Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 11995 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 11995 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5633/2021 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOMECODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO TORINO n. 1245/2020 depositata il 16/12/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che:
1.NOME COGNOME convenne davanti al Tribunale di Asti NOME COGNOME con ricorso per reintegra nel possesso del sottotetto del fabbricato, in Alba, INDIRIZZO, asserendo di esserne stato spogliato dalla convenuta, proprietaria di altra porzione dello stesso fabbricato, la quale aveva apposto un cancello ed alcuni vasi all’imbocco della scala di accesso al predetto sottotetto. Il ricorso veniva accolto. La causa proseguiva nel merito. La COGNOME proponeva riconvenzionale perché fosse ordinata al Di COGNOME la immediata cessazione di opere intraprese su spazi comuni. Il Tribunale di Asti accoglieva la domanda del COGNOME e rigettava la riconvenzionale. La Corte di Appello di Torino, con sentenza n.1245 del 2020, ha rigettato l’appello della NOME.
La Corte di Appello ha accertato, sulla base delle dichiarazioni degli informatori escussi nella fase sommaria, che il solo COGNOME aveva le chiavi di accesso al sottotetto, e, sulla base di documenti e fotografie, che il COGNOME aveva, nel 2012, intrapreso lavori nel sottotetto -lavori che avevano interessato anche il tetto- e che il sottotetto era ‘totalmente sgombro’ -così risultando smentita la tesi della ricorrente di avere avuto il possesso esclusivo del sottotetto.
La Corte di Appello ha poi ribadito la decisione di primo grado riguardo alle domande riconvenzionali evidenziando che dall’istruttoria era emerso che il COGNOME aveva usato gli spazi dell’edificio a cui si riferivano dette domande solo in via transitoria e senza incidere in alcun modo sul relativo godimento da parte della ricorrente;
2.per la cassazione di questa sentenza la NOME ricorre con nove motivi avversati dal COGNOME con controricorso;
le parti hanno depositato memoria;
considerato che:
1.con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 345 e 346 c.p.c. Si sostiene che la Corte di Appello non avrebbe rilevato, per un verso, la inammissibilità di domande ed eccezioni nuove sollevate dal COGNOME in appello e, per altro verso, la ‘rinuncia’ del COGNOME alla tutela possessoria. Il motivo è, quanto al primo verso, inammissibile e, quanto al secondo, infondato.
La ricorrente specifica che sarebbero state da dichiarare inammissibili le ‘domande volte a richiedere la reiezione’ delle domande riconvenzionali di accertamento del diritto di essa ricorrente a possedere il cortile e altri spazi del fabbricato. Per questa parte il motivo difetta di interesse (art. 100 c.p.c.) non avendo la Corte di Appello negato tale diritto ed avendo invece accertato che l’uso fatto degli spazi dal DI Palma aveva avuto solo carattere transitorio e non aveva inciso in alcun modo sul relativo godimento da parte della ricorrente.
Dalla lettura delle conclusioni presentate dal DI COGNOME in appello emerge che egli aveva chiesto di confermare la sentenza di primo grado e che quindi non aveva rinunciato alla tutela del possesso del sottotetto;
il secondo motivo di ricorso è rubricato ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116, 244 c.p.c., dell’art. 1168 (e richiami) in relazione all’art. 360, n.3,4, 5, c.p.c.’. Si deduce che la Corte di Appello avrebbe trascurato la testimonianza di tale NOME COGNOME ed avrebbe travisato la testimonianza del ‘geometra COGNOME il quale avrebbe detto di aver accompagnato la ricorrente nel sottotetto non solo nel 2012 ma anche negli anni precedenti, che non avrebbe esaminato ‘documenti e fotogrammi’ da cui
risulterebbe che ‘la ricorrente e/o chi per essa’ usava il sottotetto, che la Corte di Appello avrebbe errato nel ritenere tempestiva l’azione di spoglio, dato che, dal complesso dei documenti e delle testimonianze, sarebbe emerso che la ricorrente aveva da sempre tenuto propri oggetti nel sottotetto, che la Corte di Appello avrebbe errato nel ritenere superflua la audizione dei testi del COGNOME.
Il motivo è inammissibile.
La violazione dell’art. 112 c.p.c. è solo evocata nella rubrica del motivo ma nel corpo del motivo non viene indicato come la Corte di Appello avrebbe deciso oltre i limiti del disputatum o avrebbe omesso di pronunciare su tutto il disputatum.
Le censure di violazione o falsa applicazione dell’art. 115 e 116 c.p.c. non rispecchiano il paradigma normativo secondo cui tali censure devono essere dedotte.
È stato infatti precisato (Cass. Sez. U, n.20867 del 30/09/2020) che ‘In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.’. È stato altresì precisato (Cass. 20867/2020 cit.) che ‘la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una
differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento’.
Nel caso di specie, attraverso la denuncia di violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., la ricorrente mira ad un riesame dell’intero compendio istruttorio -documenti e testimonianze- su sui è basata la decisione di Appello. Il motivo si scontra con il principio per cui ‘È inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito'( Sez. U – , Sentenza n.34476 del 27/12/2019).
Per quanto poi concerne la mancata ammissione dei testi indotti dall’attuale controricorrente il motivo è inammissibile sia per difetto di interesse (art. 100 c.p.c.), dato che non è neppure indicato su quali circostanze i testi avrebbero dovuto riferire e come le risposte dei testi avrebbero potuto giovare alla ricorrente, sia perché non tiene conto del principio per cui ‘La riduzione delle liste testimoniali sovrabbondanti costituisce un potere tipicamente discrezionale del giudice di merito (non censurabile in sede di legittimità) che può essere esercitato anche nel corso dell’espletamento della prova, potendo il giudice non esaurire l’esame di tutti i testi ammessi qualora, per i risultati raggiunti, ritenga superflua l’ulteriore assunzione della prova. Tale ultima valutazione non deve essere necessariamente espressa, potendo desumersi per implicito dal complesso della motivazione della sentenza’ (v., tra molte, Cass. 6361/2000);
3. con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione degli artt. 132 c.p.c., 843, 1140 e 1168 c.c. ‘in relazione all’art.360, n. 3,4,5 c.p.c.’. Si deduce che la Corte di Appello avrebbe riconosciuto il
possesso del COGNOME malgrado che questi avesse fatto accesso al sottotetto solo per eseguire lavori di riparazione del tetto. Il motivo è inammissibile.
In primo luogo non sussiste alcun vizio di motivazione ai sensi dell’art. 132 c.p.c. riguardo alla affermazione della Corte di Appello per cui il COGNOME aveva il possesso esclusivo del sottotetto.
È noto che la ‘riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione’ (Cass.
Sez. U, sentenza n.8053 del 07/04/2014).
La Corte di Appello ha chiaramente espresso di avere accertato, sulla base di documenti, fotografie e di dichiarazioni degli informatori assunti nella fase cautelare, che il COGNOME era l’unico ad avere le chiavi del sottotetto e che nel 2012 vi aveva iniziato lavori che avevano interessato ‘anche’ il tetto.
La ricorrente, nel denunciare un vizio di motivazione, non ‘prescinde dal confronto con le risultanze istruttorie’ (Cass. 8053/2014 cit.). Al contrario fa perno su una propria lettura delle risultanze istruttorie e mira in realtà ad una rivalutazione, davanti
a questa Corte di legittimità (Cass. 34476/2019), dei fatti storici operata dal giudice di merito.
Analogamente è inammissibile la censura di violazione e falsa applicazione degli artt. 1140 e 1168 c.c. essendo a tale censura sottesa la seguente struttura argomentativa: poiché il giudice di merito ha accertato il possesso del COGNOME e tale accertamento è erroneo (cioè non corrisponde alla realtà delle cose), allora sono state violate le norme giuridiche indicate. Tale struttura scambia il ruolo della Corte di cassazione per quello di una terza istanza di merito. Il motivo, al di là della formale denuncia, si riduce alla sovrapposizione dell’apprezzamento delle prove da parte del ricorrente all’accertamento dei giudici di merito espresso in una motivazione che non si espone a censure di legittimità;
4.con il quarto motivo di ricorso si lamenta ‘la violazione e falsa applicazione degli artt. 132, n.4 c.p.c., 1140 e 1168 c.c. in relazione all’art.360, n. 3,4,5 c.p.c.’. Si torna a dedurre -come già col terzo motivo- che la Corte di Appello avrebbe riconosciuto il possesso del Di Palma malgrado che questi non l’avesse provato. Si deduce altresì che la Corte di Appello avrebbe errato nel rigettare la domanda riconvenzionale proposta da essa ricorrente per la tutela del possesso di alcuni spazi dell’edificio tra cui, in particolare, il cortile.
Per ciò che concerne la prima deduzione non occorrono considerazioni ulteriori rispetto a quelle già fatte rispetto al terzo motivo di ricorso.
Per quanto concerne la seconda deduzione si osserva che non ricorrono né vizi di motivazione né violazioni o false applicazioni delle norme del codice civile posto che la Corte di Appello ha motivato il mancato riconoscimento della tutela invocata dalla ricorrente con l’affermazione, basata sulla documentazione in atti, per cui le opere contestate al COGNOMEavevano carattere transitorio’ ed erano state compiute ‘senza recare danno allo stato
dei luoghi e senza pregiudicare il godimento dell’immobile in capo alla NOMECOGNOME;
5.con il quinto motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c., 1117 e 2963 c.c. ‘in relazione all’art.360, n. 3,4,5 c.p.c.’. Si deduce che la Corte di Appello avrebbe errato nel definire il sottotetto come ‘pertinenza’ malgrado che lo stesso sia ‘in forza di quanto apposto in atto pubblico sia in forza delle caratteristiche strutturali’ non potesse essere definito come pertinenza in particolare avendo ‘un accesso autonomo’, ‘superficie e altezza non certo esigue’.
Il motivo è inammissibile perché si riduce ad allegazioni in fatto per di più del tutto scollegate dalla motivazione della decisione, nella quale non ha alcuna incidenza la natura pertinenziale o non pertinenziale del sottotetto;
6.con il sesto motivo di ricorso si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 132,n.4 c.p.c. e 2697 c.c. ‘in relazione all’art.360, n. 3,4,5 c.p.c.’. Si deduce che la Corte di Appello non avrebbe correttamente valutato le dichiarazioni degli informatori e dello stesso COGNOME, non avrebbe esaminato o correttamente valutato i documenti in atti, dal cui complessivo e corretto esame sarebbe emerso che in realtà il COGNOME non aveva il possesso del sottotetto e che, al contrario, il possesso sarebbe stato esercitato dalla ricorrente.
Non sussiste violazione dell’art. 2697 c.c. Tale violazione si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (vd. Cass. 26769 del 2018), mentre, nel caso di specie, la Corte di Appello, senza alcuna inversione dell’onere della prova, ha ritenuto, sulla base delle dichiarazioni degli informatori e della documentazione anche fotografica, menzionate a pagina 14 della
sentenza, dimostrato, da parte del COGNOME, il possesso esclusivo del sottotetto.
Ancora una volta il motivo mira ad un riesame delle risultanze istruttorie ed è per questo, come i precedenti, inammissibile;
7. con il settimo motivo di ricorso si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 132,n.4, 112, 115, 116, c.p.c. Si deduce di nuovo che il COGNOME non avrebbe provato il possesso del sottotetto e non avrebbe contestato il possesso della ricorrente sia del sottotetto che del cortile. La deduzione relativa alla prova del possesso del COGNOME reitera quella proposta con precedenti motivi ed è inammissibile per le ragioni già evidenziate. La deduzione per cui il COGNOME non avrebbe contestato il possesso del sottotetto da parte della ricorrente è smentita dall’intera rappresentazione dei fatti di causa che emerge dalla sentenza impugnata e dagli atti delle parti, compreso il ricorso, secondo cui il COGNOME ha agito, in sede cautelare prima e nel merito poi, a tutela del suo possesso. La deduzione per cui il COGNOME non avrebbe contestato il possesso del cortile da parte della ricorrente è del tutto slegata dalla sentenza impugnata posto che questa ha negato la tutela possessoria richiesta dalla ricorrente non perché ha disconosciuto il di lei possesso ma perché ha disconosciuto la relativa lesione da parte del COGNOME, il quale, come più volte ricordato, ha, secondo quanto accertato dalla Corte di Appello, usato il cortile solo transitoriamente e senza menomare l’altrui godimento;
8.con l’ottavo motivo di ricorso si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 132,n.4, 116 e 244, c.p.c. per non avere la Corte di Appello rilevato la incapacità o quanto meno la inattendibilità dei testi che avevano reso dichiarazioni favorevoli al COGNOME.
Il motivo è inammissibile.
Va notato, in primo luogo, che tra i testi di cui la Corte di Appello non avrebbe rilevato la incapacità vi sono soggetti che non sono
stati sentiti dalla Corte di Appello e che, come questa ha evidenziato rispondendo ad un motivo di appello coincidente con il motivo di ricorso ora in esame, non erano stati sentiti dal Tribunale: il notaio COGNOME che aveva rogato l’atto di provenienza del COGNOME; il geometra COGNOME (che aveva redatto una perizia per un atto del dante causa del COGNOME); NOME COGNOME COGNOME; NOME COGNOME NOME COGNOME; NOME COGNOME e NOME COGNOME. La Corte di Appello ha evidenziato che erano stati sentiti solo NOME COGNOME NOME COGNOMErispetto al quale, come emerge dalla sentenza impugnata, non erano state sollevate eccezioni- e NOME COGNOME
La Corte di Appello ha poi motivatamente escluso che per il COGNOME e la COGNOME fossero ragioni di incapacità a testimoniare quelle fatte valere dalla NOME secondo cui il primo sarebbe stato incapace per essere colui che aveva venduto al Di Palma il sottotetto e che quindi avrebbe potuto subire un’azione ‘di evizione in ordine alla mancata proprietà del sottotetto’ -circostanza ritenuta irrilevante dalla Corte di Appello trattandosi di dichiarazioni rese in causa possessoria ed essendo stata la proprietà del sottotetto accertata in altra causa tra le parti con sentenza definitiva – e la seconda sarebbe stata incapace per il fatto di essere figlia del predetto geometra NOMECOGNOME trattandosi di condizione di per sé non rilevante.
Questa Corte ha affermato (tra altre Sez. 3, sentenza n. 7077 del 29/11/1986) che ‘L’interesse alla causa, dal quale l’art. 246 cod. proc. civ. fa derivare l’incapacità a testimoniare, si identifica con l’interesse concreto ed attuale ad agire e contraddire ai sensi dell’art. 100 cod. proc. civ.: la valutazione dell’esistenza di detto interesse è riservata al giudice del merito e non è sindacabile in Sede di legittimità quando sia adeguatamente motivata.
Il motivo è poi inammissibile anche nella parte in cui si censura la sentenza della Corte di Appello per non avere questa ritenuto inattendibili i testi del COGNOME a fronte di dichiarazioni di segno diverso da parte di altri testi. ‘Il ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione’ (Cass, Sez. 5 –
, Ordinanza n.32505 del 22/11/2023);
9. con il nono motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c. e degli artt. 91 e 92 c.p.c. Si sostiene che la Corte di Appello avrebbe errato a porre le spese del giudizio a carico della allora appellante, malgrado che, per un verso, l’appello fosse fondato e che, per altro verso, fossero state respinte ‘numerose e diverse eccezioni preliminari’ del Di COGNOME. Il motivo è inammissibile.
Per il primo verso non si tratta in realtà di una censura ma di un auspicio di riforma del capo della spese, come conseguenza dell’accoglimento di uno dei motivi di ricorso per cassazione.
Per il secondo verso il motivo è formulato senza tener conto del fatto che la violazione dell’art. 91 cod. proc. civ. si verifica soltanto nel caso in cui le spese siano poste a carico della parte totalmente vittoriosa e che il potere di compensare le spese è rimesso al potere discrezionale del giudice di merito, al cui prudente ed
insindacabile criterio sono riservati l’accertamento dei presupposti in considerazione dei quali le spese medesime possono essere totalmente o parzialmente compensate ai sensi dell’art. 92 cod. proc. civ. Nel caso di specie la Corte di Appello ha posto le spese a carico della soccombente precisando di avere valutato ‘i complessivi risultati del giudizio’;
10. in conclusione il ricorso deve essere rigettato;
11. le spese seguono la soccombenza;
PQM
la Corte rigetta il ricorso
condanna la ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 6000,00, per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma 24 aprile 2025.