Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2602 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2602 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 11622-2021 proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME e d elettivamente domiciliati a ll’ indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;
– ricorrenti –
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso da ll’ avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato a ll’ indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;
– controricorrente –
COGNOME NOMECOGNOME
– intimato – avverso la sentenza n. 10/2020 della CORTE DI APPELLO di LECCE, SEZIONE DISTACCATA di TARANTO, depositata il 13/01/2020; udita la relazione della causa svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 29 ottobre 2024.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art. 703 c.p.c. COGNOME NOME COGNOME evocava in giudizio COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, i primi quali autori morali ed il terzo quale autore materiale, per lo spoglio subito dal ricorrente in relazione al possesso di un fondo agricolo, del quale il COGNOME deduceva di essere divenuto proprietario per averlo posseduto pacificamente per oltre un ventennio.
Nella resistenza dei convenuti il Tribunale di Taranto, dopo aver qualificato la domanda come di manutenzione del possesso, dapprima denegava la tutela interdittale, poi concessa in sede di reclamo, ed in seguito, con sentenza n. 1597/2016, accoglieva la domanda.
Con la sentenza impugnata, n. 10/2020, la Corte di Appello di Lecce-Sezione distaccata di Taranto, rigettava il gravame interposto dagli odierni ricorrenti avverso la decisione di prime cure.
Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME affidato a cinque motivi.
Resiste con controricorso NOME NOME COGNOME.
L’altro intimato, COGNOME NOMECOGNOME non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
nonchè contro
A seguito di proposta di definizione anticipata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. la parte ricorrente, con istanza del 12.10.2023, ha chiesto la decisione del ricorso.
In prossimità dell’odierna adunanza camerale, entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente il collegio dà atto che, a seguito della pubblicazione della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 9611 del 10 aprile 2024, non sussiste alcuna incompatibilità del presidente della sezione o del consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, a far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1, atteso che la proposta non ha funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta del giudizio di cassazione, con carattere di autonomia e contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa.
Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., 1168 e 1170 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente interpretato i fatti di causa e le risultanze istruttorie, travisando in particolare le deposizioni degli informatori e dei testi escussi nelle varie fasi del giudizio di merito, ritenendo non conseguita la prova, ai fini del computo del termine annuale previsto per la proposizione delle azioni a tutela del possesso, dalla pluralità di atti connessi e collegati tra loro.
Con il secondo motivo, logicamente connesso al primo e suscettibile di trattazione congiunta ad esso, la parte ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c. e 1170 c.c., in
relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., perché il giudice di secondo grado avrebbe erroneamente rigettato l’eccezione di decadenza proposta dai COGNOME, travisando le risultanze della prova espletata.
Ad avviso dei ricorrenti, in sostanza, la Corte distrettuale avrebbe dovuto ritenere decaduto il Caramia dal diritto di agire a tutela del possesso, per essere decorso oltre un anno dai fatti integranti la lesione della sua posizione soggettiva.
Le due censure sono inammissibili.
La Corte di Appello ha ritenuto che, in presenza di più atti di spoglio o turbativa, il termine di decadenza per l’esercizio dell’azione a tutela del possesso sia da individuare nel primo atto di molestia, che è stato individuato – all’esito di una valutazione delle risultanze istruttorie, ed in particolare della prova orale espletata – nel luglio 2006, data rispetto alla quale il ricorso (introdotto a novembre dello stesso anno) è stato considerato tempestivo. I ricorrenti contrappongono a tale ricostruzione una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza considerare che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass., Sez. Un., Sentenza n. 24148 del 25/10/2013). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale,
nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014).
Con il terzo motivo i ricorrenti si dolgono, in subordine rispetto alla seconda censura, della violazione degli artt. 132, 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., perché il giudice di appello avrebbe dovuto ammettere la prova che essi avevano richiesto al fine di provare di avere eseguito l’aratura del fondo oggetto di causa anche prima del 2006.
Con il quarto motivo i ricorrenti denunziano la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., per avere la Corte distrettuale erroneamente configurato, in capo al Caramia, la condizione di possessore, in quanto enfiteuta, e non invece di mero detentore qualificato, come tale non legittimato a ricorrere alla tutela del possesso.
Con il quinto ed ultimo motivo, infine, i ricorrenti lamentano la violazione o falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c., 1170, 1140 e 1141 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto provato il potere di fatto, in capo al Caramia, e dunque la sua condizione di possessore del bene oggetto di causa, travisando le risultanze della prova orale esperita.
Le tre censure, suscettibili di esame congiunto, sono inammissibili.
Quanto al terzo motivo, il giudice di merito ha rigettato alcune delle istanze istruttorie formulate dalla odierna parte ricorrente ritenendo la causa sufficientemente istruita ed ha quindi deciso sulla scorta delle evidenze già acquisite agli atti. il Collegio rileva parimenti l’infondatezza delle censure mosse con riferimento all’omessa ammissione dei richiesti mezzi istruttori, e segnatamente della prova testimoniale.
Sul punto occorre premettere che – come questa Corte ha affermato a più riprese – il giudice del merito non è tenuto ad ammettere i mezzi di prova dedotti dalle parti ove ritenga sufficientemente istruito il processo e ben può, nell’esercizio dei suoi poteri discrezionali insindacabili in cassazione, non ammettere la dedotta prova testimoniale quando, alla stregua di tutte le altre risultanze di causa, valuti la stessa come inconducente. Trattasi di valutazione demandata al potere discrezionale del giudice di merito con apprezzamento che si sottrae al sindacato di legittimità (v. in termini, Cass. n. 13375 del 2009).
Nella specie il giudice distrettuale ha in via preliminare focalizzato la propria attenzione sulle circostanze attinenti alla prova del possesso del fondo in capo al COGNOME, che sembrava escluso dalle dichiarazioni degli informatori indotti dai COGNOME (i testi COGNOME e COGNOME), che però erano smentite da quanto allegato dagli stessi ricorrenti nelle loro memorie di costituzione nella fase sommaria del procedimento, i quali avevano ammesso che il COGNOME era un mero detentore ‘di un rapporto di comodato precario’ sorto anni addietro, quando era ancora in vita il loro dante causa (v. pagg. 3 e 4 della decisione impugnata), ritenendo quindi non sostenibile l’assunto secondo cui i Ceneviva ormai da anni, anche prima del 2006, si sarebbero occupati in proprio dell’aratura del terreno in questione. Orbene, il procedimento logico –
giuridico sviluppato nell’impugnata decisione a sostegno delle riportate conclusioni è ineccepibile in quanto logico e razionale nonché frutto di una completa valutazione delle risultanze di causa. Coerentemente, quindi, il giudice di merito non ha ammesso i mezzi di prova ulteriori chiesti dai ricorrenti volti a dimostrare circostanze di fatto ritenute “inverosimili”, ossia essenzialmente e sostanzialmente inattendibili, alla stregua degli elementi emergenti dagli atti processuali: si tratta di un giudizio sorretto da congrua e coerente motivazione che sfugge quindi ai sindacato in questa sede di legittimità.
Stesso dicasi in relazione al quarto e quinto motivo, che attingono la valutazione delle prove operata dalla Corte distrettuale. Anche a tal riguardo, si rinvia alle considerazioni esposte in relazione ai primi due motivi del ricorso, alla luce delle quali le censure in esame sono inammissibili, perché relative al merito della controversia.
Né si configurano, nel caso di specie, vizi incidenti sulla motivazione della sentenza impugnata, la quale non risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica ed è idonea ad integrare il c.d. minimo costituzionale e a dare atto dell’iter logico-argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass., Sez. Un., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, nonché, in motivazione, Cass., Sez. Un., Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023).
In considerazione dell’inammissibilità di tutti i motivi proposti dalla parte ricorrente, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380bis c.p.c., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis c.p.c.- il terzo e il quarto
comma dell’art. 96 c.p.c., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma -nei limiti di legge- in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P.R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore di quella controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 1.800,00 per compensi ed € 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, inclusi iva e cassa avvocati.
Condanna, altresì, la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma di ulteriore € 1.800,00, nonché al pagamento della somma di € 500,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda