Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11575 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 11575 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 02/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 6331-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentate e difese dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1629/2021 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 22/12/2021 R.G.N. 1094/2021;
Oggetto
Licenziamento
ex lege n. 92 del 2012
R.G.N. 6331/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 04/02/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/02/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE
Il Tribunale di Milano rigettava l’opposizione proposta da RAGIONE_SOCIALE a socio unico e da RAGIONE_SOCIALE, avverso l’ordinanza, emessa all’esito della fase sommaria ex lege n. 92/2012, con la quale, in accoglimento delle domande proposte da NOME COGNOMEassunto l’11.4.1988 da RAGIONE_SOCIALE con mansioni di tecnico informatico il cui rapporto di lavoro, a seguito di diverse operazioni di trasferimento di ramo di azienda era proseguito senza soluzione di continuità a far data dal 29.5.2018 con RAGIONE_SOCIALE a socio unico con inquadramento nel VIII livello del CCNL Metalmeccanici, qualifica di Quadro e mansioni da ultimo di coordinatore presidio tecnico del Comune di Milano nonché licenziato, con comunicazione del 6.12.2019 per giustificato motivo oggettivo rappresentato dall’essere venuta meno la commessa con il predetto Comune), era stata accertata l’unicità del centro di imputazione del rapporto di lavoro in capo a RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, ed in capo a RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE, ed era stato annullato il licenziamento con reintegra, ex art. 18 co. 4 St. lav. nel posto di lavoro e corresponsione di una indennità risarcitoria pari a 12 mensilità, oltre accessori, dell’ultima retribuzione globale di fatto goduta e dedot to l’eventuale aliunde perceptum , nonché alla regolarizzazione contributiva assistenziale e previdenziale.
La Corte di appello di Milano, con la sentenza n. 1629/2021, confermava la pronuncia di prime cure evidenziando che: a) dalle risultanze processuali era emerso che il RAGIONE_SOCIALE non solo avesse svolto le proprie incombenze lavorative per RAGIONE_SOCIALE, ma anche per RAGIONE_SOCIALE; b) il dipendente era stato impiegato anche su interventi al di fuori del Comune di Milano e, precisamente in Torino; c) non essendo il lavoratore addetto alla sola commessa del Comune di Milano, il venir meno di questa non poteva costituire giustificato motivo oggettivo del recesso; d) era ravvisabile anche il
mancato assolvimento dell’obbligo di repêchage che avrebbe dovuto essere esteso anche alle posizioni presenti in RAGIONE_SOCIALE e avrebbe dovuto riguardare anche posti relativi a mansioni inferiori; e) sul quantum dell’indennità risarcitoria non incidevano né la indennità di disoccupazione né il trattamento pensionistico di cui il COGNOME era titolare dal febbraio 2021, successivamente all’esercizio del diritto di opzione.
Avverso la decisione di secondo grado la RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) e la RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) proponevano ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui resisteva con controricorso NOME COGNOME
Le società depositavano memoria.
Il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, l’omessa e/o apparente motivazione in relazione alla pronuncia di asserita dimostrazione, da parte del lavoratore, della sussistenza di un unico centro di imputazione datoriale al quale sono state ritenute ricondotte le ricorrenti società, nonché la violazione per omessa applicazione degli artt. 116 co. 1 cpc e 2697 co. 1 cc, con riferimento all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc.
Con il secondo motivo si obietta, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, l’omessa considerazione e, quindi, l’omessa motivazione in ordine ai punti decisivi dibattuti in relazione alla impraticabilità dell’obbligo di repêchage quand’anche ritenuto sussist ente in capo ad esse ricorrenti un unico centro di imputazione.
Con il terzo motivo si censura, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione, per disapplicazione, degli artt. 112 cpc e del combinato disposto degli artt. 420 co. 5 cpc e 437 cpc, per avere omesso la Corte territoriale, così come il Tribunale, di svolgere attività istruttoria ritualmente richiesta in ordine alla possibilità di dimostrare
che non vi sarebbe stato modo di reimpiegare il lavoratore in posizione lavorativa differente e in mansioni inferiori.
I primi due motivi, che per la loro interferenza logico-giuridica possono essere esaminati congiuntamente, non sono fondati.
Sono, in primo luogo, inammissibili le doglianze ex art. 360 co. 1 n. 5 cpc, vertendosi in una ipotesi di cd. ‘doppia conforme’ tra le due pronunce di merito.
In ogni caso, va precisato quanto segue: l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, come nel caso di specie relativamente alla individuazione di unico centro di imputazione datoriale cui erano state ricondotte le attività aziendali delle due società, desunto dalla numerosa documentazione prodotta, e sulla conseguente violazione dell’obbligo di repêchage che andava modulato in relazion e alle posizioni lavorative di entrambe le società e avendo riguardo anche alla possibilità di assegnazione di mansioni inferiori ai fini di tutelare la conservazione del posto di lavoro del Campari.
Nella fattispecie la Corte territoriale è giunta alle conclusioni sulla ricostruzione della vicenda esaminando tutto il quadro probatorio e tenendo conto anche della diversa prospettazione difensiva delle odierne ricorrenti.
In ordine agli asseriti vizi di motivazione, va rilevato che la violazione dell’art. 132 cpc sussiste solo quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio,
né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 3819/2020).
Analogamente, il vizio di motivazione apparente della sentenza, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. ricorre solo quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (cfr. Cass. n. 6758/2022).
Dalle argomentazioni svolte nella gravata sentenza è, invece, agevole dedurre tutto l’iter logico -giuridico che ha condotto i giudici del merito a ritenere che l’esistenza di un centro unico di imputazione del rapporto di lavoro diversamente da quanto affermato dalle società.
Le doglianze, pertanto, al di là delle denunciate violazioni di legge, concernono, in sostanza, l’accertamento della Corte territoriale circa la autonomia funzionale dell’oggetto della cessione, ai fini di ritenere avvenuto (o non) un trasferimento dell’in tera azienda nonché la valutazione del materiale istruttorio processualmente acquisito.
In diritto, deve invece rilevarsi che è infondata la asserita violazione dell’art 2697 cod. civ. che si ha, tecnicamente, solo nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, cpc (Cass. n. 17313/2020) non sussistente nel caso de quo .
In tema di ricorso per cassazione, inoltre, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.
non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. Sez. Un. n. 20867/2020; Cass. n. 27000/2016; Cass. n. 13960/2014): ipotesi, queste, non ravvisabili nel caso in esame.
Anche in relazione a tale profilo va ribadito che la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 16467/2017).
Anche il terzo motivo è infondato.
Premesso che il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto pronunciato ex art. 112 c.p.c., ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass. n. 28308/2017; Cass. n. 7653/2012), nella fattispecie la Corte territoriale ha comunque preso in considerazione la questione affermando che la posizione di reimpiego doveva essere estesa pure alle posizioni lavorative presenti in RAGIONE_SOCIALE e che doveva avere ad oggetto anche a mansioni inferiori.
Deve, poi, sottolinearsi che la mancata ammissione della prova testimoniale può essere denunciata per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento. (Cass. Cass. n. 11457 del 2007; Cass. n. 4369 del 2009; Cass. n. 5377 del 2011).
Nel caso de quo , i giudici di seconde cure hanno rilevato, con adeguata motivazione che, una volta provato che il Campari non fosse adibito in via esclusiva alla commessa del Comune di Milano, era ormai ravvisabile l’interruzione del nesso di causalità tra la cessazione della suddetta commessa ed il recesso e che in quella sede non erano state valutate altre ipotesi che riguardassero RAGIONE_SOCIALE anche con riguardo a mansioni inferiori, così ritenendo implicitamente irrilevanti, sulla base delle allegazioni delle parti e delle prova già in atti, altre istanze istruttorie.
Anche in relazione a tale profilo va ribadito che la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 16467/2017).
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 5.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 febbraio 2025
La Presidente
Dott.ssa NOME COGNOME