Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 34593 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 34593 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 12868-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
Oggetto
R.G.N. 12868/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 08/11/2024
CC
presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE – intimate avverso la sentenza n. 1108/2022 della CORTE D’APPELLO di udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
ROMA, depositata il 11/03/2022 R.G.N. 1450/2021; 08/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte.
Rilevato che
NOME COGNOME con ricorso ex art. 1, comma 48 l. n. 92/2012 adiva il giudice del lavoro chiedendo l’accertamento della illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimatole da RAGIONE_SOCIALE in data 23 luglio 2019; il licenziamento era stato giustificato dalla datrice di lavoro con la perdita dell’appalto dei se rvizi di pulizia presso i quali era stata addetta la COGNOME, con conseguente totale cessazione dell’attività aziendale; all’esito della fase sommaria il ricorso era respinto con statuizione confermata dal giudice dell’opposizione;
la Corte di appello di Roma, quale giudice del reclamo, dichiarata la contumacia di RAGIONE_SOCIALE , di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE annullava il licenziamento e condannava le reclamate in solido a reintegrare la lavoratrice
sul luogo di lavoro, al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori, ed al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal giorno del licenziamento sino a quella della reintegrazione, secondo le modalità di cui all’art. 18 comma 7 l. .n. 300/1970;
la statuizione di accoglimento è stata fondata sull’accertamento, scaturente da elementi indiziari tratti dalle prova orale e documentale, che RAGIONE_SOCIALE, formale datrice di lavoro della Stabler al momento del licenziamento, era connotata da sostanziale assenza di autonomia giuridica e gestionale, risultando appositamente costituita, solo pochi giorni prima dell’affidamento dell’appalto, al solo scopo di poter conseguire un appalto, al quale il Consorzio RAGIONE_SOCIALE (la cui amministratrice unica e socia di maggioranza coincideva con l’amministratrice unica di RAGIONE_SOCIALE, non era evidentemente interessato a partecipare in proprio né tramite le proprie consorziate; ha ritenuto che il complesso degli elementi acquisiti deponeva per la esistenza di un’unica struttura organizzativa e gestionale, rappresentata per l’appunto dal RAGIONE_SOCIALE che esercitava autonomamente tutti i poteri propri del datore di lavoro rispetto al quale le singole consorziate ed anche RAGIONE_SOCIALE, al di là del dato formale della differenza della persona fisica del legale rappresentante e della collocazione geografica della sede legale, costituivano meri contenitori ai quali imputare secondo i contingenti interessi del Consorzio stesso non solo i contratti di appalto ma anche e soprattutto i vari rapporti di lavoro con i singoli dipendenti, peraltro spesso utilizzati in maniera promiscua tra le stesse consorziate; alla stregua di tale
accertamento la verifica della possibilità di <> avrebbe doveva estendersi a tutte le società del gruppo, come non avvenuto ;
in punto poi di conseguenze connesse a tale accertamento, la Corte di merito ha escluso l’applicazione dell’art. 3 d. lgs. n. 23 del 2015 in quanto la ritenuta unicità del centro di imputazione del rapporto di lavoro implicava la unicità del rapporto di lavoro alla data di formale instaurazione dello stesso con RAGIONE_SOCIALE facente capo al Consorzio, vale a dire il 1novembre 2014 e cioè in epoca anteriore al 7 marzo 2015 data di entrata in vigore del d. lgs n. 23/2015, configurante linea di discrimine temporale (riferito alla data di assunzione) per l’applicazione del d. lgs n. 23 /2015;
per la cassazione della decisione ha proposto ricorso il Consorzio RAGIONE_SOCIALE sulla base di tre motivi; RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE hanno ciascuna depositato controricorso; RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE sono rimaste intimate;
il PG ha depositato requisitoria scritta concludendo per il rigetto del ricorso;
tutte le parti hanno depositato memoria;
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce ai sensi dell’ar t. 360, comma 1 nn 3 e 4 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., violazione del principio della disponibilità e valutazione delle prove stabilito dagli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. ; critica l’accertamento di
fatto relativo alla sussistenza di un unico centro di imputazione osservando che gli elementi considerati costituivano <>. Rappresenta che alcune affermazioni sulle quali era stato fondato il ragionamento decisorio della Corte di merito non avevano costituito oggetto di deduzione di controparte e che altre non avevano trovato riscontro in atti; denunzia che il giudice di appello aveva fondato di ufficio la decisione su eccezioni del tutto nuove e quindi inammissibili e concentrato di ufficio la propria decisione su circostanze e fatti mai oggetto di discussione all’interno delle due fasi- sommaria e giudizio di opposizione-; argomenta quindi in ordine al sostanziale malgoverno delle emergenze di causa, contesta la valutazione di attendibilità di alcuni testi -assume che il principio del libero convincimento del giudice ovvero della valutazione delle prove secondo il prudente apprezzamento non deve tradursi in arbitrio;
con il secondo motivo deduce ai sensi dell’art. 360, comma 1 nn. 3 e 4 c.p.c. violazione e falsa applicazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa siccome previsti dagli artt. 101 c.p.c. e dall’art. 111, comma 2 Cost. nelle quali si era articolato il primo grado; sostiene che al Consorzio era stata preclusa la possibilità di difendersi e giustificarsi da ipotesi contestazioni, circostanze ed argomentazioni sollevate d’ufficio dalla Corte di appello e poste a conoscenza del
RAGIONE_SOCIALE solo con la emissione della sentenza oggetto di impugnazione;
3. con il terzo motivo di ricorso deduce ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 5 l. n. 604 del 1966, censurando la sentenza impugnata per avere, invertendo l’onere probatorio, ritenuto a livello assertivo l’esistenza di numer osissimi appalti facenti capo al Consorzio RAGIONE_SOCIALE Assume l’errore della Corte di appello per avere ritenuto il recesso pretestuoso pur essendo emerso in maniera inconfutabile che tale recesso non era dipeso né dal Consorzio Solaris né da Clean Up bensì dal cambio appalto verificatosi presso la struttura alla quale era addetta la lavoratrice;
il ricorso presenta plurimi profili di inammissibilità derivanti dalla mancanza di chiarezza e sinteticità espositiva, difettando l’adeguata selezione dei profili di fatto e di diritto della vicenda “sub iudice” posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c., come prescritto (Cass. Sez. Un. 37552/2021, Cass. n. 8425/2020); inoltre ,esso presenta mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., in violazione della giurisprudenza di questa Corte secondo la quale non è consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di legge e dell’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, in quanto una tale formulazione mira a rimettere al giudice di
legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente e chiede inoltre una rivisitazione dell’apprezzamento di fatto, non veicolata in modalità conformi all’art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c. Cass. n. 3397/2024, Cass. n. 26874/2018)
4.1. tanto premesso, venendo all’esame dei singoli motivi nella misura in cui le ragioni di doglianza risultano intellegibili, quanto al primo motivo si rileva la carente esposizione dello svolgersi della vicenda processuale in relazione al tema della configurazione di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro tra le società originarie convenute; parte ricorrente non chiarisce quali erano le allegazioni in fatto, quali le deduzioni in diritto, quale il tenore delle difese delle parti a riguardo; tantomeno trascrive nelle parti di pertinenza gli atti di riferimento, come suo onere ai sensi dell’art. 366 comma 1 n. 6 c.p.c. (Cass. n. 21346/2024, Cass. n. 15058/2024). Tale modalità di articolazione della censura preclude al giudice di legittimità ogni verifica in ordine alla questione controversa. La prospettazione di error in procedendo ex art. 112 c.p.c. e ex art. 345 c.p.c., oltre che inammissibile per difetto di specificità, si rivela, in ogni caso, già in astratto inidonea ad inficiare la decisione di secondo grado alla luce della giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il principio della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, la cui violazione determina il vizio di ultrapetizione, implica unicamente il divieto, per il giudice, di attribuire alla parte un bene non richiesto o, comunque, di
emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda, ma non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti di causa autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti. Tale principio deve quindi ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (“petitum” e “causa petendi”), attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda, ovvero, pur mantenendosi nell’ambito del “petitum”, rilevi d’ufficio un’eccezione in senso stretto che, essendo diretta ad impugnare il diritto fatto valere in giudizio dall’attore, può essere sollevata soltanto dall’interessato, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo (“causa petendi”) nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda ( Cass. n. 29200/2018, Cass. n. 6945/2007). Invero, appare dirimente a riguardo la considerazione che l’obbligo di <> costituisce un elemento della fattispecie legittimante il recesso datoriale, la cui deduzione è implicita nella impugnativa di licenziamento;
4.2. il secondo motivo, che invoca il principio per cui il giudice che rilevi una questione di fatto o mista di fatto o di diritto è tenuta a sottoporla alle parti prima di deciderla, è inammissibile, sia per difetto di specificità nella esposizione della vicenda processuale, secondo quanto già in precedenza osservato, sia perché non prospetta le concrete ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio sulla predetta questione fosse stato tempestivamente attivato, come
viceversa necessario ai fini del rilievo di nullità della sentenza impugnata (Cass. 11453/2014);
4.3. il terzo motivo è inammissibile perché le censure veicolate attraverso la deduzione di violazione di norme di diritto (l. n. 604/1966) e vizio di motivazione non sono articolate in conformità dei vizi denunziati; la denunzia di violazione di norma di diritto, riferita genericamente alla intera legge n. 604/1966, non è infatti incentrata sulla interpretazione e sulla portata applicativa delle norme denunziate; il vizio di motivazione non individua alcun fatto decisivo omesso, nel senso di fatto storico fenomenico, la cui considerazione avrebbe determinato con carattere di certezza e non di mera probabilità un diverso esito della lite ( ex plurimis, Cass. Sez. Un. n. 8053/2014); le doglianze articolate si sostanziano infatti nella diretta richiesta di un rinnovato apprezzamento del materiale probatorio e quindi sollecitano un apprezzamento precluso al giudice di legittimità (cfr. , tra le altre, Cass. n. 7007/2015, Cass. n. 7921/2011, Cass. n. 15693/2004);
all’inammissibilità del ricorso consegue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite;
sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dell’ art.13 d. P.R. n. 115/2002 ;
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in favore della controricorrente Prisca COGNOME in € 4.500,00 per compensi
professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. Compensa le spese tra parte ricorrente e RAGIONE_SOCIALE
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della società ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, 8 novembre 2024
La Presidente Dott.ssa NOME COGNOME