuto non poteva interpretarsi nel senso di consapevole volontà del dipendente di rinunziare ai compensi oggetto di pretesa; ciò posto, esclusa in relazione alle altre società l’effetto traslativo connesso all’art. 2112 c.c. sul rilievo che il licenziamento intimato da RAGIONE_SOCIALE non era stato giudizialmente impugnato dal lavoratore (per cui divenivano irrilevanti le successive ipotizzate cessioni di azienda), ha ritenuto che le allegazioni di questi non consentivano di configurare una situazione di codatorialità facente capo alle altre società convenute con riferimento alla prestazione resa; ha ritenuto inammissibile, in quanto in parte valutativa ed in parte articolata su circostanze irrilevanti, la prova testimoniale articolata dal lavoratore.
Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso NOME COGNOME sulla base d tre motivi; le intimate RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE non hanno svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo parte ricorrente deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 2112, 2113, 239,
1344 e 1414 c.c. censurando la sentenza impugnata per avere, in sintesi, escluso la configurabilità di un unico centro di imputazione, laddove -si assume- le deduzioni articolate consentivano di configurare la sussistenza di un’unica struttura organizzativa e produttiva .
Con il secondo motivo deduce ex art. 360, commi 3 e 5 c.p.c. violazione dell’art. 2112 c.c. e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti; sostiene in sintesi, che stante il carattere fraudolento della costituzione della società RAGIONE_SOCIALE questa, indipendentemente dalla richiesta del lavoratore di reintegrazione nel posto di lavoro, doveva farsi carico degli oneri e dei debiti che gravavano in capo alle società del gruppo.
Con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2113 c.c.; assume che anche a voler qualificare la quietanza in oggetto quale atto transattivo la stessa poteva valere solo ai fini del rapporto di lavoro a tempo parziale ma non anche del rapporto a tempo pieno.
Il primo motivo è inammissibile per plurimi profili.
4.1. Per consolidata giurisprudenza di questa Corte, il vizio di violazione di norme di diritto consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, nei limiti consentiti dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., nel testo applicabile ratione temporis . Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi è segnato dal fatto che quest’ultima censura , e non la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa ( cfr., fra le altre, n. 14468/2015 ) .
4.2. I l motivo con cui si denunzia il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. deve essere dedotto a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e
intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie, diversamente impedendosi alla Corte di Cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass. n. 5353/2005; Cass. n. 11501/2006).
4.3. E’ stato inoltre precisato che la falsa applicazione di legge di cui al n.3 dell’art. 360 co.1 c.p.c. consiste ‘o nell’assumere la fattispecie concreta sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione’ (v. Cass., n. 18715/2016, che cita altresì Cass. n. 18782 del 2005 e n. 15499 del 2004).
4.4. Le deduzioni di violazione e falsa applicazione di norma di diritto formulate con il motivo in esame non sono riconducibili al paradigma del vizio formalmente denunziato posto che esse non risultano incentrate sul significato normativo e sulla portata applicativa delle norme in rubrica indicate ma si sostanziano in concreto nella richiesta di revisione dell’accertamento fattuale alla base del decisum in punto di esclusione della configurabilità di un unico centro di imputazione tra le società indicate, accertamento incrinabile solo dalla corretta deduzione di omesso esame di fatto controverso e decisivo nei rigorosi limiti delineati dall’attuale formulazione dell’art. art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c.. Parimenti inammissibili sono le censure con le quali si contesta la valutazione di genericità delle allegazioni formulate a riguardo nel ricorso introduttivo (peraltro neppure trascritte, in violazione del disposto dell’art. 366, comma 1 n. 6 c.p.c.) posto che per costante giurisprudenza di questa Corte l’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, è riservata al giudice di merito ed è sindacabile solo per vizio di motivazione (Cass. n. 10182/2007) nello specifico neppure formalmente prospettato; l’erronea interpretazione della domande e delle eccezioni non è, infatti, censurabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., perché non pone in discussione il significato della norma ma la sua concreta applicazione operata dal giudice di merito, il cui apprezzamento, al pari di ogni altro giudizio di fatto, può essere esaminato in sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione, ovviamente entro i limiti in cui tale sindacato è ancora
consentito dal vigente art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c. (Cass. n. 31546/2019, Cass. n. 1479/1965).
Il secondo motivo di ricorso è anch’esso inammissibile per difetto di pertinenza con le ragioni della decisione. Parte ricorrente, nel denunziare violazione dell’art. 2112 c.c. , non si confronta infatti con la concreta ricognizione della fattispecie operata dal giudice di merito il quale ha ritenuto che, stante la efficacia del licenziamento intimato dalla formale datrice di lavoro, non impugnato in via giudiziale ma solo in via stragiudiziale, il rapporto di lavoro si era risolto prima della ipotizzata cessione di azienda di talché era venuto meno lo stesso presupposto fattuale e giuridico alla base della invocata responsabilità del cessionario ex art. 2112 c.c. .
Il terzo motivo di ricorso è inammissibile , anch’esso per difetto di pertinenza con le ragioni del decisum in quanto non si confrontano con l’affermazione della Corte di merito la quale, in dissenso dal primo giudice, ha espressamente escluso valenza negoziale di rinunzia ai compensi in controversia in relazione alla quietanza sottoscritta dal lavoratore; in questa prospettiva il motivo risulta altresì non sorretto da un interesse concreto e attuale all’impugnazione.
Non si fa luogo al regolamento delle spese di lite non avendo le parti intimate svolto attività difensiva.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma quater d.p.r. n. 115/2002, nella sussistenza dei relativi presupposti processuali.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese di lite.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 20 maggio 2025