Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 274 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 274 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4379/2023 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’ avv. NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE
– intimata – avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 3909/2022, depositata il 12 dicembre 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
-la RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Milano, depositata il 12 dicembre 2022, che, in accoglimento solo parziale del loro appello, ha confermato la sentenza del locale Tribunale nella
Oggetto: diritto di autore
parte in cui aveva respinto le loro domande di condanna di COGNOME RAGIONE_SOCIALE ( titolare dell’Impresa individuale RAGIONE_SOCIALE, poi RAGIONE_SOCIALE) al risarcimento dei danni per violazione del diritto di autore, concorrenza sleale e ingiustificato arricchimento, riformando la sentenza appellata solo in ordine al capo di sentenza relativo al governo delle spese processuali;
-dall’esame della sentenza impugnata si evince che a fondamento delle domande risarcitorie gli odierni ricorrenti avevano allegato che la RAGIONE_SOCIALE aveva pubblicato sul suo sito internet condizioni generali di vendita dal tenore letterale pressocché identico a quelle utilizzate dalla società attrice e pubblicate sul suo sito e che le stesse erano state elaborate da NOME COGNOME il quale aveva ceduto il relativo diritto di sfruttamento alla predetta società;
la Corte di appello ha dato atto che il giudice di primo grado, con riferimento alla posizione della RAGIONE_SOCIALE aveva ritenuto che la stessa era priva di legittimazione attiva in ordine al vantato diritto morale di autore, in quanto spettante semmai alla sola persona fisica NOME COGNOME e non vantava alcun diritto patrimoniale connesso allo sfruttamento dell’opera, atteso che non vi era prova della cessione in suo favore del diritto di sfruttamento dell’opera ;
quanto alla posizione di NOME COGNOME ha osservato che il Tribunale aveva accertato l’insussistenza dei presupposti delle invocate fattispecie risarcitorie e dichiarato inammissibile l’azione di ingiustificato arricchimento per difetto del requisito della residualità;
ha, quindi, disatteso i motivi di gravame, vertenti sulla mancata prova della cessione dei diritti di sfruttamento economica sull’opera dedotta in giudizio e sull’insussistenza dei requisiti per la tutela autoriale della stessa e degli elementi della fattispecie illecita per atti di concorrenza sleale;
ha, invece, accolto il motivo di appello vertente sulla condanna alla rifusione delle spese processuali nella parte in cui aveva posto a
carico degli appellanti (anche) il pagamento della somma di euro 500,00 per spese, benché delle stesse non fosse stata data prova, né parte convenuta ne avesse fatto richiesta;
il ricorso è affidato a quattro motivi;
la RAGIONE_SOCIALE si limita a depositare una « Memoria per discussione » in data 3 dicembre 2023, che non può essere qualificata quale rituale controricorso, come richiesto dalla parte, in quanto non rispettosa del termine di cui all’art. 370 cod. proc. civ., né quale valida memoria di cui all’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ., stante l’assenza di una previa valida costituzione della parte;
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 l. 22 aprile 1941, n. 633, e 2575 cod. civ., nonché , con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per carenza di motivazione;
lamentano, in particolare, che la Corte di appello abbia escluso che le dedotte condizioni generali di vendita presentassero i caratteri della creatività e dell’originalità necessari per l’accesso alla tutela autoriale, senza procedere a una analisi delle varie clausole che le componevano e senza indicare le previsioni di legge di contenuto imperativo e le prassi standard del settore la cui riproduzione nelle condizioni generali di vendita faceva venir meno la proteggibilità di queste ultime quali opere dell’ingegno;
il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato;
la Corte territoriale ha affermato che non ricorrono i requisiti della creatività e dell’originalità nel caso di elaborazione di un testo giuridico standard , di uso tecnico-professionale, mediante indicazioni di carattere generale, funzionali all’esercizio dell’attività, eventualmente integrate da quelle indicazioni che sono frutto della prassi e dell’esperienza maturata nel settore e che tale conclusione trova applicazione anche all ‘elaborazione delle condizioni generali di
vendita, in quanto fondate su dati oggettivi e predeterminati, oltre che generali ed astratti -quali sono le norme giuridiche che regolano l’attività di impresa a volte anche inderogabili, anche laddove integrate con la sola prassi di settore;
a sostegno di tale assunto si è richiamato il precedente di questa Corte n. 10300 del 29 maggio 2020, vertente su un regolamento disciplinante un servizio anticontraffazione, ritenuto un testo giuridico standard di uso tecnico-professionale, che non conteneva alcuna peculiare e creativa elaborazione di nozioni giuridiche, prassi del settore, esperienze del professionista, ma solo indicazioni pratiche e funzionali;
dal tenore della motivazione, ivi incluso il riferimento espresso a tale precedente, si desume che la Corte di appello abbia ritenuto applicabili al caso sottoposto al suo esame i principi generali esposti e, dunque, che anche le dedotte condizioni generali di vendita fossero prive di un apporto originale e creativo da parte dell’autore;
-così interpretata la sentenza di appello, appare evidente l’inammissibilità della censura per violazione di legge , stante il mancato rispetto del limite consistente nell’assunzione dell’accertamento di fatto come operato dal giudice del merito quale termine obbligato, indefettibile e non modificabile del sillogismo tipico del paradigma dell’operazione giuridica di sussunzione (cfr. Cass. 13 marzo 2018, n. 6035; Cass., 23 settembre 2016, n. 18715);
non riscontrabile è, poi, il dedotto vizio di carenza di motivazione, avuto riguardo al ribadito principio secondo cui il sindacato di legittimità sulla motivazione si è ormai ridotto alla verifica del rispetto del cd. minimo costituzionale (cfr., da ultimo, Cass. 16 maggio 2024, n. 13621; Cass. 11 aprile 2024, n. 9807) e al fatto che nel caso in esame tale criterio non risulta essere stato disatteso, poichè la riferita motivazione consente di individuare l’ iter argomentativo della decisione;
con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’ art. 167 l.n. 633 del 1941, nonché la nullità della sentenza per carenza della motivazione, nella parte in cui aveva escluso che fosse stata prova della cessione dei diritti di sfruttamento economica delle condizioni generali di vendita in favore della società ricorrente benché quest’ultima si trovasse nel possesso legittimo delle stesse;
il motivo è inammissibile;
la statuizione -non utilmente aggredita in questa sede -relativa all’insussistenza dei requisiti per la tutela autoriale delle condizioni generali di vendita asseritamente cedute alla RAGIONE_SOCIALE rende inconfigurabile l’ acquisto di diritti di sfruttamento economico dell’opera dell’ingegno , in quanto ritenuti oggettivamente inesistenti, e, conseguentemente, priva di concludenza la dedotta questione relativa all’interpretazione dell’art. 167 l.n. 633 del 1941 e all’individuazione del soggetto legittimato ad agire per la tutela degli stessi;
con il terzo motivo i ricorrenti si dolgono della violazione e falsa applicazione dell’art. 2598 cod. civ., nonché lamentano la nullità della sentenza impugnata per carenza della motivazione, nella parte in cui ha escluso che ricorresse la fattispecie della concorrenza sleale per utilizzo di mezzi non conforme ai principi della correttezza professionale pur in presenza dell’appropriazione di condizioni generali di vendita di un concorrente;
il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato;
sul punto la Corte di appello, dopo aver richiamato il quadro normativo di riferimento, così come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto che « nel caso in decisione, difetta l’allegazione e la prova che l’utilizzo di dette CGV integri un’illecita appropriazione di una ‘rilevante iniziativa imprenditoriale’ e che la stessa sia concretamente idonea a danneggiare l’attività di impresa,
così come previsto dall’art. 2598, n. 3 »;
un siffatto accertamento rientra tra quelli riservati al giudice di merito, presupponendo la valutazione degli elementi probatori, e non può essere sindacato in questa sede per violazione di violazione o falsa applicazione della legge, pena una non consentita rivalutazione del l’apprezzamento delle prove operato dal giudice di appello (cfr. Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2019, n. 34476);
priva di pregio è, poi, la censura di carenza di motivazione, in quanto che la sentenza consente di individuare l’ iter motivazionale seguito dalla Corte territoriale;
con l’ultimo motivo, i ricorrenti criticano la sentenza impugnata per motivazione apparente e travisamento della prova nella parte in cui, con riferimento alla deduzione della concorrenza sleale ex art. 2598, n. 2, cod. civ., ha negato la capacità distintiva delle condizioni generali di vendita in esame, anche in ragione del l’uso delle stesse da parte di altre imprese, richiamando documenti relativi a società a ciò autorizzate o privi di data e, in quanto tali, inidonei a dimostrare la loro anteriorità rispetto alla condotta imputata alla convenuta;
il motivo è inammissibile;
-la Corte d’appello ha , in proposito, ritenuto che le condizioni generali di vendita erano prive di originalità e, in quanto tali, di capacità distintiva in relazione all’attività d’impresa esercitata da parte appellante;
-ha aggiunto che non era convincente l’ argomentazione delle appellanti in ordine all’uso delle stesse da parte di altre imprese , atteso che la loro diffusione forniva, semmai, la prova contraria, ovvero che trattasi di condizioni di contratto standard , utilizzabili in via generale anche da realtà imprenditoriali operanti in settori diversi da quello dell’arredamento ;
il riferimento al pregresso utilizzo da parte di altri operatori delle condizioni generali di vendita, evidenziato dalle parti ricorrenti,
costituisce, dunque, un’argomentazione utilizzata per negare valenza induttiva a ll’elemento indicato da queste ultime e non già per giustificare la valutazione operata di assenza di capacità distintiva di tali condizioni generali di vendita e, dunque, di inidoneità di tale condotta imitativa ad assumere rilevanza ai fini della dedotta attività di concorrenza sleale per imitazione servile;
la doglianza, dunque, non coglie la ratio decidendi ;
pertanto, per le indicate considerazioni, il ricorso va respinto;
nulla va disposto in tema di spese processuali in assenza di attività difensiva della parte intimata vittoriosa.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 13 dicembre 2024.