Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 27853 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 27853 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 01845/2021 R.G., proposto da
NOME COGNOME , RAGIONE_SOCIALE in liquidazione; rappresentati e difesi da ll’AVV_NOTAIO, in virtù di procura a margine del ricorso; con domiciliazione digitale ex lege ;
-ricorrenti-
nei confronti di
NOME COGNOME ; rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, in virtù di procura in calce al controricorso; con domiciliazione digitale ex lege ;
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza n. 476/2020 della CORTE d’APPELLO di PERUGIA, pubblicata il 6 luglio 2020; udìta la relazione svolta nella camera di consiglio del 2 ottobre 2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
NOME COGNOME -premesso che aveva concesso in locazione dei locali commerciali alla RAGIONE_SOCIALE perché vi svolgesse l’ attività di ristorazione e che, al termine della locazione, i locali gli erano stati restituiti in cattivo stato e senza la previa rimozione delle addizioni, delle modifiche e delle migliorie apportatevi dalla conduttrice -convenne quest’ultima e NOME COGNOME dinanzi al Tribunale di Terni, chiedendo la condanna della prima, quale debitrice responsabile, al pagamento della somma di oltre 140.000 Euro e del secondo, quale garante (e nei limiti della garanzia), al pagamento della somma di circa 40.000 Euro, oltre ad un’ult eriore somma di 35.000 Euro poi rinunciata;
il Tribunale adìto accolse quasi integralmente la domanda e la Corte d’app ello di Perugia ha dichiarato inammissibile l’impugnazione proposta dai convenuti soccombenti;
la Corte territoriale ha così deciso, sulla base dei seguenti rilievi:
Iil giudizio di primo grado, sebbene correttamente iniziato con il rito lavoristico, era però proseguito con il rito ordinario, avuto riguardo alla circostanza che il giudice, dapprima aveva fissato udienza per la precisazione delle conclusioni, successivamente aveva trattenuto la causa in decisione concedendo i termini di cui all’art. 190 cod. proc. civ. per comparse conclusionali e repliche, infine aveva emesso la
sentenza senza dare lettura del dispositivo in udienza, dando atto dell’ avvenuta trasformazione, sia pure per errore, del rito seguito;
IIciò posto, doveva trovare applicazione il principio di ultrattività del rito, in base al quale se il giudice di primo grado abbia trattato la causa seguendo un rito errato, il giudizio deve proseguire nelle stesse forme; pertanto l’atto i n troduttivo del giudizio d’ appello avrebbe dovuto essere proposto con citazione, in confomità alle regole del rito oridinario concretamente osservato in primo grado, mentre, se proposto con ricorso, sarebbe stato idoneo ad impedire il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado solo se esso ricorso, unitamente al decreto di fissazione della prima udienza, fosse stato tempestivamente notificato nel termine di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza impugnata, ai sensi dell’art . 327 cod. proc. civ., non essendo sufficiente il mero deposito dell’atto in cancelleria;
IIInel caso di specie, non solo, in violazione del principio di ultrattività del rito, il convenuto soccombente aveva introdotto il giudizio d’app ello con ricorso, anziché con citazione, ma, inoltre, la notifica di tale atto introduttivo era stata effettuata dopo il decorso del termine di cui all’art. 327 cod . proc. civ.: essa era infatti avvenuta in data 16 marzo 2019, mentre la sentenza impugnata era stata depositata il 28 agosto 2019; ne discendeva l’inammisisbilità dell’impugnazione, per essere già passata in giudicato la decisione tardivamente gravata;
propongono ricorso per cassazione NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, sulla base di due motivi;
risponde con controricorso NOME COGNOME;
la trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale; il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte;
i ricorrenti hanno depositato memoria.
Considerato che:
1. con il primo motivo viene denunciata, ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ., la nullità della sentenza e del procedimento per avere la Corte d’app e llo deciso la causa sulla base di una questione rilevata d’ufficio senza previa concessione del termine a difesa di cui all’art . 101, secondo comma, cod. proc. civ.;
il ricorrente sostiene che la Corte territoriale, rilevata (erroneamente ) la tardività dell’appello, avre bbe dovuto suscitare sulla questione il contraddittorio delle parti, concedendo termine per il deposito di mem orie e riservando all’ esito la decisione; la circostanza che la sentenza di inammissibilità del gravame sia stata pronunciata ‘a sorpresa’, senza consentire alle parti di esercitare il diritto costituzionale di difesa, ne determinerebbe la nullità;
1.1. il motivo è infondato;
l ‘ obbligo del giudice di stimolare il contraddittorio sulle questioni rilevate d ‘ ufficio, stabilito dall ‘ art. 101, secondo comma, cod. proc. civ., non riguarda le questioni di solo diritto, ma quelle di fatto ovvero quelle miste di fatto e di diritto, che richiedono non una diversa valutazione del materiale probatorio, bensì prove dal contenuto diverso rispetto a quelle chieste dalle parti ovvero una attività assertiva in punto di fatto e non già mere difese (Cass., Sez. Un., 30/09/2009, n.20935; Cass.
16/02/2016, n.2984; Cass. 8/06/2018, n.15037; Cass. 18/06/2018, n. 16049; Cass. 5/05/2021, n.11724; Cass. 9/01/2024, n. 822);
nella fattispecie, il rilievo officioso dell’inammissibilità dell’impugnazione per essere stata prop osta con ricorso, anziché con citazione, in violazione della regola di ultrattività del rito, in quanto inerente a questione di puro diritto, non postulava la necessaria previa segnalazione alle parti e non ha concretato alcuna lesione del diritto di difesa e del contraddittorio, non avendo inciso sulla possibilità della parte di censurare l ‘ error in iudicando de iure procedendi asseritamente commesso dalla Corte territoriale, da cui discende la cassazione della sentenza solo se tale errore sia in concreto consumato;
il primo motivo, pertanto, deve essere rigettato;
2. con il secondo motivo viene denunciata, ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ. (in relazione agli artt. 113, primo comma, 447bis , 414 e 327, primo comma, cod. proc. civ.), la nullità della sentenza e del procedimento , per avere la Corte d’ap pello ritenuto tardivo e inammissi bile l’appello proposto da NOME COGNOME e dalla RAGIONE_SOCIALE, quantunque « correttamente e tempestivamente proposto in conformità al rito del lavoro, applicabile al caso di specie, entro i 6 mesi dalla pubblicazione della sentenza »;
i ricorrenti evidenziano che il giudice di primo grado non aveva « mai disposto alcun mutamento dal rito speciale al rito ordinario », avendo anzi egli dato espressamente atto nella sentenza -emessa il 18 agosto 2018 e pubblicata il 28 agosto successivo -che « esclusivamente per errore » aveva concesso alle parti termine per
note conclusionali e repliche, trattenendo la causa in decisione senza dare lettura del dispostivo in udienza, e che, « in parte », questo suo erroneo modus procedendi era stato causato dalla complessità e numerosità delle questioni poste dal convenuto, costituitosi tardivamente;
aggiungono, inoltre, che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte territoriale, lo stesso giudice di primo grado, con ordinanza del 16 luglio 2017, aveva fissato udienza non per la precisazione delle conclusioni ma per la discussione orale, in piena coerenza con la disciplina del rito del lavoro, mentre, con la successiva ordinanza del 20 ottobre 2017, si era limitato a concedere termine per note conclusionali e repliche, secondo una prassi frequente e pienamente compatibile con il suddetto rito lavoristico;
concludono che, pertanto, pienamente corretta era stata la loro scelta di proporre appello con ricorso, e che, non essendo controverso che l’atto introduttivo del giudizio di impugnazione era stato depositato (in data 28 febbraio 2019) nel rispetto del termine di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza gravata (avvenuta il 28 agosto 2018), quest’ ultima non era passata in giudicato e l’impugnazione avreb be dovuto essere ritenuta ammissibile;
2.1. il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato;
2.1.a. è infondato nella parte in cui lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto erroneamente che il giudizio dovesse proseguire in appello secondo le forme del rito ordinario, sebbene non fosse stato « mai disposto alcun mutamento dal rito speciale a quello ordinario » e sebbene, anzi, lo stesso giudice di primo grado avesse riconosciuto di
« avere trattenuto la causa in decisione, senza rinviare ad altra udienza per la discussione e la lettura del dispositivo, esclusivamente per errore »;
ben vero , infatti, l’applicazione del principio dell’ immutabilità del rito -in base al quale il giudizio deve proseguire nel grado di impugnazione, nelle stesse forme in cui è stato trattato in primo grado, le quali condizionano anche la valutazione sull’ammissibilità del gravame -trova il suo presupposto, non in un formale provvedimento di mutamento o conversione del rito, ma nella circostanza che in concreto il giudice abbia trattato la causa seguendo un certo rito, quantunque errato (Cass. 6/11/2019, n. NUMERO_DOCUMENTO);
in altri termini, è proprio l’ erronea scelta del rito, non corretta dal giudice attraverso un’ ordinanza di mutamento del rito, che comporta che il giudizio debba proseguire in appello nelle stesse forme, sebbene erronee (Cass. 7/06/2011, n. 12290; Cass. 3/07/2014, n. 15272);
nella vicenda in esame, gli stessi ricorrenti evidenziano che il giudice di primo grado, pur riconoscendo l’errore (e persino giustificandosi, in sentenza, indicando le ragioni che, in parte, lo avevano determinato), tuttavia aveva in concreto conformato il giudizio, quanto meno nella fase decisoria, alle regole formali del processo ordinario, disapplicando quelle del rito speciale lavoristico astrattamente applicabili, dando termine per scritti conclusionali e repliche e trattenendo la causa in decisione senza rinviare ad altra udienza per la discussione e la lettura del dispositivo;
pertanto, pur riguardando un rapporto (locazione) a cui avrebbero dovuto essere applicate, in primo grado, le regole processuali di cui
agli artt. 414 ss. cod. proc. civ. e, in grado d ‘appello , quelle degli artt. 433 ss. cod. proc. civ., la controversia, per errore, quanto meno nella fase decisoria, non era stata trattata con il rito del lavoro, rendendosi quindi applicabili le regole ordinarie in relazione ai termini per la proposizione dell’impugnazione; ciò, in quanto il rito ( concretamente , sebbene erroneamente ) adottato dal giudice assume una funzione enunciativa della natura della stessa, indipendentemente dall ‘ esattezza della relativa valutazione e costituisce per le parti criterio di riferimento (Cass. 9/11/2010, n. 22738; Cass. 8/07/2020, n.14139);
il motivo in esame, dunque, è infondato e va rigettato nella parte in cui, pur prendendo atto della erronea disapplicazione del rito lavoristico da parte del giudice di primo grado, censura la statuizione di inammissibilità dell’appello pronunciata dalla Corte di merito sulla base dell’ inconferente rilievo della mancanza di un provvedimento di mutamento di rito;
2.1.b. il motivo è invece inammissibile nella parte in cui contesta l ‘ accertamento della Corte territoriale in ordine alle forme processuali in concreto adottate;
va osservato, al riguardo, che la critica dei ricorrenti si fonda su una interpretazione -contraria a quella data dalla Corte territoriale -delle ordinanze emesse dal Tribunale di Terni in data 16 luglio 2017 (con la quale il giudice di primo grado, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d’ appello, avrebbe fissato udienza, non per la precisazione delle conclusioni, bensì per la discussione orale, così debitamente conformando il proprio modus procedendi alla disciplina del rito lavoristico) e in data 20 ottobre 2017 (con la quale non sarebbero stati
concessi gli specifici termini di cui all’art. 190 cod. pro c. civ., ma più in generale termini per ‘note conclusionali ‘ e ‘repliche’, in conformità ad una prassi non contrastante con le regole del suddetto rito e, anzi, frequentemente seguita nelle cause ad esso soggette);
orbene, al di là della considerazione che l ‘ accertamento di quali siano state le forme processuali in concreto adottate compete al giudice del merito (Cass. 6/11/2019, n. 28519), sicché già sotto tale profilo le critiche dei ricorrenti incorrono in una sanzione di inammissibilità, appare decisivo in tal senso il rilievo che esse sono basate sulla giustapposizione, a quella espressa dalla Corte d’appello , di una diversa interpretazione di due atti processuali, senza riportarli ex professo nel ricorso e senza provvedere, ai sensi dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., all’indicazione della sede processuale in cui essi siano rinvenibili, al fine di consentire a questa Corte di legittimità di verificarne il contenuto; in proposito, nello stesso indice delle produzioni posto in calce al ricorso si dà atto del deposito, unitamente alla copia autentica della sentenza impugnata, del « fascicolo di parte relativo al secondo grado contenente quello relativo al primo grado », ma nulla si dice delle specifiche ordinanze del 16 luglio e del 20 ottobre 2017, neppure per precisare se si trovino all’interno di detto fascicolo o siano rinvenibili altrove;
in definitiva, il ricorso va complessivamente rigettato, per essere infondato il primo motivo e per essere in parte inammissibile e in parte infondato il secondo;
le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;
5. s ussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Per Questi Motivi
La Corte rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida, in Euro 5.800,00, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge;
a norma dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art.13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 2 ottobre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME